Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-07-2012, n. 12211 Disconoscimento di paternità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata (depositata il 7.7.2010) ha dichiarato inammissibile l’opposizione di terzo proposta da T.O. contro la sentenza in data 9 dicembre 2004, passata in giudicato, con la quale la medesima Corte di appello, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma emessa il 14 giugno 2002, ha dichiarato che F.N. non è il padre biologico di F.L., nata il (OMISSIS), in costanza di matrimonio dello stesso F. con S. A., a sua volta parte nel processo di disconoscimento di paternità e successivamente deceduta.

L’opponente, convenuto, a seguito dell’irrevocabilità della predetta sentenza, in distinto processo per dichiarazione di paternità naturale promosso nei suoi confronti da F.L. – pendente davanti al Tribunale di Roma – lamentava di essere stato ingiustamente pretermesso nel primo giudizio di disconoscimento della paternità legittima, all’esito del quale era stato erroneamente affermato, a suo avviso, che il termine di decadenza di un anno, previsto dall’art. 244 c.c., comma 3, per la promozione dell’azione di disconoscimento da parte della figlia, F.L., decorreva dalla conoscenza dell’esito della prova genetica (sfavorevole alla paternità biologica di F.N.), anzichè dal tempo di rivelazione alla stessa F., a cura della madre ammalatasi, S.A., di averla concepita con persona diversa dal padre legittimo.

Ha osservato la corte di merito che la legittimazione ad impugnare la sentenza passata in giudicato con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404 c.p.c., comma 1) presuppone, in capo all’opponente, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre fonti mentre la tutela del diritto di T.O. a non essere dichiarato padre naturale di F.L. non era incompatibile con l’accertamento che F.N. non è il padre biologico della stessa F.L., oggetto della sentenza emessa "inter alios".

La chiara indipendenza tra i due giudizi di disconoscimento della paternità legittima e di dichiarazione della paternità naturale, con pienezza di diritto di difesa per le parti dell’uno e dell’altro, rendeva palesemente infondata anche la preliminare questione di legittimità costituzionale prospettata dall’opponente circa la contrarietà dell’art. 247 c.c., comma 1, agli artt. 3, 24 e 30 Cost., laddove la prima norma prevede che litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento siano soltanto il "presunto padre", da intendersi evidentemente come colui che risulta padre "legittimo", oltre alla madre e al figlio, e non anche il "presunto" padre naturale non individuabile come tale in contrasto con lo stato di figlio legittimo (cfr., in proposito, l’art. 269, comma 1, in relazione all’art. 253 c.c.).

1.1.- Contro la sentenza della corte di appello T.A., G. e S. – quali eredi di T.O., deceduto – hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso F.L. mentre non ha svolto difese l’intimato F.N..

2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano "omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia – violazione dei principi regolatori del giusto processo (art. 360 c.p.c., n. 5)".

La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che: il T. era espressamente indicato come padre biologico nell’atto introduttivo del giudizio di disconoscimento, era interessato ex art. 100 c.p.c., era stato indicato nel corso dell’istruttoria, l’espressione "presunto padre" ex art. 247 c.c., non esclude il padre biologico, gli artt. 248 e 276 c.c., fanno riferimento a chiunque abbia interesse a contraddire, il giudice avrebbe dovuto ordinare il suo intervento ex art. 107 c.p.c..

Invocano l’applicabilità di Cass., n. 8355/2007.

2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano "omessa motivazione su di un punto decisivo ù violazione del giusto processo (art. 360 c.p.c., n. 5)".

Lamentano che la corte di merito non abbia motivato in ordine all’erroneità della sentenza oggetto di opposizione in ordine alla decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 244 c.c..

2.3. – Con l’ultimo motivo i ricorrenti denunciano "violazione di norme di diritto – ipotesi di incostituzionalità degli artt. 247 – 248 e 276 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3)".

Deducono che l’interpretazione dei termini "presunto padre" ex art. 247 c.c., "chiunque vi abbia interesse" ex art. 248 c.c., "presunto genitore" e "chiunque vi abbia interesse" ex art. 276 c.c., nel senso che sarebbe esclusa la legittimazione del padre biologico dovrebbe fare "ipotizzare" una questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24 e 30 Cost..

3.- A mente dell’art. 404 c.p.c., un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.

"La paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorchè deduca che l’esito (positivo) dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, laddove il rimedio contemplato dall’art. 404 c.p.c., presuppone in capo all’opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata" (Sez. 1, Sentenza n. 12167/2005. V. anche Sez. 1, Sentenza n. 14315/2001, secondo la quale il padre naturale non è legittimato neppure ad intervenire in appello in un giudizio di disconoscimento della paternità, essendo tale legittimazione riconosciuta a chi potrebbe proporre opposizione ai sensi dell’art. 404 c.p.c., rimedio esperibile solo da chi faccia valere un diritto autonomo e incompatibile col rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza opposta, e quindi solo a favore di chi sia pregiudicato in un suo diritto).

Questa Corte ha già affermato che tra il procedimento di disconoscimento della paternità legittima e quello instaurato per il riconoscimento della paternità naturale non sussiste un nesso di pregiudizialità dal momento che il solo oggetto di quest’ultimo giudizio è costituito per il padre biologico dal suo diritto ad escludere la paternità naturale "ex adverso" pretesa, non anche da quello a vedere affermata la paternità disconosciuta nell’altro procedimento (Sez. 1, Sentenza n. 12167/2005).

D’altra parte nè colui che sia indicato come padre naturale, nè i suoi eredi, sono legittimati passivi nel giudizio di disconoscimento della paternità e la sentenza che accoglie la domanda di disconoscimento è opponibile nei confronti di tali soggetti, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio (Sez. 1, Sentenza n. 430/2012). Inoltre, neppure è ammissibile, nel giudizio per il disconoscimento della paternità, "l’intervento di colui che è indicato come padre naturale, non potendo la controversia sul relativo riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione non sia venuta meno con il vittorioso esperimento dell’azione di disconoscimento" (Sez. 1, Sentenza n. 1784/2012).

Non essendo il padre naturale legittimato a proporre opposizione di terzo contro la sentenza di disconoscimento di paternità, il primo motivo è infondato mentre il secondo motivo – attinente al merito dell’opposizione ex art. 404 c.p.c. – è inammissibile.

Quanto all’"ipotetica" questione di legittimità costituzionale genericamente sollevata con il terzo motivo, va rilevato che l’art. 276 c.c., è estraneo alla fattispecie in esame, così come l’art. 248 c.c., avendo tale ultima azione un carattere residuale, riferendosi cioè alle contestazioni della legittimità che investano presupposti diversi da quello della paternità (Sez. 1, n. 3529/2000), mentre l’enunciato normativo "presunto padre" contenuto nell’art. 247 c.c., riferito al legittimato passivo dell’azione di disconoscimento, è speculare a quello – identico – contenuto nell’art. 235 c.c., che disciplina le condizioni di ammissibilità della stessa azione e fa riferimento al "presunto padre" come a quello così risultante dalle norme sullo stato di figlio legittimo (231-234).

"La determinazione dei soggetti legittimati a proporre l’azione di disconoscimento della paternità è una scelta insindacabile del legislatore che ha ritenuto di riservare ai soli soggetti direttamente interessati, e cioè ai membri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza della verità "biologica" o della verità "legale": una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima, quale è il presunto padre naturale, rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato ad una ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legislatore può compiere.

Nè vale opporre che l’equilibrio tra verità legale, che tutela l’unità della famiglia legittima (art. 29 Cost.), e verità biologica (art. 30 Cost.) è stato già modificato dalla L. n. 184 del 1983, con l’ammettere la promozione dell’azione di disconoscimento della paternità su iniziativa del P.M., fino a quando il figlio non abbia compiuto sedici anni, giacchè la nuova norma, prevedendo che l’azione sia poi esercitata non dal pubblico ministero, ma, in nome e nell’interesse del figlio, da un curatore speciale, è rimasta formalmente nei limiti del criterio di determinazione dei soggetti titolari dell’azione assunto dalla legge n. 151 del 1975" (Corte cost., sent. n. 429 del 1991, con la quale è stata ritenuta l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 244 c.c., u.c., in parte qua, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.).

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico del ricorrente soccombente e distratte in favore del difensore antistatario, mentre non sussistono i presupposti per l’accoglimento della richiesta di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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