Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 19-07-2012, n. 12564 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Trieste depositato nell’aprile 2009, P.M. e le altre persone indicate in epigrafe proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia di impiego pubblico, instaurato dinanzi al TAR Lazio nel dicembre 1995, definito in primo grado con sentenza di rigetto n. 1946/2003, gravata di appello ancora pendente alla data di presentazione della domanda ex L. n. 89 del 2001. La Corte d’appello rigettava la domanda, ritenendo di poter escludere nella specie il pregiudizio non patrimoniale normalmente conseguente al protrarsi del giudizio oltre la durata ragionevole, in presenza di un’originaria consapevolezza, nei ricorrenti, della conclamata infondatezza delle proprie pretese, avendo proposto un ricorso in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla interpretazione della normativa applicabile nella specie.

2. Avverso tale decreto, depositato il 19 ottobre 2009, i signori P., G., C., D. e Co. hanno proposto distinti ricorsi a questa Corte, ai quali resiste l’Amministrazione intimata con controricorso.

3. Si impone la riunione, a norma dell’art. 335 c.p.c., dei ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento.

4. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

5. Il ricorso è basato su tre motivi. Con il primo motivo si denunzia violazione di norme di diritto (L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6, par. 1 C.E.D.U., art. 101 Cost., comma 2): la sofferenza ed il disagio sono presenti ove il processo si protragga oltre il limite di durata ragionevole, salvi i casi nei quali risulti che la parte istante abbia abusato dello strumento processuale, facendo valere pretese temerarie, il che nel caso in esame non risulta dalla sentenza del T.A.R. – peraltro impugnata, che non ha neppure condannato essi ricorrenti al pagamento delle spese.

Con il secondo motivo si denunzia vizio motivazionale: la Corte di merito ha ritenuto di poter superare la presunzione adottata dalla Corte europea e da questa Corte di legittimità con l’indicazione di una circostanza, l’infondatezza del ricorso presupposto, che non vale ad escludere la sofferenza per il protrarsi irragionevole del giudizio presupposto.

6. Tali doglianze, da esaminare congiuntamente attesa la stretta connessione, sono fondate, essendo priva di adeguata motivazione la statuizione relativa alla insussistenza nella specie di un pregiudizio da indennizzare. Inidonea, di per sè, a giustificare il rigetto della domanda di equa riparazione deve ritenersi, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 12494/11; 9938/10; 9337/08; n. 15064/06; n. 19204/05; n. 3410/03), la esistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato di segno contrario a quello propugnato nell’atto introduttivo. A tale circostanza non può invero attribuirsi rilevanza ai fini della esclusione della sofferenza morale per l’eccessivo protrarsi del processo, che, quale conseguenza normale di tale irragionevole durata, non può, senza incorrere in contraddizione, essere disconosciuta alla parte la cui pretesa giudiziale viene respinta (o in generale che subisce un esito sfavorevole del giudizio), salvi i casi nei quali questa abbia posto in essere un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla L. n. 89 del 2001. La ricorrenza nel caso in esame di una siffatta fattispecie di abuso non risulta neppure specificamente evidenziata nel decreto impugnato, che tantomeno ne ha indicato gli elementi di riscontro. L’accoglimento del ricorso segue dunque di necessità, in tale statuizione restando assorbito il terzo motivo, afferente la liquidazione delle spese a carico degli odierni ricorrenti.

7. Il provvedimento impugnato è pertanto cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito a norma dell’art. 384 c.p.c..

8. Considerato che il processo presupposto si è protratto complessivamente per circa quattordici anni sino alla presentazione della domanda di equa riparazione (non si conoscono i successivi sviluppi), va osservato come la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono come noto un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati – come nella specie – non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore. Alla luce di tali orientamenti della Corte di Strasburgo, dettati in casi analoghi, ritiene il collegio che l’importo complessivo dell’indennizzo debba essere fissato, in relazione ad un giudizio durato circa quattordici anni, in modo da non scendere al di sotto della soglia di Euro 7.000,00. Il rispetto dell’obiettivo di assicurare un serio ristoro alla violazione in esame, alla stregua dei principi elaborati in sede europea, impone dunque di liquidare in tale misura la riparazione dovuta ai ricorrenti.

9. A tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali dalla domanda e le spese del doppio grado, che si liquidano come in dispositivo, alla stregua delle disposizioni del D.M. n. 127 del 2004 (procedimenti contenziosi), ivi compreso l’art. 4, tenendo peraltro presente che le spese conseguenti all’erroneo frazionamento dei ricorsi in cassazione non possono essere riconosciute.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 7.000,00 oltre gli interessi legali dalla domanda e le spese, che liquida, quanto al grado di merito, in complessivi Euro 1620,00 – di cui Euro 490,00 per diritti e Euro 1080,00 per onorari – e quanto al grado di legittimità in Euro 1557,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre per entrambi alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione 6/1 della Corte di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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