Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-06-2012) 23-07-2012, n. 30052 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 7.12.2009, ha riformato la sentenza emessa in data 12.5.2008 dal Tribunale di Nola ed appellata da S.M., T.C., T. M. e T.V., imputati dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e art. 59 c.p., comma 2, art. 110 c.p., art. 349 c.p., comma 2, dichiarando la nullità della sentenza di primo grado emessa nei confronti di T.V. ed ordinando la trasmissione degli atti al giudice che procedeva, disponendo la correzione dell’errore materiale del dispositivo, eliminando al penultimo capoverso il punto in cui è menzionato T.C. e confermando nel resto l’impugnata decisione.

Avverso tale pronuncia T.C. e T.M. propongono ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza con riferimento a tutti gli imputati, in quanto la mancata osservanza delle formalità di cui all’art. 130 cod. proc. pen. rilevata dai giudici del gravame relativamente alla posizione di T.V. era in realtà riferibile anche a loro.

3. Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, questione prospettata al giudice dell’appello e sulla quale si sarebbe argomentato con motivazione illogica.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano, con riferimento alla posizione di T.C., la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale non avrebbe dovuto procedere alla correzione dell’errore materiale, bensì annullare la decisione di primo grado stante la evidente contraddittorietà della stessa, determinata dal fatto che non è dato comprendere se il T. sia stato assolto o condannato per il reato rubricato sub A) e quale sia la pena irrogatagli per i reati rubricati sub C) e D).

5. Con un quarto motivo di ricorso rilevano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe apoditticamente disatteso le deduzioni difensive, non tenendo conto della produzione di altra decisione che individuava la S. quale unica responsabile della medesima costruzione oggetto di contestazione ed estendendo la responsabilità a tutti gli imputati, non essendovi prove di una loro responsabilità nell’esecuzione delle opere e nella violazione di sigilli.

6. Con un quinto motivo di ricorso lamentano violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche pur in presenza dei presupposti di legge.

Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

7. Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare che i ricorrenti ripropongono in questa sede questioni già prospettate ai giudici del gravame e da questi motivatamente confutate.

Con riferimento al primo e terzo motivo di ricorso deve rilevarsi che la Corte territoriale ha esattamente chiarito i termini della questione prospettata dagli appellanti, risolvendola conformemente a legge e fornendo adeguata motivazione.

I giudici dell’appello hanno infatti rilevato la nullità della sentenza di primo grado relativamente alla posizione di T. V. osservando che, sebbene in motivazione lo stesso fosse indicato come responsabile dei reati indicati ai capi C) e D) della rubrica, mancava ogni statuizione al riguardo nel dispositivo letto in udienza e non era stata promossa la procedura di correzione ai sensi dell’art. 130 c.p.p..

A diverse conclusioni sono pervenuti per quanto riguarda la posizione di T.C., determinandosi ad operare la correzione dell’errore materiale ai sensi dell’art. 130 c.p.p..

Hanno infatti osservato che il dispositivo non presentava alcun contrasto con la motivazione, in quanto il T. risultava nel secondo capoverso condannato per i reati di cui ai capi A), C) e D) della rubrica e nel penultimo capoverso nuovamente condannato per i capi C) e D), cosicchè era evidente l’errore materiale essendo del tutto estranea detta statuizione a quanto argomentato in sentenza.

Analogamente, hanno rilevato l’errore materiale nella compresenza, in relazione alla contestazione di cui al capo A), di una duplice statuizione di condanna e di assoluzione, essendovi corrispondenza in motivazione solo con la prima.

Ciò posto, appare evidente che l’operato dei giudici del gravame resta sottratto ad ogni censura in quanto, dalla ricostruzione offerta nell’impugnata sentenza, appare evidente l’errore materiale del primo giudice, concretatosi nel non corretto riferimento alle imputazioni, attuato attraverso la ripetizione dei richiami ai singoli capi della rubrica, sostanzialmente duplicati e, in un caso, quello relativo al capo A), anche con due statuizioni tra loro contrastanti, di cui solo quella di condanna trova pieno riscontro in motivazione.

La Corte territoriale ha dunque esattamente qualificato la confusa stesura del dispositivo da parte del primo giudice, che non avrebbe potuto essere ricondotta ad ipotesi diversa da quella del mero errore materiale e, altrettanto correttamente, ha fatto ricorso alla motivazione per chiarirne il senso.

Si è infatti ripetutamente osservato, da parte di questa Corte, che l’eventuale divergenza tra dispositivo e motivazione della sentenza non può essere sempre risolta ricorrendo al criterio della prevalenza del primo sulla seconda, atteso che la motivazione conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e pertanto ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (così Sez. 4, n. 40796, 31 ottobre 2008 ed altre succ. e prec. conformi).

I chiarimenti forniti dai giudici del gravame e la conseguente correzione dell’errore hanno indotto, altrettanto correttamente, anche ad escludere fa dedotta contraddittorietà della motivazione.

Ne consegue che l’eccezione di nullità estensibile anche ai coimputati è del tutto infondata.

8. Del tutto infondato risulta anche il secondo motivo di ricorso.

Contrariamente a quanto sostenuto, infatti, i giudici del gravame hanno motivatamente escluso la prescrizione dei reati individuando esattamente la data di consumazione del reato ((OMISSIS)) e la disciplina applicabile nella fattispecie (quella attualmente vigente).

Sul punto i ricorrenti non formulano alcuna specifica deduzione, limitandosi genericamente a rilevare il vizio di motivazione.

La prescrizione dei reati, pertanto, alla data della pronuncia di secondo grado non era maturata, perchè, considerato anche il periodo di sospensione di mesi 5 e giorni 25 (dal 16.7.2007 al 10.1.2008 per adesione del difensore all’astensione dalle udienze), il termine massimo per la contravvenzione va collocato al 16.6.2012 e quello per i delitti in data successiva.

9. Di tutta evidenza risulta, inoltre, l’infondatezza del quarto motivo di ricorso.

Anche in questo caso la sentenza impugnata viene assoggettata a generiche critiche, sostanzialmente ripetitive delle doglianze mosse con l’atto di appello, censurando l’affermazione di penale responsabilità attraverso la riproposizione di una lettura alternativa e più favorevole del compendio probatorio.

In realtà, anche sul punto la Corte del merito non ha mancato di esplicitare adeguatamente le ragioni che giustificavano la conferma della decisione di primo grado.

I giudici chiariscono infatti che gli interventi realizzati erano soggetti a permesso di costruire, trattandosi di prosecuzione di lavori che già all’origine avevano determinato la creazione di nuovi volumi ed evidenziano la irrilevanza di una precedente pronuncia, in quanto perfettamente compatibile con la prosecuzione dei lavori contestata.

Quanto alla posizione di T.C., pongono in risalto i suoi rapporti con le maestranze addette all’esecuzione dei lavori anche dopo l’apposizione dei sigilli al cantiere, avvenuta in sua presenza, chiarendo anche la natura e consistenza degli interventi disposti ed eliminando, così, ogni dubbio in ordine alla sua responsabilità per i fatti in contestazione.

Altrettanto avviene con riferimento alla posizione di T. M., rispetto alla quale i giudici del gravame evidenziano la posizione di custode dei beni sequestrati, la presenza del cantiere in prossimità della sua abitazione, la fattiva partecipazione all’attività edificatoria desunta dalla circostanza che gli operai che l’eseguivano, per accedere al cantiere, dovevano utilizzare un passaggio ubicato sulla proprietà della predetta chiuso da un cancello automatico che la stessa comandava a distanza e del quale anche T.C. aveva le chiavi.

Tali dati fattuali, verificati anche attraverso il riscontro offerto da deposizioni testimoniali, sono stati oggetto di una valutazione da parte dei giudici del gravame del tutto scevra da cedimenti logici o manifeste contraddizioni, nonchè giuridicamente corretta.

Sul punto, dunque, la sentenza impugnata si profila del tutto immune da censure.

10. Anche il quinto motivo di ricorso, infine, risulta manifestamente infondato.

Lamentano i ricorrenti, ancora una volta del tutto genericamente, la mancata concessione delle attenuanti generiche che i giudici del merito hanno loro motivatamente negato.

Osserva a tale proposito la Corte territoriale che il diniego deve ritenersi giustificato dalla reiterazione delle violazioni e dal "pervicace proposito antidoveroso che ne emerge".

Si tratta di motivazione del tutto adeguata e conforme a legge, atteso che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1, n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6, n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6, n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1, n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 2 n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6 n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6 n. 7707, 4 dicembre 2003).

11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7 – 13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012

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