Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2012) 13-07-2012, n. 28170

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2/12/2005, resa a seguito di rito abbreviato dichiarava M.Q. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, perchè illecitamente deteneva, a fine di farne cessione, sostanza stupefacente di tipo hashish, in quantità di gr. 100 circa, e lo condannava, concesse le attenuanti generiche, alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, con concessione dei benefici di legge.

La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 7/7/2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi:

– la Corte territoriale ha omesso di illustrare il procedimento logico – argomentativo su cui ha fondato la propria decisione, limitandosi a ribadire quanto già esposto dal Tribunale, senza prestare alcun riscontro alle doglianze mosse dalla difesa dell’imputato con l’atto di appello;

– assenza di motivazione circa l’uso personale della sostanza stupefacente da parte del M., visto che lo stesso, da subito, si era dichiarato assuntore della stessa;

– omessa motivazione in relazione al diniego di applicazione della ipotesi della lieve entità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente in ordine alla concretizzazione del reato in contestazione e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto, è logica e corretta;

peraltro, contrariamente a quanto sostenuto in impugnazione, la Corte di Appello fornisce il dovuto riscontro alle doglianze formulate con il gravame nell’interesse del prevenuto.

Il giudice di seconde cure ha ritenuto di dovere pervenire alla conferma della sentenza del Tribunale, che aveva dichiarato colpevole l’imputato di illecita detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente di tipo haschish, dopo avere sottoposto ad analisi valutativa le emergenze istruttorie, non limitandosi, quindi, a recepire acriticamente il discorso giustificativo sviluppato dal predetto Tribunale, evidenziando che:

– dagli atti di p.g. e dalle dichiarazioni rese dalla gente operante, in sede di convalida, è emerso che il (OMISSIS) i Carabinieri procedevano al controllo di B.A., che veniva trovato in possesso di haschish; lo stesso B. dichiarava di avere ricevuto lo stupefacente da M.Q.; la perquisizione della abitazione di quest’ultimo permetteva di rinvenire sostanza stupefacente, una pianta di cannabis, un coltello ed un accendino; la consulenza tossicologica accertava che la sostanza sequestrata era costituita da derivato della cannabis e che permetteva il confezionamento di 231 dosi singole.

Ad avviso del decidente, la quantità di haschish, tenuto conto anche della sua deperibilità, da agio di ritenere che la stessa fosse destinata alla illecita cessione a terzi, circostanza questa che ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal predetto B..

A sostegno del diniego della concessione della invocata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, la Corte territoriale, a giusta ragione, pone in evidenza la quantità elevata di droga rinvenuta nella disponibilità dal prevenuto.

Sul punto va richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di sostanze stupefacenti, la concedibilità della circostanza attenuante del fatto di lieve entità presuppone un fatto oggettivamente non pericoloso per l’interesse tutelato e, quindi, detta attenuante può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente, sia dagli altri parametri indicati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze della azione); con la conseguenza che ove venga meno anche uno soltanto di detti indici diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (ex multis Cass. 14/2/2007, Santi).

Inconferente, di poi, si rivela la censura mossa in ricorso relativa alla insussistenza del reato, in quanto lo stupefacente sarebbe stato destinato ad uso personale del M., visto che la sostanza rinvenuta, come rilevato, avrebbe permesso la preparazione di 231 dosi singole, per cui, anche a volere considerare l’imputato assuntore abituale di droga, la quantità di essa permette di ritenere che la maggior parte della stessa fosse destinata allo spaccio.

Va osservato, altresì, che con il ricorso si tende ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il M. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento,in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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