Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-06-2012) 16-07-2012, n. 28537 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza 26-1-2012, su appello del PM avverso il provvedimento del Gip di quella città in data 31-10-2011, applicava a A.V., C.A., CE.An. e L.L., provvisoriamente indagati per i reati di cui oltre, la misura cautelare della custodia in carcere.

2. Per C., che risponde provvisoriamente dei capi 37 (reato associativo: gennaio/giugno 2006) e 17 (un reato fine, marzo 2006), mentre il Gip, pur riconoscendo la ricorrenza dei quadro cautelare gravemente indiziario, aveva ritenuto insussistenti le esigenze cautelari attribuendo al riconosciuto ruolo minore, in una con il tempo trascorso, efficacia prevalente, il tribunale del riesame valorizzava le funzioni dell’indagato – risultanti dalle intercettazioni nelle quali era indicato come A. o come P., in ragione della peculiare forma del suo naso-, non solo di semplice accompagnatore dell’acquirente di droga C.L. (capo 17), ma anche precedenti e successive a quella compravendita, avendo C. dapprima ritirato una quota parte del prezzo da M.P., indi consegnato a questi parte dello stupefacente acquistato: il che dava conto dei suoi stretti legami con i fratelli Ce., con ruoli diversificati e significativi. In assenza di elementi indicativi della cessazione di tali rapporti criminali, il tribunale concludeva per il mancato superamento della presunzione relativa di adeguatezza a della custodia in carcere (Corte Cost. 231/2011).

2.1 Con ricorso proposto tramite il difensore avv. Sebastiano Fusco, C. deduceva vizio di motivazione tanto sul punto dei gravi indizi che delle esigenze cautelari, rilevando, sotto il primo profilo, assenza di verifica circa riconducibilità al predetto dei riferimenti ad A. o a (OMISSIS), sotto il secondo, l’illogicità della conclusione della mancanza di elementi indicativi della cessazione di rapporti criminali, a fronte della contestazione chiusa (con termine al giugno 2006) del reato associativo e quindi della valenza prevalente del tempo trascorso dai fatti.

3. Quanto a A.V., chiamato provvisoriamente a rispondere degli stessi capi d’imputazione, mentre il Gip aveva escluso anche il requisito della gravità indiziaria valorizzando la possibilità che questi potesse ignorare la destinazione della somma da lui ritirata, in compagnia di C., presso il M., il tribunale del riesame desumeva gravi indizi della consapevolezza dal fatto che circa un mese dopo A. era stato arrestato in possesso di 26 chili di cocaina, appena importati dalla Spagna, che stava trasportando da Milano a Napoli, vicenda in cui erano coinvolti i fratelli Ce. e M.. Il che era ritenuto sintomo di stabile inserimento dell’indagato nella struttura associativa, con un ruolo significativo nella filiera delinquenziale, anche in considerazione del delicato incarico che stava espletando quando era stato tratto in arresto. Il che, secondo il tribunale, insieme con la presenza di un precedente per ricettazione, deponeva anche per il pericolo di reiterazione del reato, in assenza di prova che quei legami fossero stati recisi.

3.1 Con ricorso personalmente proposto l’indagato lamentava violazione di legge per non essere stato espresso il ragionamento tramite il quale era stata raggiunta la conclusione della gravità indiziaria, fondata su ipotesi e congetture, come pure il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari, che trascurava il lungo periodo di custodia cautelare già scontato a seguito dell’arresto per il possesso dei 26 chili di cocaina, e il cambiamento di vita successivo alla liberazione.

4. Ad CE.An., provvisoriamente incolpato dei reati di cui ai capi 19, 20 e 37, cui il Gip aveva applicato il divieto di dimora in relazione agli ultimi due, non ravvisando gravità indiziaria quanto al primo sotto il profilo dell’elemento psicologico (in quanto aveva ritenuto non dimostrato che, allorchè egli aveva procurato la disponibilità di L. su richiesta di C.M., fosse consapevole della funzione di corriere della droga che L. avrebbe dovuto svolgere), il tribunale del riesame ha applicato la massima misura cautelare in relazione a tutti e tre i reati. La gravità indiziaria per il capo 19 è stata ancorata alla piena partecipazione dell’indagato al sodalizio criminale, allo svolgimento di compiti di varia natura all’interno dello stesso, ai rapporti di fiducia con i fratelli, personaggi di vertice, alla circostanza che, pochi giorno dopo, egli avesse codetenuto con il L. (capo 20) cinque chili di extasy, non potendo quindi ignorare il compito che sarebbe stato affidato a quest’ultimo.

Sulle esigenze cautelari, che il Gip aveva ritenuto soddisfatte attraverso il divieto di dimora in Napoli, il tribunale del riesame rilevava che, pur a fronte dell’esclusione del ruolo di promotore del gruppo, e della non diretta partecipazione agli acquisti di stupefacente, i molti contributi forniti dall’indagato nel contesto associativo e la partecipazione mediata all’acquisto di cui al capo 19, non consentissero il superamento della presunzione relativa di adeguatezza della misura cautelare custodiale.

4.1 Con ricorso proposto tramite il difensore avv. F. Di Tommaso, Ce.An. deduceva con un primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dei gravi indizi per il reato di cui al capo 19, basato su una sola conversazione intercettata tra C.M. e l’indagato, che veniva riportata, ritenuta non significativa delle ragioni della convocazione del L., nè del fatto che A. avesse dato effettivo corso alla convocazione. Dunque le contrarie conclusioni del tribunale erano, secondo il ricorrente, in contrasto con giurisprudenza di questa corte circa la non autonomia delle intercettazioni come fonte di prova, circa i criteri di valutazione delle stesse -i medesimi di quelli degli indizi-, circa la necessità che il loro tenore sia di chiaro significato.

Inoltre la circostanza che in seguito il Ce. avesse preso parte ad altro fatto criminoso, non poteva essere utilizzata per affermare la sua partecipazione al reato di cui al capo 19).

4.2 Con un secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari in relazione ai capi 20 e 37, non avendo il tribunale motivato l’insufficienza del divieto di dimora in atto, nè l’adeguatezza di misure comunque minori rispetto a quella applicata.

4.3 Con il terzo motivo gli stessi vizi erano dedotti con riferimento all’applicazione della massima misura cautelare in relazione al capo 19, in assenza di motivazione circa l’adeguatezza di misure minori alla salvaguardia delle esigenze cautelari.

5. A L.L., provvisoriamente incolpato dei reati di cui ai capi 19, 20 e 37, cui il Gip aveva applicato la misura degli arresti domiciliari ritenendo il suo ruolo meramente esecutivo, il tribunale del riesame ha applicato la massima misura cautelare ritenendo che le mansioni di corriere svolte nella compravendita sub capo 19 (la droga era destinata a diverse piazze, e tra l’altro ad un esponente di un clan camorristico) e le funzioni di coordinatore dello spaccio di marijuana della piazza facente capo a P. C., peraltro riconosciute dal Gip, deponessero per una posizione di livello superiore, non essendo quindi ravvisabili elementi indicativi che le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con misure minori.

5.1 L’avv. S. Nottola con il ricorso nell’interesse di L., ha dedotto mancanza di concreta motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari rilevando l’omessa valutazione del tempo trascorso e della personalità non particolarmente trasgressivà dell’indagato ai fini del superamento della presunzione relativa di adeguatezza della più grave misura.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono infondati e vanno disattesi.

2. Il ricorso proposto nell’interesse del C. si limita ad addebitare all’ordinanza, in punto di gravità del quadro indiziario, vizio motivazionale inerente alla mancata verifica della riferibilità al predetto del nome A. e del soprannome (OMISSIS), trascurando che, al contrario, il tribunale ha dato conto, oltre che del fatto che A. corrisponde al nome di battesimo dell’indagato, anche, a fugare ogni possibile residuo dubbio sull’identificazione, che lo pseudonimo (OMISSIS), dovuto alla peculiare forma del naso, si riferisce proprio a lui.

Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, il provvedimento ha fornito ragionata contezza, in linea con la giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, secondo periodo, (Corte Cost. 231/2011), dell’assenza di positivi elementi specifici, in relazione al caso concreto, idonei al superamento della presunzione relativa di adeguatezza della sola più grave misura cautelare in relazione al reato associativo contestato.

Conclusione non incisa dal rilievo del ricorrente circa il carattere chiuso della contestazione, che indica l’epoca dell’accertamento del fatto criminoso, ma che non è significativa di recisione da parte dell’Indagato degli stretti legami con i correi.

3. Infondato, ai limiti dell’inammissibilità, è il ricorso proposto da A., che rimprovera al tribunale il giudizio meramente congetturale circa la gravità indiziaria e le esigenze cautelari.

3.1 Per contro l’ordinanza, in modo coerente con le risultanze investigative, ha valorizzato, ai fini del riconoscimento della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui al capo 17), l’arresto, di poco successivo, dell’ A., nel possesso di 26 chilogrammi di cocaina, oggetto di importazione dalla Spagna, nella quale erano coinvolti i fratelli Ce. ed il M., partecipi pure al reato sub 17), desumendone, con inappuntabile logica, che il ruolo, di delicata responsabilità, di vettore di tale quantitativo di stupefacente, non poteva prescindere dalla consapevolezza della destinazione della somma da lui ritirata, in compagnia di C., poco tempo prima, presso il M., ai fini dell’acquisto di cocaina di cui al capo 17.

3.2 Mentre il giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari, non è seriamente contestabile sulla base del lungo periodo di custodia cautelare già scontato a seguito dell’arresto, e del cambiamento di vita successivo alla liberazione, essendo il primo elemento irrilevante, il secondo meramente assertivo, e comunque nessuno dei due integrando quei positivi elementi specifici idonei, in relazione al caso concreto, al superamento della presunzione relativa di adeguatezza della sola più grave misura cautelare, in base alla giurisprudenza costituzionale più sopra evocata.

4. Tutti i motivi del ricorso proposto nell’interesse di An. C. sono connotati da infondatezza.

4.1 L’ordinanza del tribunale del riesame si sottrae alle censure di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dei gravi indizi per il reato di cui al capo 19, oggetto del primo motivo, in quanto la conversazione intercettata tra Ce.Ma. e l’indagato, è, contrariamente all’assunto del ricorrente, chiaramente significativa, s’intende nei limiti della probatio minor che caratterizza la fase cautelare, delle ragioni della convocazione del L., avendo Ce.An. risposto significativamente all’invito del fratello "dopo me la vedo io".

Mentre non è seriamente contestabile che A. avesse dato effettivo corso alla convocazione, essendosi poi la compravendita realizzata proprio per il tramite del L.. Di qui l’irrilevanza, in relazione al caso concreto, del riferimento alla giurisprudenza di questa corte in ordine alle intercettazioni come fonte di prova, e ai criteri di valutazione delle stesse. La circostanza che in seguito il Ce. avesse preso parte ad altro fatto criminoso, la codetenzione, proprio con L., di cinque chilogrammi di extasy, non manca di riverberare i propri effetti, secondo logico percorso argomentativo del tribunale, anche sul fatto precedente, dando conto dell’esistenza tra i due di legami, che verosimilmente abbisognano di tempo per radicarsi, aventi ad oggetto il commercio di stupefacenti.

4.2 Nè hanno maggior pregio il secondo ed il terzo motivo che investono la sussistenza delle esigenze cautelari. Invero, a fronte di congrua motivazione circa il mancato superamento della presunzione relativa di adeguatezza della sola misura custodiate in relazione a tutti e tre i capi d’incolpazione provvisori, il tribunale non aveva l’onere, a differenza da quanto sembra ritenere il ricorrente, di motivare l’insufficienza del divieto di dimora per i reati di cui ai capi 20 e 37, nè l’adeguatezza di misure minori rispetto a tali capi e al capo 19.

5. Non colgono nel segno, da ultimo, le censure in punto di sussistenza delle esigenze cautelari dedotte nel ricorso del L., imperniate sul tempo trascorso e sulla personalità non particolarmente trasgressivà dell’indagato, al fine di sostenere il superamento della presunzione relativa di adeguatezza della più grave misura.

Tali elementi, infatti, di per sè privi di risolutività, sono destinati a restare recessivi, e quindi irrilevanti, a fronte della motivata attribuzione al predetto, nell’ordinanza impugnata, di un ruolo non meramente esecutivo, ma anzi di livello elevato nella filiera delinquenziale -tema del tutto ignorato nel ricorso-, tale da comportare l’esclusione di elementi indicativi che le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con misure minori.

6. Segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

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