Cassazione, Sez. I, 8 febbraio 2010, n. 4971 Aggravante mafiosa e favoreggiamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Considerato in fatto e in diritto

Con ordinanza 19/06/2009 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza 08/04/2009 del G.I.P. in sede con la quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Omissis, sottoposta a indagini, unitamente ad altre persone, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo D) e di favoreggiamento aggravato dalla circostanza di cui all’art. 7 L. 203/1991 per aver favorito la latitanza di Omissis, raggiunto da ordine di carcerazione per il reato previsto dall’art. 416 bis c.p., ospitandolo anche presso abitazioni nella sua disponibilità (capo M).

Nella motivazione il Tribunale premetteva che le indagini – basate su numerose intercettazioni ambientali e telefoniche, accertamenti e controlli eseguiti dalla polizia giudiziaria e dichiarazioni del collaboratore di giustizia Omissis – riguardavano la “locale” di Seminara, caratterizzata da gruppi organizzati su base familiare in lotta tra loro per il controllo del territorio. Le indagini, che si ricollegavano a quelle svolte in occasione della precedente operazione “Topa”, riguardavano in particolare da un lato il gruppo facente capo a Omissis, appartenente agli “ndoli”, che si era dimostrato particolarmente attivo in occasione delle consultazioni elettorali del mese di maggio 2007 al fine di acquisire il controllo della gestione degli affari del comune di Seminara, dall’altro il gruppo facente capo ai Caia-Gioffré, detti “ngrisi”, di cui esponente di spicco era Omissis, marito della ricorrente e cognato del Omissis. Il contrasto tra i gruppi si era acuito di recente a seguito del tentato omicidio di Omissis detto “Zorro” e alla conseguente reazione posta in essere dalla famiglia dei Gioffré “ndoli”, facente capo a Omissis, il quale nel corso di una riunione di famiglia tenutasi nel locale cosiddetto “motore” in data 27/10/2007 aveva dato l’ordine di uccidere gli autori del ferimento. Tale ordine era stato tempestivamente eseguito il giorno successivo tanto che Romeo Carmelo e Caia Antonio, esponenti della famiglia contrapposta dei Gioffré detti “ngrisi”, erano stati attinti da colpi di arma da fuoco. A tal proposito il Tribunale valorizzava le intercettazioni ambientali, specificamente riportate in motivazione, captate in occasione della riunione di famiglia in presenza degli affiliati nella quale erano state decise le linee operative di risposta al ferimento subito da Omissis.

Ciò premesso il Tribunale ai fini della gravità indiziaria a carico della ricorrente valorizzava le intercettazioni captate nel carcere relative alle conversazioni intercorse tra Omissis e la moglie, dalle quali era emerso da un lato che la ricorrente informava il marito in merito ai fatti riguardanti la famiglia e in particolare al ferimento del fratello, dall’altro che il marito, preso atto delle informazioni, impartiva ordini e consigli ai vari componenti della famiglia sul come comportarsi. Inoltre il Tribunale, oltre a dare atto che il Laganà nel periodo della sua latitanza era rimasto in zona e quindi aveva usufruito dell’appoggio dei componenti della associazione di sua appartenenza, valorizzava accertamenti di polizia giudiziaria, nonché alcune intercettazioni specificamente indicate dalle quali si desumeva che la ricorrente aveva favorito la latitanza del Laganà, ospitandolo nella sua abitazione e fornendogli anche appoggio logistico (vedi pag. 28 dove si parla del ricovero fornito al Laganà).

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale le riteneva sussistenti atteso che non erano stati acquisiti elementi idonei al superamento della presunzione prevista dall’art. 275 comma 3 c.p.p..

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore, che ne ha chiesto l’annullamento deducendo il vizio della motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 273 c.p.p., 416 bis, 378 c.p. e 7 L. 203/1991 sul rilievo che il Tribunale, senza tenere conto che la ricorrente era del tutto estranea alle vicende del clan Gioffré “ndoli” e quindi erano del tutto irrilevanti nei suoi confronti le intercettazioni relative a tale procedimento, non aveva considerato che dalle conversazioni intercorse con il marito non erano emersi elementi dai quali si potesse desumere una sua condotta diretta al perseguimento dei fini dell’associazione, trattandosi solo di notizie riferite al marito riguardanti il ferimento del fratello e le condizioni di disagio in cui si trovava la cognata Domenica, sorella del marito, a seguito dei dissidi intercorsi con il marito Laganà Saverio. Inoltre il Tribunale non aveva considerato che la ricorrente aveva giustificato i rapporti con la cognata e suo marito, il quale in più occasioni aveva percosso la moglie.

Il ricorso è parzialmente fondato.

Invero, ai fini della gravità indiziaria in relazione al reato associativo, il Tribunale ha valorizzato da un lato le conversazioni riferibili al clan avverso dei Gioffrè “ndoli”, dall’altro le conversazioni captate in occasione degli incontri in carcere tra la ricorrente e suo marito nel corso delle quali la stessa informava il marito sui probabili autori del ferimento del fratello e dei contrasti esistenti tra la cognata e suo marito. Giustamente il Tribunale ha desunto da tali conversazioni e dagli agguati tesi a Omissis e a Omissis, cognato della ricorrente, l’esistenza dei due clan contrapposti operanti nella zona di Seminara, ma non ha specificato da quali concreti elementi ha desunto che la ricorrente abbia agito con la consapevolezza di far parte dell’associazione, apportando un contributo al sodalizio Caia-Gioffrè (detti “ngrisi”). Infatti le conversazioni che si riferiscono al sodalizio contrapposto degli “ndoli” sono del tutto irrilevanti nei confronti della ricorrente, mentre quelle intercorse con il marito consistono in uno scambio di informazioni relative al ferimento del fratello del marito o ai rapporti contrastati tra la cognata e suo marito Omissis, come tali non sufficienti a lasciar desumere l’intraneità della ricorrente nel sodalizio, mancando l’indicazione di specifici elementi dai quali si possa desumere che la ricorrente con tale condotta abbia fornito un contributo concreto al perseguimento dei fini dell’associazione criminale.

Né l’appartenenza della ricorrente alla associazione può desumersi solo dal favoreggiamento della latitanza del Omissis, tenuto conto dei rapporti di stretta affinità tra la ricorrente e la cognata, moglie del latitante. A tal proposito va rilevato che l’aggravante prevista dall’art. 7 L. 203/1991, contestata in relazione al reato di favoreggiamento, può essere ritenuta sussistente sempre che si dimostri che il latitante svolga un ruolo apicale nell’associazione. Infatti non vi è dubbio che in tal caso l’aver favorito la latitanza di un soggetto che riveste un ruolo apicale lascia desumere che l’agente abbia operato al fine di agevolare l’associazione contribuendo in modo significativo a preservarne i vertici. Al contrario tale aggravante non può ritenersi sussistente nel caso in cui sia favorita la latitanza di un semplice affiliato per ragioni di amicizia, di parentela o di affinità, mancando in tal caso il fine di agevolare l’associazione e la consapevolezza di fornire un contributo al perseguimento dei fini dell’associazione.

Del tutto inammissibili devono ritenersi invece le censure, peraltro generiche, dedotte in relazione al reato di favoreggiamento.

Infatti a tal proposito il Tribunale ha valorizzato elementi specifici desunti da accertamenti di polizia e dalle intercettazioni (presenza del Laganà in zona nel periodo della sua latitanza, ospitalità fornita al latitante nella abitazione della ricorrente, fornitura di appoggio logistico in un ricovero vicino alla sua abitazione, ecc.), indubbiamente idonei a lasciar desumere con elevata probabilità l’attribuzione del reato per il quale si procede alla indagata.

Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato associativo e alla aggravante prevista dall’art. 7 L. 203/1991 con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

P.T.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato associativo e alla aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991 e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 co. 1 ter norme att. c.p.p..

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