Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-07-2012, n. 12206 Occupazione abusiva o illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Bari, in parziale riforma della decisione 8 marzo 2006 del Tribunale di Bari, con sentenza del 17 aprile 2009, ha condannato il comune di Conversano al risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa di alcuni terreni (in catasto all’art. 14601, fg. 53/a; part. 35) aventi natura edificatoria, appartenenti ad B.A., An., Am. e N. nella misura di Euro 6.670, con riguardo all’area acquisita per la costruzione della locale via (OMISSIS); e di Euro 557,28 per l’area servita per l’ampliamento della scuola media (OMISSIS). Ha invece respinto le doglianze degli espropriati relative al fondo utilizzato per la costruzione della via (OMISSIS) per aver condiviso gli accertamenti compiuti dal C.T.U. e recepiti dal Tribunale che avevano attribuito al terreno il valore di L. 21.825 mq.. E ribadito, infine, la prescrizione del credito con riferimento all’indennizzo dovuto per gli immobili necessari per la costruzione della via (OMISSIS), pur essi oggetto di occupazione espropriativa, posto che non era stata mai revocata in dubbio la sussistenza della dichiarazione di p.u., peraltro menzionata nel decreto di occupazione degli stessi; e che la loro irreversibile trasformazione si era verificata nell’anno 1974, mentre la citazione introduttiva del giudizio era intervenuta soltanto nell’anno 1991.

Per la cassazione della sentenza, B. hanno proposto ricorso per 12 motivi; cui resiste il comune di Conversano con controricorso.
Motivi della decisione

2. Con i primi 4 motivi del ricorso i B., denunciando violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 13 e art. 2697 cod. civ., censurano la sentenza impugnata per aver dichiarato prescritto il loro credito risarcitorio per l’occupazione da parte del comune del loro fondo; trasformato nel 1974 nella costruzione della locale via (OMISSIS), senza considerare: a) che non si era verificata alcuna espropriazione, sia pure illegittima in quanto la dichiarazione di p.u. dell’opera non risultava provvista dei 4 termini stabiliti dal menzionato art. 13; per cui nel caso si era verificata un’occupazione c.d. usurpativa da parte dell’ente pubblico, in relazione alla quale la prescrizione avrebbe potuto cominciare a decorrere dall’atto introduttivo del giudizio in cui avevano rinunciato a far valere il loro diritto alla restituzione dell’immobile; b) che la prova della fissazione dei termini suddetti gravava sul comune che aveva avanzato l’eccezione di prescrizione; e non poteva essere sostituita da comportamenti equipollenti, quali la menzione della dichiarazione in un decreto del Provveditorato delle o.p., ovvero la condotta acquiescente mantenuta dal loro dante causa in occasione dell’immissione in possesso del terreno.

Le doglianze vanno accolte seppure per ragioni diverse da quelle prospettate.

E’ infatti esatto quanto dedotto dal comune che una volta riconosciuto dalla controparte l’avvenuta (tempestiva) adozione della dichiarazione di p.u. della strada realizzanda, che per legge deve contenere i termini indicati dalla menzionata norma, spettava ai B. dapprima indicare e quindi dimostrare quali di essi fosse stato omesso nel provvedimento (anche per la diversa valenza di ciascuno ai fini della validità dell’atto), trascrivendone peraltro nel ricorso il contenuto nella parte in cui essi ritenevano sussistente l’omissione; per cui sotto questo profilo va confermata la c.d. occupazione acquisitiva del loro terreno accertata dai giudici di merito.

Sennonchè, in considerazione degli orientamenti giurisprudenziali espressi dalla CEDU questa Suprema Corte ha ripetutamente enunciato il principio (Da ultimo: Cass. 19953, 16122, 15017/2011) secondo cui, in tema di occupazione appropriativa, avendo il legislatore riconosciuto gli effetti dell’istituto per la prima volta soltanto con la L. 27 ottobre 1988, n. 458 (seppure indirettamente), è a partire da questo momento che è iniziata a decorrere, in quanto solo allora normativamente percepibile, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno insorto in epoca anteriore: dovendosi fare applicazione – quale principio di diritto intertemporale che va a conformare in termini di diritto vivente la norma europea che lo Stato si è impegnato ad osservare (L. n. 849 del 1955) – di quanto enunciato dalla Corte di Strasburgo in sede di interpretazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU, circa la necessità che un’ingerenza di una pubblica autorità nell’esercizio dei diritti del privato sia "legale" e che il "principio di legalità" postuli l’esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, chiare e "prevedibili" (Cass. 20543/2008; 21203/2009). Laddove, siccome la decorrenza del termine prescrizionale, normalmente localizzabile nella consumazione dell’illecito è identificato nella irreversibile trasformazione del fondo, o nella scadenza del periodo di occupazione legittima entro il quale la manipolazione è intervenuta, per le fattispecie consumatesi anteriormente, dalla data di entrata in vigore di quella legge (3.11.1988), non può dirsi esistente un ambito di chiarezza e legalità, nel quale il privato, interessato da occupazioni illegittime, fosse in grado si reagire consapevolmente agli abusi della pubblica amministrazione.

Nella specie, dunque, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione non poteva in ogni caso farsi decorrere dall’illecito, anteriore alla data suddetta, con la conseguenza che è stato definitivamente interrotto dalla citazione introduttiva del giudizio notificata al comune il 31 gennaio 1991.

Il giudice di rinvio dovrà dunque provvedere all’indennizzo dovuto ai B. anche per l’illegittima espropriazione del fondo utilizzato per la costruzione della via (OMISSIS); ed in tale statuizione resta assorbito il quinto motivo del ricorso.

3. Con i motivi da 6 a 10 i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 2909 cod. civ., nonchè numerosi difetti di motivazione censurano la valutazione compiuta dalla sentenza impugnata del fondo utilizzato per la realizzazione della via (OMISSIS), in quanto: a) entrambi i giudici di merito si erano avvalsi di tre atti relative a vendite perfezionatesi nel biennio 1985-1986 che non potevano ritenersi attendibili, non risultando che ne fosse stata compiuta la verifica presso l’Ufficio del Registro (neppure dal c.t.u.); b) non era stata fornita alcuna risposta alla dedotta mancanza di rappresentatività di detti atti perchè ubicati in zone diverse ed aventi destinazioni urbanistiche diverse; c) non erano state tenute in alcuna considerazione nè la valutazione compiuta dalla stessa Corte di appello (sent. 367/89), pronunciata dalle stesse parti, su di un terreno vicino, perciò costituente giudicato in questo giudizio, nè quella in altra compravendita di terreni pur essi prossimi, evidenziata dal c.t.p.; che riportavano valori assai più elevati, perciò immotivatamente disattesi.

Le censure sono fondate nei limiti appresso precisati.

Al riguardo il Collegio deve rilevare che la sentenza impugnata ed i ricorrenti hanno mostrato di non comprendere nè il contenuto nè la funzione del metodo di stima c.d. sintetico-comparativo, che la Corte di appello ha dichiarato di applicare: non concretandosi lo stesso nè nella ricerca di terreni vicini (in senso spaziale) a quello oggetto di stima, o aventi con esso una qualche affinità sul mercato immobiliare; nè tanto meno nella scelta parametrica di soli atti di compravendita già sottoposti a verifica fiscale da parte dell’Agenzia delle entrate.

Questa Corte, infatti ha ripetutamente affermato che il metodo suddetto è incentrato sulla ricognizione di prezzi storici e certi che, in ragione della loro rappresentatività, si porgono come idonei parametri di determinazione del valore da attribuire al bene oggetto della stima. E siffatta rappresentatività si configura esclusivamente allorquando i prezzi di confronto riguardino terreni forniti di caratteristiche, per lo meno, analoghe a quelle proprie dell’immobile da valutare, perciò attinenti sia alla disciplina urbanistica delle rispettive zone di appartenenza, sia alla morfologia, nonchè ad ogni altra caratteristica dei beni considerati (giacitura, natura geologica, conformazione orografica, accessibilità, ecc.), sia infine al periodo di tempo in cui ne è avvenuta la stima. Per cui ciò che rileva non è la categoria degli atti da cui desumere il probabile valore di mercato dell’area, che non costituisce un numero chiuso necessariamente coincidente con i contratti di compravendita e con le decisioni giudiziali, bensì il preventivo motivato riscontro della rappresentatività dei dati utilizzati per la comparazione, e cioè l’accertamento che essi riguardino terreni muniti di caratteristiche analoghe, tanto con riferimento al dato temporale ed alla loro obiettiva natura ed ubicazione, quanto in relazione alla disciplina urbanistica cui sono soggetti: il prezzo di mercato può essere quindi tratto anche da fonti diverse, quali cessioni volontarie, perizie giudiziarie, o accertamenti di valore di natura fiscale o ancora da pubblicazioni specializzate del settore, o da atti di natura privatistica diversi dalla compravendita, quali permute, donazioni o ancora locazioni, o ancora da altri documenti di equivalente valore probatorio, semprecchè gli immobili che ne sono oggetto presentino indubbio carattere di omogeneità nei sensi appena indicati con l’immobile da stimare (Cass. 20413, 7200 e 6001/2011; 3175/2008;6122 e 4583/1990).

Al lume di questi principi risultano palesi gli errori in cui è incorsa la sentenza impugnata, la quale: a) dopo avere accertato che l’espropriazione si era verificata nell’anno 1974, in cui doveva quindi essere apprezzato il prezzo di mercato del fondo B., ha prescelto, quali elementi di comparazione tre atti di compravendita stipulati nel biennio 1985-1986, perciò stesso privi di alcuna rappresentatività (quanto meno) sotto il profilo temporale: al pari della decisione 367/1989 della stessa Corte che aveva stimato altro terreno dello stesso B. nell’anno 1981, invocata dai ricorrenti unitamente ad altro atto di compravendita dello stesso periodo per il solo fatto che recavano valutazioni ad essi più favorevoli e senza neppure documentare che avevano per oggetto immobili ubicati nella medesima zona residenziale E2 del P.F. allora vigente, in cui secondo gli accertamenti della sentenza impugnata era compreso quello dei ricorrenti; b) ha successivamente smentito che si trattasse di atti rappresentativi avvertendo l’esigenza di adeguarne il valore all’anno 1974 in base agli indici ISTAT per il rilievo del costo della vita: e cioè con parametri aventi tutt’altra funzione, avendo la giurisprudenza di legittimità ripetutamente affermato che il mercato immobiliare risente, invece, di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, anche se a questa parzialmente legate, e di condizioni microeconomiche dettate dallo sviluppo edilizio di una determinata zona, e queste sono completamente avulse dal valore della moneta. E che l’andamento del mercato immobiliare, dunque, non può essere ricostruito in base alle modificazioni nel tempo del valore della moneta, ma richiede un’indagine specifica nel settore, anche perchè gli indici Istat riflettono le variazioni dei prezzi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili (Cass. 14031/2000;

8706/2006; 24857/2006; 3189/2008); c) ha disapplicato il criterio di stima sintetico-comparativo anche in relazione al regime urbanistico dei suoli prescelti per la comparazione che non doveva essere "similare" a quello da valutare, nè ricavabile da strumenti urbanistici successivi, ma doveva essere fondato sull’apprezzamento di terreni ubicati nella medesima zona E2, aventi quindi, identica destinazione urbanistica (perciò a nulla rilevando neppure che si trattasse di terreni dello stesso B., o che fossero stati pur essi oggetto di espropriazione da parte della medesima amministrazione espropriante e di precedenti pronunce giudiziarie:

posto che il giudicato esterno poteva essere invocabile soltanto ove queste ultime oltre a riguardare gli stessi soggetti, avessero avuto per oggetto il medesimo fondo, nonchè la medesima causa petendi); d) non ha infine considerato che in mancanza di elementi di comparazione "omogenei", la sola conseguenza conforme al dettato della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, era soltanto quella di mutare metodo di stima scegliendo esemplificativamente quelli analitici- ricostruttivi, o altri che rispecchiassero comunque il mercato immobiliare del comune di Conversano nell’anno 1974 (e non in quelli successivi).

4. Con l’11 e 12 motivo del ricorso, infine, i B. censurano anche la valutazione del suolo per la realizzazione di via (OMISSIS) addebitando alla sentenza impugnata di avere disatteso immotivatamente la stima compiuta dal c.t.u. L. pervenuto ad un prezzo di mercato più elevato; e comunque i dati di comparazione da essi offerti con riferimento ad aree valutate nel 1981 (in L. 110.000 mq.) in base a considerazioni errate fondate su circostanze relative a lottizzazioni che invece si erano verificate soltanto nel 1994.

Queste doglianze sono infondate.

La sentenza impugnata per la valutazione del fondo in questione ha recepito gli accertamenti compiuti dal c.t.u. K. su terreni della medesima zona all’epoca dell’occupazione espropriativa (anno 1990), la cui correttezza e congruità ha ritenuto confermate dall’accertamento di valore compiuto dall’Ufficio del Registro sui suoli residui dello stesso B.. Nessuno di questi dati è stato contestato dai ricorrenti, come era necessario per inficiare la stima comparativa eseguita dalla Corte di appello; cui in sostanza i ricorrenti rimproverano soltanto di non avere anteposto agli stessi altri elementi ad essi più favorevoli: senza considerare, da un lato, che la valutazione delle risultanze probatorie, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata. E, dall’altro, che proprio i principi avanti esposti sulla metodologia del criterio sintetico-comparativo escludevano in radice la possibilità di recepire entrambe le stime prospettate dagli espropriati: anzitutto quella relativa alla compravendita P. stipulata nell’anno 1981 e perciò relativa ad un mercato immobiliare assolutamente diverso da quello accertato quasi un decennio dopo;e senza alcuna indicazione relativa alla zona in cui era ubicato il suddetto immobile nè alle altre circostanze fattuali che dovevano documentarne la rappresentatività rispetto al fondo espropriato. E quindi quella ancor più arbitraria ottenuta dal c.t. L.B. mediando i valori di terreni aventi destinazioni diverse, in epoche diverse, per poi adeguarli agli anni di riferimento attraverso il parametro degli indici calcolati dall’ISTAT per rilevare l’aumento dei prezzi di consumo: e perciò sostanzialmente pervenendo ad una sorta di stima (arbitraria) equitativa estranea alla materia delle espropriazioni per p.u..

7. Conclusivamente, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che si atterrà ai principi esposti e provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi quattro motivi del ricorso, nonchè il sesto ed il settimo, assorbiti il quinto, l’ottavo, il nono ed il decimo, rigetta l’11 ed il 12, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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