Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-06-2012) 16-07-2012, n. 28461 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 22 settembre 2011 il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da S.C. volta all’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 671 c.p.p., comma 1, in relazione a due sentenze di condanna rese a suo carico dal Tribunale di Palermo, l’una il 14.7.2003 e l’altra il 2.4.2004, perchè già riconosciuto il vincolo invocato con la seconda pronuncia.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione lo S., assistito dal difensore di fiducia, denunciandone l’illegittimità perchè omessa la motivazione in ordine alla richiesta proposta in via subordinata rispetto a quella rigettata, proposta relativa al riconoscimento del medesimo vincolo tra tutti i titoli ormai definitivi.

2. Il P.G. in sede depositava motivata requisitoria scritta, chiedendo il rigetto della doglianza.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

E’ inammissibile, per genericità del contenuto, la domanda proposta al G.E. ai sensi dell’art. 671 c.p.p. la quale indichi quale oggetto della richiesta, senza alcuna ulteriore specificazione, "tutti i titoli definitivi maturati" a carico dell’istante.

Insegna da tempo questa Corte di legittimità che l’atto con cui si da ingresso al procedimento di cui all’art. 666 c.p.p. non ha natura di atto di impugnazione e, pertanto, non è richiesta per la sua ammissibilità l’enunciazione di motivi specifici (Cass., Sez. 1, 08/05/1997, n. 3252, Nikolic; id. 13.3.2002, n. 32955). Cionondimeno, posto che il giudice dell’esecuzione penale è l’organo che la legge designa come competente a risolvere episodi controvertibili che possono insorgere, in via preventiva o successiva all’esecuzione, relativamente alla sussistenza, all’entità, alla modifica ed all’efficacia del titolo esecutivo, ne consegue che la richiesta ad esso rivolta dal p.m., ovvero dall’interessato e dal suo difensore, in quanto diretta ad ottenere una decisione, deve avere ad oggetto immediato una siffatta questione e deve presentare i caratteri propri della domanda giudiziale, nelle sue essenziali componenti di petitum e causa petendi (Cass., Sez. 6, 03/12/1993, n. 3713, De Vita) in quanto tali specifici, riconoscibili e comunque idonei a delimitare, con immediatezza, l’ambito della decisione, costituendo onere dell’istante la predisposizione e l’allegazione di ogni elemento di conoscenza utile per l’invocato provvedimento. Nel caso di specie l’istanza difensiva fa riferimento ad un complesso di sentenze di condanna non indicate e ad un petitum privo di qualsivoglia sostegno di dati fattuali e non specificato nell’ambito devoluto per la decisione.

Di qui la condivisibile osservazione del P.G. in sede secondo cui la genericità dell’istanza difensiva può essere interpretata come un irrituale invito al giudice dell’esecuzione per una sua iniziativa di ufficio.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p. e di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo fissare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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