Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-06-2012) 16-07-2012, n. 28440

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con pronuncia in data 19 luglio 2011 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza resa dal Tribunale capitolino il 5 dicembre 2010 e con essa la condanna alla pena di anni tre di reclusione a carico di C.R., imputato dei reati, uniti ai sensi dell’art. 81 c.p., di lesioni personali aggravate in danno di D. R.N., resistenza a pubblico ufficiale, incendio della porta di ingresso dell’abitazione della predetta D.R., porto ingiustificato di un cacciavite, oltraggio a p.u. e minaccia grave in danno ancora della D.R., in (OMISSIS).

A sostegno della condanna i giudici di merito valorizzavano le denunce della p.l., moglie separata dell’imputato, le indagini di P.G. eseguite nella immediatezza dei fatti, il verbale di arresto del prevenuto per il reato di incendio, l’intervento dei VV.FF. 2. Avverso la sentenza della corte distrettuale ricorre per cassazione l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, sviluppando tre motivi di impugnazione.

2.1 Con il primo di essi denunzia la difesa ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), difetto di motivazione in ordine agli artt. 423 e 424 c.p., perchè ritenuto il reato di incendio in luogo di quello di danneggiamento seguito da incendio, dappoichè questo lo scopo perseguito dall’imputato animato da dolo specifico verso tale direzione, il danneggiamento dell’appartamento della p.l..

Per converso mai l’imputato ha inteso provocare un incendio.

2.2 Col secondo motivo denuncia altresì la difesa ricorrente, ancora ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), difetto di motivazione in relazione all’art. 529 c.p.p., giacchè non pronunciata l’improcedibilità dell’azione penale in seguito alla remissione di querela della p.o..

2.3 Col terzo motivo di impugnazione lamenta, infine, la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche con congrua riduzione della pena inflitta.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Prospetta il difensore, come detto, l’errore di diritto in cui sarebbero incorsi i giudici di merito ed, in particolare, la Corte distrettuale nel ritenere la sussistenza del reato di incendio in luogo del diverso reato di danneggiamento seguito da incendio. Giova a questo punto una premessa sui principi di diritto affermati da questa Corte.

Il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) richiede, quale elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicchè non è ravvisatale il reato in questione, ma eventualmente il semplice danneggiamento, nell’ipotesi in cui il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo. In questo caso, ovvero nel caso in cui colui che, nell’appiccare il fuoco alla cosa altrui, al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza cagionare nè un incendio, nè il pericolo di un incendio, sussiste il reato di danneggiamento previsto e punito dall’art. 635 c.p.. Se, per contro, detto pericolo sorge ovvero se segue l’incendio, il delitto contro il patrimonio diventa, più propriamente, un delitto contro la pubblica incolumità, e trovano applicazione, rispettivamente, gli art. 424 e 423 c.p. (Cass., Sez. 3, 26/11/1998, n. 1731 tra le tante).

Con riferimento a tali ultimi delitti, l’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 423 c.p. consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tenda ad espandersi e non possa facilmente essere contenuta e spenta; il reato di cui al successivo art. 424 è, invece, caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate, o il pericolo di siffatto evento. Ne consegue che, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423 c.p., è applicabile questa norma, e non l’art. 424 c.p., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente.

Occorre peraltro precisare che nelle ipotesi in commento l’esistenza e la natura del dolo, elemento appartenente all’interiorità psichica e, come tale, insuscettibile di diretta osservazione, devono essere desunte da elementi esteriori, in specie, dallo svolgimento e dalle modalità esecutive del fatto, atti a dimostrare, secondo regole di esperienza consolidate e affidabili, l’atteggiamento psicologico dell’agente e la finalità da lui perseguita (Cass., Sez. 1, 10/06/1998, n. 11026; Cass. sez. 1, 18/03/2009, Roberti).

3.2 Esclusa, pertanto, da quanto premesso, l’ipotizzabilità nel caso in esame del reato di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., rimangono le ipotesi residue di cui innanzi, in relazione alle quali, partendo dal principio di diritto appena esposto, rileva la Corte che appare deducibile, seconda corretta analisi dei giudici di merito, dalla uniformità dei comportamenti accertati e dalla idoneità dei medesimi (uso di abbondante quantità di benzina in luoghi circoscritti e con presenza di oggetti e cose facilmente infiammabili) che l’imputato abbia agito con la volontà di cagionare l’incendio, concretamente poi realizzatosi, ancorchè contenuto nei suoi effetti devastanti soltanto dall’intervento tempestivo dei VV.FF..

Da ciò consegue che, se il discrimine tra le figure delittuose di cui agli artt. 423 e 424 c.p. è dato, come ampiamente confermato dai giudici di legittimità, dal dolo specifico del danneggiamento mediante pratica incendiaria rispetto al dolo generico di cagionare un incendio avente le caratteristiche di cui all’art. 423 c.p., nel caso di specie è individuabile quest’ultima ipotesi delittuosa.

Giova ancora osservare, quanto all’elemento oggettivo del reato, che là dove, come nelle ipotesi ora richiamate, l’incendio è stato appiccato alla sola porta di ingresso, lo stesso appare comunque caratterizzato da potenziale diffusività, da tendenza a progredire, da difficoltà di spegnimento, quando, come nella fattispecie, si sono creati, in concreto, effetti importanti non portati a conseguenze ulteriori dall’opera tempestiva di spegnimento degli operatori specializzati, i quali hanno descritto il notevole pericolo comunque creatosi per lo sprigionarsi ed il notevole diffondersi di fumi tossici, di per sè spia della potenzialità pericolosa della condotta incendiaria.

Il primo motivo di impugnazione va pertanto rigettato.

3.3 Il secondo motivo di doglianza si appalesa invece manifestamente infondato, giacchè perseguibili di ufficio i reati oggetto della remissione di querela, come peraltro già osservato dalla corte di merito con argomentazione sostanzialmente ignorata dalla difesa ricorrente. La minaccia di morte è infatti minaccia grave per unanime insegnamento di questa Corte di legittimità e le lesioni personali risultano contestate nella forma aggravata (art. 585 c.p. e art. 577 c.p., u.c.).

3.4 Rimane il terzo motivo di censura relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, motivo illustrato in modi del tutto generici ed aspecifici, tenuto conto delle ragioni della decisione richiamate al riguardo dalla corte territoriale, la quale ha valorizzato a tal fine, con motivazione sufficientemente esaustiva, la personalità dell’imputato desunta dai numerosi precedenti (Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n. 30284; Cass., Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158).
P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

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