Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-06-2012) 16-07-2012, n. 28441 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 19 gennaio 2011 la Corte di appello di Milano confermava quella resa dal Tribunale milanese il 12 gennaio 2010, nella sede distaccata di Rho, e con essa la condanna alla pena di anni uno di reclusione a carico di P.F., imputato del reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2 perchè, in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel Comune di (OMISSIS), violava tale obbligo facendosi notare il (OMISSIS) nel comune di (OMISSIS).

A sostegno della condanna i giudici di merito, dopo aver preliminarmente respinto ogni eccezione difensiva di carattere processuale relativa alla escussione nel dibattimento di prime cure di testi ammessi dal giudicante ai sensi dell’art. 507 c.p.p. e non nell’ordine in cui avrebbero dovuto essere sentiti, valorizzavano ai fini della decisione gli accertamenti della squadra mobile di (OMISSIS) in ordine alla condotta contestata all’imputato e la testimonianza dibattimentale, di essi confermativa, degli agenti Z. e S..

2. Avverso la sentenza della corte distrettuale ricorre per cassazione l’imputato, personalmente, sviluppando tre motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia il ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ovvero erronea applicazione dell’art. 507 c.p.p., lamentando un eccesso di potere da parte del giudice del dibattimento di primo grado nell’applicazione dell’art. 507 c.p.p., giacchè provata l’accusa soltanto con testi ammessi dal giudicante e non indicati dal P.M. ed escussi i medesimi addirittura prima di quelli di accusa.

2.2 Con il secondo motivo di ricorso denuncia invece il ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), difetto di motivazione della decisione di condanna in quanto non provata la condotta contestata, e tanto sul presupposto che la prova utilizzata dal tribunale risulta acquisita illegittimamente per quanto esposto nel precedente motivo.

2.3 Con il terzo motivo di impugnazione denuncia infine il ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato e della omessa considerazione, in motivazione, di tale circostanza da parte del tribunale.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorso di legittimità ripropone infatti del tutto pedissequamente le medesime ragioni illustrate con l’atto di appello, ragioni confutate puntualmente con motivazione ampia, logica e giuridicamente corretta dalla corte territoriale, alla quale la doglianza di legittimità nulla oppone alla stregua di apprezzabile replica.

3.1 In ordine al rilievo processuale ed alla corretta delimitazione dei poteri istruttori riconosciuti dall’ordinamento al giudice del dibattimento, non possono condividersi le tesi difensive e le critiche in esse svolte alla lezione giurisprudenziale formatasi e consolidatasi sull’interpretazione dell’art. 507 c.p.p., quanto a meno a partire dall’intervento delle ss.uu. di questa Corte (17/10/2006, n. 41281).

Colla citata pronuncia è stato autorevolmente affermato che il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto. La Corte, in tal guisa decidendo, ebbe ad affrontare la questione alla luce della nuova formulazione dell’art. 111 Cost., ed ha ritenuto che condizioni necessarie per l’esercizio di tale potere siano l’assoluta necessità dell’iniziativa del giudice, da correlare a una prova avente carattere di decisività, ed il suo essere circoscritto nell’ambito delle prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell’art. 495 c.p.p., comma 2.

Il principio è pienamente condiviso dal Collegio dappoichè espressivo del principio immanente del processo di ricercare la verità sostanziale su cui poi esercitare la potestà di giudizio, senza in alcun modo incidere nelle possibilità difensive dell’imputato. Nè il ricorso all’integrazione probatoria d’ufficio, ex art. 507 cod. proc. pen., effettuato prima che sia terminata l’acquisizione delle prove può ritenersi di per sè ipotesi di illegittimità processuale, giacchè, come reiteratamente affermato da questa Corte di legittimità, siffatta modalità procedimentale integra una mera irregolarità che, in mancanza di una specifica previsione, non determina alcuna sanzione di nullità ovvero inutilizzabilità (Cass., Sez. 5, 11/05/2010, n. 26163; Cass., Sez. 6, 06/11/2009, n. 2424; Cass., Sez. 4, 08/02/2005, n. 12276; Cass., Sez. 6, 17/06/2004, n. 33166).

3.2 La infondatezza del primo motivo di ricorso priva di sostegno logico e giuridico anche il secondo motivo di doglianza, con il quale, come già precisato, il ricorrente lamenta che il quadro probatorio della decisione di condanna si è formato attraverso le testimonianze ammesse ai sensi dell’art. 507 c.p.p..

La comprovata regolarità della denunciata acquisizione probatoria travolge infatti il presupposto del sillogismo dialettico difensivo.

3.3 Quanto, infine, al terzo motivo di censura, si ribadisce, con la Corte territoriale del cui argomentare sul punto il ricorrente non ha tenuto conto, che il giudice di merito ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della personalità criminale dell’imputato, ampiamente e logicamente documentata ed argomentata. Consegue da ciò che non ha ritenuto lo stesso giudicante di dare rilevanza al comportamento processuale dell’imputato e tanto non integra affatto lacuna motivazionale, giacchè del tutto legittimo, ai fini della decisione sul punto, valorizzare alcuni soltanto dei profili e dei dati di fatto e processuali potenzialmente invocabili a fondamento di una eventuale decisione positiva al riguardo per l’istante (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322; Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n. 30284; Cass., Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158).

4. Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

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