Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2012) 13-07-2012, n. 28171

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Latina, con sentenza del 30/10/2007, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava C.A. P. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, perchè in concorso con altri, in diverse occasioni, cedeva a terzi sostanza stupefacente di tipo cocaina, e, ritenuta l’ipotesi di cui al citato art. 73, comma 5, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa; disponeva, altresì, la revoca della sospensione condizionale della pena, concessa con sentenza del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, irrevocabile il 21/6/2003.

La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 5/7/2011, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi:

– inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in quanto non effettuate presso gli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica, in difetto di concreta motivazione e difettando le condizioni legittimanti la deroga prevista dall’art. 268 c.p.p., comma 4, e la conseguente mancanza di specifica motivazione sul punto;

– illogica confusione tra gruppo criminale e gruppo familiare, visto che per quanto concerne il reato in esame il fratello del ricorrente, C.L., unitamente ad altri coimputati, viene ritenuto promotore e coordinatore del gruppo criminale, in posizione di vertice gerarchico, con poteri decisori;

– erronea valutazione delle emergenze istruttorie che, se correttamente lette, avrebbero permesso al decidente di ritenere la insussistenza del reato contestato.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione giustificativa, sviluppata in sentenza, si palesa del tutto logica e corretta.

La eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche è del tutto infondata, per due ordini di motivi:

– in primis per la aspecificità con cui la stessa viene sollevata, rilevato che l’atto di impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo, i motivi con le ragioni specifiche delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. E’ necessario, quindi, che l’atto individui il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice, enucleandolo con mirato riferimento alla motivazione della pronuncia gravata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione, che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice della impugnazione (ex multis Cass. 25/3/2003, n. 13261);

– secondariamente, perchè deve essere recepito ed applicato anche in sede penale il principio della autosufficienza del ricorso, costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.p., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti l’omessa o errata valutazione di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (Cass. 22/4/2008, n. 16706; Cass. 20/5/2008, n. 20059); con la conseguenza che è inammissibile il ricorso, che pure richiamando atti specificamente indicati, non contenga la integrale trascrizione o allegazione di essi e non ne illustri adeguatamente il contenuto, di guisa da rendere lo stesso autosufficiente, con riferimento alle relative doglianze (Cass. 18/6/2006, n. 20344; Cass. 7/6/2006, n. 19584).

Nella specie il ricorrente si limita a contestare il decreto autorizzativo delle intercettazioni senza riportarne il contenuto o allegarne copia.

Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato, in quanto il decidente, con puntuali richiami alle emergenze istruttorie, compiutamente analizzate e valutate, evidenzia la continuativa e fattiva, e non, come si sostiene in ricorso, sporadica e limitata, collaborazione dell’imputato con il fratello nella attività illecita di spaccio di stupefacenti da quest’ultimo promossa, organizzata e gestita in posizione di vertice gerarchico.

L’ulteriore censura mossa, con cui si contesta l’esame estimativo della piattaforma istruttoria, a mezzo del quale il giudice di merito è pervenuto ad affermare la colpevolezza dell’imputato, non è meritevole di accoglimento, perchè con essa si tende ad una rianalisi delle prove acquisite, su cui al giudice di legittimità è precluso procedere ad un nuovo esame valutativo, in particolare, allorchè il discorso giustificativo si riveli del tutto esaustivo e logico, come nel caso di specie.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C.A. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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