Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2012) 13-07-2012, n. 28178 Ricorso

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Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Biella, con sentenza del 9/4/2010, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava N.S. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, per avere ceduto a terzi diverse dosi di sostanza stupefacente del tipo eroina, e lo condannava alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, con confisca del denaro in sequestro, per l’importo di Euro 100,00, e del cellulare.

La Corte di Appello di Torino, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 6/6/2011, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il N. personalmente, con i seguenti motivi:

-mancata acquisizione in sede di appello di una prova decisiva, costituita dalle trascrizioni della deposizione del D.M., resa nel processo penale n.R.G. 1680/2009, che in detta sede ha dichiarato di non avere mai acquistato sostanza stupefacente dal N.. Di detta prova, sopravvenuta alla pronuncia di primo grado di questo processo, andava disposta la richiesta acquisizione, ex art. 238 c.p.p. o art. 603 c.p.p., comma 2;

– il giudice di seconde cure ha omesso di prendere nella dovuta considerazione i motivi libellati con l’atto di appello, limitandosi a confermare la pronuncia del Tribunale, non valutando correttamente le dichiarazioni del D., del M. e del C., che con l’affermare di avere acquistato la droga dall’imputato hanno evitato l’arresto; nonchè il mancato rinvenimento nell’appartamento del N. di sostanza da taglio, nè alcuno strumento necessario ed idoneo per il frazionamento e/o per la cessione della sostanza stupefacente;

– eccessività della pena inflitta e mancanza di motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche;

– motivazione apparente a riscontro della richiesta di concessione del lavoro di pubblica utilità.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo il N. censura la impugnata pronuncia in punto di mancata assunzione di una prova decisiva, dal momento che la Corte territoriale, alla udienza del 6/6/2011, non ha ammesso la acquisizione delle trascrizioni delle deposizioni del D., del C. e del M., relative al processo penale n. 1680/09 RGNR, dalle quali emerge che costoro non avevano mai acquistato sostanza stupefacente dal N..

Orbene osservasi che la Corte distrettuale non ha accolto la richiesta formulata dall’appellante ritenutane la irritualità, in quanto riguardante acquisizioni raccolte in un procedimento penale ancora in corso, in primo grado, davanti al Tribunale di Biella, il cui ingresso nel presente processo avrebbe determinato la violazione delle regole di formazione della prova nel contraddittorio processuale, oltre che dei parametri di acquisizione ex art. 603 c.p.p., trattandosi, in questa sede, di giudizio camerale a seguito di rito abbreviato.

Peraltro, nel giudizio celebrato con le forme di cui all’art. 438 c.p.p., al giudice di appello è consentito disporre di ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, secondo il disposto di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3; in tale fase non può configurarsi alcun potere di iniziativa delle parti in ordine alla assunzione delle prove in quanto, prestando il consenso alla adozione del rito abbreviato, esse hanno definitivamente rinunciato al diritto alla prova (Cass. S.U. 29/1/1996, n. 930; Cass. 20/3/2003, n. 12853; Cass. 13/7/2009, n. 28542).

Col secondo motivo si eccepisce il difetto di prova piena in ordine alla colpevolezza dell’imputato, tale da giustificare una sentenza di penale responsabilità per il reato contestato, vista, peraltro, la non corretta valutazione delle dichiarazioni accusatorie del D., del M. e del C..

La eccezione è totalmente priva di fondamento.

Dal vaglio a cui è stata sottoposta la doppia conforme emerge che il giudice di merito ha svolto un compiuto e corretto esame della piattaforma probatoria, prendendo in considerazione ogni singolo fatto e il loro insieme, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto istruttorie ed ha verificato che essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, tale da consentire, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di pervenire alla affermazione della sussistenza del reato contestato e della ascrivibilità di esso in capo all’imputato.

Va, altresì, rilevato che con la censura avanzata si tende ad una analisi rivalutativa delle prove, sulle quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo.

Del pari manifestamente infondato e da ritenere il terzo motivo di ricorso, attinente alla eccessività della pena e alla mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p.: sul punto il discorso giustificativo adottato dal decidente di prime cure, implicitamente fatto proprio dalla Corte distrettuale, si palesa esente da vizi, con richiamo alla gravità dei fatti e ai criteri di cui all’art. 133 c.p., nonchè alle specifiche modalità della azione, posta in essere dal prevenuto durante il periodo di efficacia della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, elementi questi denotanti una particolare intensità del dolo che risulta avere sorretto le condotte delittuose, indice, di una preoccupante disinvoltura criminale del N., inibente la concessione delle attenuanti invocate.

Quanto, di poi, al contestato vizio di motivazione a riscontro della richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità, il giudice di merito, nell’esercizio del potere discrezionale ex lege attribuitogli, ha, a giusta ragione, rilevato che appare ostativa all’accoglimento della relativa istanza la valutazione negativa della personalità del prevenuto, desumibile dall’esistenza a suo carico di numerosi precedenti, che hanno determinato la applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale (Cass. 14/10/2008, n. 39164; Cass. 28/9/2009, n. 38110).

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il N. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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