T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 14-01-2011, n. 16

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il signor R. L. riferisce di essere proprietario del fabbricato per civile abitazione sito in , via n. 36/38, catastalmente distinto al Fg. 1, mapp.

2. In data 05.12.2002, egli presentava all’Ufficio Tecnico Comunale denuncia di inizio attività – in regime di c.d. "superdia", ex art. 1 comma 6 lett. b) L. 443/01 – per la realizzazione di opere di ristrutturazione del predetto fabbricato, implicanti "la parziale demolizione e ricostruzione senza variazione della sagoma e della cubatura".

3. Circa tre anni dopo la presentazione della d.i.a., a seguito di un sopralluogo effettuato in data 20.12.2005, il Comune di Bruino adottava le ordinanze n. 123/05 del 21.12.2005 e 30/06 del 27.01.2006 con le quali rispettivamente sospendeva e ordinava la demolizione di alcune opere realizzate dall’interessato nel fabbricato di cui sopra, ritenendole eseguite "in totale difformità dal permesso di costruire".

In particolare, il Comune contestava al ricorrente le seguenti "difformità" rispetto al titolo abilitativo:

"Difformità sostanziali a tutti i prospetti consistenti in variazione della posizione, del numero, delle dimensioni e delle tipologie delle aperture; diverso posizionamento della scala esterna.

– Realizzazione di pilastro in prossimità del confine sudest, non indicato in progetto.

– Diverso posizionamento dei muri interni e della distribuzione dei locali con modifica del numero delle unità immobiliari da 3 a 2.

– Innalzamento della falda di copertura su tutto il fabbricato con conseguente aumento volumetrico non autorizzato.

– Non corrispondenza del progetto presentato nella tavola indicante la situazione preesistente, che presenta evidenti incongruità rispetto alla documentazione fotografica, in particolare risulta indicata come esistente una camera al piano primo, in chiaro contrasto con la fotografia da cui si evince un fienile aperto, creando così un ulteriore aumento volumetrico non autorizzato".

4. Con ricorso notificato il 2223.03.2006 depositato il 31.03.2006 e rubricato al numero 370/2006 di R.G., il signor R. impugnava i due atti da ultimo citati dinanzi a questo Tribunale e ne chiedeva l’annullamento, previa sospensione, sulla base di tre motivi con i quale lamentava vizi di violazione e falsa applicazione di legge, sotto plurimi profili.

5. Si costituiva il Comune di Bruino per resistere al gravame.

6. Alla camera di consiglio dell’08.11.2006, su istanza della parte ricorrente, la trattazione dell’incidente cautelare era rinviata al merito.

7. Nelle more del giudizio, in data 18.04.2006, il ricorrente presentava al Comune di Bruino specifica istanza di variante in sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/01 e s.m.i. per la conservazione del manufatto nella sua nuova configurazione.

8. Con nota prot. 7754 del 14.06.2006, il Comune di Bruino comunicava all’interessato, ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90 e s.m.i., l’esistenza dei seguenti "motivi ostativi" all’accoglimento dell’istanza:

"L’aumento di volume del fabbricato, che risulta più alto rispetto a quello preesistente, non è sanabile in quanto non rispetta le distanze dalle strade e dai confini e la capacità edificatoria del lotto.

Per quanto concerne la realizzazione di un nuovo pilastro a sostegno della copertura, lo stesso non rispetta le distanze dai confini e dalle strade, a prescindere dai problemi di ordine strutturale che vanno risolti in altro modo.

La situazione indicata come esistente nell’istanza presentata dall’Arch. Malavenda con pratica 4668/1 del 06/12/2002 non corrisponde alla situazione reale presente prima della realizzazione delle opere e documentata agli atti. Risulta infatti indicata una camera al primo piano inesistente, come riscontrabile chiaramente dalle fotografie dello stato di fatto, altresì avvalorate da una precedente pratica presente agli atti in cui viene indicata una tettoia semiaperta. La chiusura del fienile comporta ulteriore aumento volumetrico".

9. L’interessato presentava proprie "osservazioni" ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90 e s.m.i.

10. Con provvedimento prot. n. 8667 del 03.07.2006 notificato il 10.07.2006, il Comune di Bruino, ritenendo tali osservazioni "non accoglibili", respingeva definitivamente l’istanza di sanatoria alla luce dei medesimi "motivi ostativi" già comunicati all’interessato con la precedente comunicazione ex art. 10 bis, motivi che venivano sostanzialmente riprodotti nella motivazione del provvedimento conclusivo.

11. Con ricorso notificato il 18.10.2006 depositato il 03.11.2006 e rubricato al numero 1284/06 di R.G., il ricorrente impugnava quest’ultimo provvedimento dinanzi a questo Tribunale, unitamente alla precedente comunicazione ex art. 10 bis, e ne invocava l’annullamento sulla base di quattro motivi così rubricati:

I) "Violazione e falsa applicazione di legge in riferimento al disposto di cui all’art. 10 bis L. 241/90 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione di legge anche in riferimento al disposto di cui all’art. 3 L. 241/90 e s.m.i. Carenza di motivazione".

II) Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al disposto di cui all’art. 19, L. 241/90 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione di legge anche in riferimento agli artt. 22 e ss. D.P.R. 380/2001 e s.m.i.".

III) "Violazione e falsa applicazione di legge in riferimento agli artt. 31 e 33, T.U. Edilizia – Violazione e falsa applicazione di norma regolamentare in riferimento all’art. 14 delle N.T.A. del vigente P.R.G.C. e in relazione agli artt. 13, 14, 18 del Regolamento Edilizio del Comune di Bruino – Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto dei presupposti".

IV) "Violazione e falsa applicazione di legge in riferimento agli artt. 31 e 33 T.U. Edilizia sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 36 T.U. Edilizia. Violazione e falsa applicazione di norma regolamentare in riferimento all’art. 14 delle N.T.A del vigente P.R.G.C. e in relazione agli artt. 13, 14, 18 del Regolamento Edilizio del Comune di Bruino. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto dei presupposti sotto altro profilo"

11 bis. Sulla base dei predetti motivi, il ricorrente chiedeva, oltre all’annullamento dell’atto impugnato, anche la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni "eventualmente derivanti" dall’attuazione del procedimento volto alla riduzione in pristino dell’immobile in questione.

12. Anche nel secondo ricorso si costituiva il Comune di Bruino per resistere al gravame.

13. In corso di causa, a seguito di revoca del mandato già conferito ai precedenti difensori, si costituivano gli avvocati Marco Dotta e Luca Zanetti quali nuovi procuratori del ricorrente, richiamando le difese già depositate.

14. In prossimità dell’udienza di merito, la difesa del Comune produceva documenti e memorie.

15. All’udienza pubblica del 16 dicembre 2010, erano chiamate entrambe le cause; sentiti i difensori delle parti come da verbale, il collegio tratteneva le cause per la decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi indicati in epigrafe per ragioni di connessione.

2. Sempre in via preliminare, dev’essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso R.G. 370/06 proposto avverso l’ordinanza di demolizione, atteso che dopo la notifica del predetto ricorso l’interessato ha presentato al Comune un’istanza di variante in sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/01 sulla quale l’amministrazione ha provveduto con il diniego impugnato con il ricorso R.G. 1284/2006.

Va quindi richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la presentazione dell’istanza di sanatoria successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione produce l’effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che a seguito dell’istanza di sanatoria l’ordinanza di demolizione deve essere sostituita o dalla concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio (cfr., da ultimo, TAR Piemonte, sez. I, 2 dicembre 2010, n. 4375; TAR Sicilia Palermo, sez. III, 29 settembre 2010, n. 11113; TAR Sicilia Catania, sez. I, 21 luglio 2010, n. 3200; TAR Puglia Lecce, sez. III, 20 luglio 2010, n. 1756; TAR Campania Napoli sez. VI 15 luglio 2010 n. 16806; TAR Liguria Genova, sez. I, 9 luglio 2010 n. 5664; TAR Lazio Roma, sez. I, 2 aprile 2010 n. 5597).

3. Resta da esaminare il ricorso R.G. 1284/2006 relativo al diniego di sanatoria.

Il collegio ritiene che esso sia infondato sotto tutti gli aspetti dedotti e debba essere respinto.

I) Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 e s.m.i. sul rilievo che il diniego impugnato avrebbe riprodotto pedissequamente le motivazioni già comunicate con il preavviso di cui all’art. 10 bis della L. 241/90, senza tenere in alcuna considerazione le articolate osservazioni presentate dall’interessato; il che implicherebbe anche il vizio di difetto di motivazione dell’atto impugnato.

Il collegio osserva che la censura non può essere condivisa.

La Sezione ha già avuto modo di affermare che, sebbene l’istituto del "preavviso di rigetto", previsto dall’art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla l. n. 15 del 2005, abbia portata generale e trovi, quindi, applicazione in tutti i procedimenti a istanza di parte, tuttavia l’omissione di tale preavviso non determina comunque l’annullabilità del provvedimento qualora trovi applicazione il disposto dell’art. 21 octies l. n. 241/1990, a tenore del quale "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato" (T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 14 giugno 2006, n. 2487; in senso analogo T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 06 novembre 2006, n. 2875).

Nel caso di specie, il diniego di sanatoria adottato dall’amministrazione ha certamente natura vincolata, poiché costituente mero risultato dell’attività di controllo circa la conformità dell’intervento alla normativa urbanisticoedilizia: dal che consegue che la partecipazione dell’interessato non avrebbe potuto apportare elementi di valutazione idonei ad incidere sul provvedimento finale, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. E d’altra parte, come efficacemente osservato dalla difesa comunale, "se le motivazioni del provvedimento finale sono le medesime che consentono di controdedurre alle osservazioni, non si comprende per quale ragione la P.A. debba ripeterle due volte nello stesso atto".

II) Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato che il diniego di sanatoria sia stato motivato, tra l’altro, sul rilievo che la denuncia di inizio attività avrebbe rappresentato una situazione di fatto parzialmente difforme da quella reale; tale motivazione sarebbe illegittima, secondo il ricorrente, in quanto, una volta decorso il termine di legge di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a. senza che l’amministrazione abbia esercitato il suo potere di opposizione, si forma un provvedimento tacito di accoglimento che l’amministrazione non può rimettere in discussione, per di più a distanza di anni, senza prima adottare rimedi in autotutela; inoltre, il diniego impugnato non sarebbe stato motivato con il dovuto rigore, avendo esso inciso su posizioni consolidate del ricorrente ed essendo decorsi alcuni anni dalla presentazione della d.i.a..

Il collegio ritiene che la censura sia infondata e debba essere disattesa.

La formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone, quale sua condizione imprescindibile, non solo l’inutile decorso del tempo dalla presentazione dell’istanza senza che sia intervenuta risposta dall’amministrazione, ma la ricorrenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 10 settembre 2010, n. 17398; T.A.R. Lazio Latina, 23 febbraio 2010, n. 137).

Il silenzio assenso non si forma, pertanto, nel caso in cui l’interessato abbia rappresentato una situazione di fatto difforme da quella reale.

Nel caso di specie, è pacifico che nell’elaborato grafico allegato alla d.i.a. presentata dal ricorrente nell’anno 2002 era rappresentata una camera chiusa laddove c’era, in realtà, una tettoia semiaperta già destinata a fienile (la circostanza è stata ammessa dallo stesso ricorrente, sebbene imputata ad un mero "errore grafico").

In presenza di una rappresentazione dello stato di fatto non veritiera, la denuncia di inizio attività presentata dall’interessato non ha dato luogo alla formazione di alcun provvedimento tacito di assenso, né al consolidarsi di una situazione di affidamento giuridicamente tutelabile; e quanto al decorso del tempo, è appena il caso di osservare che, come giustamente osservato dalla difesa comunale, alla data di adozione delle ordinanze di sospensione dei lavori (prima) e di demolizione (poi) i lavori erano ancora in corso e non erano trascorsi che appena tre anni circa dalla presentazione della d.i.a.: un lasso di tempo non lungo e tale da non giustificare alcun affidamento tutelabile in capo al ricorrente, anche a prescindere dalla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi contenuta nella documentazione allegata alla D.I.A.

III) Con il terzo motivo il ricorrente ha contestato la sussistenza delle specifiche "difformità" accertate all’amministrazione. In particolare: a) per quanto concerne il profilo relativo all’altezza del fabbricato e al lamentato innalzamento del sottotetto, tale innalzamento, per un verso sarebbe ammesso dalle N.T.A. del vigente P.R.G.C. di Bruino (le quali ammettono aumenti delle quote di imposta del tetto che abbiano la finalità di allineare l’edificio a quelli confinanti), per altro verso non avrebbe comunque determinato un aumento di cubatura in violazione della capacità edificatoria del lotto, dal momento che il sottotetto in questione sarebbe privo dei requisiti di altezza media prescritti dalle predette N.T.A e dal vigente Regolamento Edilizio per poter essere considerato "abitabile", e dunque costituirebbe un mero "volume tecnico" che non consumerebbe la capacità edificatoria del lotto; b) per quanto concerne il "pilastro" posto al piano terreno del fabbricato, esso non porrebbe problemi di distanze dalle strade e dai confini dal momento che la strada contigua a detto pilastro non è una strada comunale, ma è di proprietà dello stesso ricorrente, gravata da servitù di passaggio in favore dei lotti contermini; in ogni caso, la struttura in esame rispetterebbe pienamente la distanza dal confine con i vicini mappali n. 250 e 252 (come sarebbe evidenziato nella relazione tecnica di parte prodotta sub doc. 10); infine, sotto il profilo funzionale, il pilastro rappresenterebbe l’indispensabile appoggio per la copertura soprastante; c) quanto alla "chiusura dell’ex fienile" posto al primo piano, essa sarebbe stata effettuata per ragioni puramente estetiche e avrebbe dato vita ad un vano completamente chiuso in ogni sua parte, privo di collegamenti con il resto del fabbricato e quindi "non abitabile": un "vano tecnico" necessariamente esente dal computo della cubatura generale dell’edificio; il fatto che nel progetto allegato alla d.i.a. detto fienile sia stato rappresentato come una "camera" dipenderebbe da un mero errore grafico che non sarebbe in grado di inficiare la sanabilità del manufatto.

Il collegio osserva che il motivo è infondato sotto tutti i profili dedotti.

La difesa comunale ha documentato in giudizio, anche con l’ausilio di una relazione tecnica, di alcuni elaborati grafici e di rilievi fotografici, l’oggettiva insussistenza dei presupposti per la sanabilità del manufatto. In particolare:

a) quanto all’"aumento di volume": il sottotetto è stato ritenuto non sanabile perché non rispetta le condizioni prescritte dall’art. 15.2 delle NTA vigenti nel 2006, secondo cui il sottotetto non viene conteggiato in volumetria non solo se non è abitabile, ma altresì quando non possa esservi inserito un diedro di altezza media inferiore a metri 2,40, calcolata dal piano di calpestio del solaio di copertura dell’ultimo piano abitabile o agibile sino all’intradosso del solaio inclinato della falda di copertura; la difesa comunale ha documentato, anche con l’ausilio di elaborato grafico, che tali condizioni non sussistevano nel caso di specie e pertanto, computando doverosamente anche la volumetria del sottotetto, la volumetria complessiva del fabbricato superava di gran lunga quella ammissibile sul lotto (indice 0,80 mc/mq): infatti, considerato che il lotto risulta di mq 608 (doc. 12 fascicolo comune), la cubatura esistente sul lotto stesso (doc.13) produceva già un indice di circa 1,50 mc/mq, con conseguente illegittimità di qualsivoglia incremento; né il sottotetto poteva essere considerato "volume tecnico", dal momento che la nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnicofunzionali della costruzione stessa; si tratta, in particolare, di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione che non possono essere ubicati all’interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica (Consiglio Stato, sez. IV, 04 maggio 2010, n. 2565; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 14 aprile 2010, n. 1973);

b) quanto al "pilastro": osserva il collegio che, in effetti, la motivazione resa sul punto dall’amministrazione comunale in ordine al mancato rispetto della distanza minima dalla strada e dai lotti confinanti è piuttosto carente e priva di supporto documentale; in ogni caso, la censura è inconferente ai fini della decisione dal momento che i residui capi della motivazione sono autonomamente sufficienti, nel complesso, a sorreggere la legittimità del diniego impugnato;

c) quanto alla "chiusura dell’ex fienile": l’amministrazione ha documentato attraverso rilievi fotografici che lo stato dei luoghi esistente prima della ristrutturazione è stato falsamente rappresentato dall’interessato nella documentazione allegata alla denuncia di inizio attività; lo stesso ricorrente ha ammesso la circostanza, pur imputandola ad un mero "errore grafico"; dunque, prima della ristrutturazione, non esisteva un locale chiuso, ma un fienile aperto; la circostanza che il fienile sia stato chiuso per "finalità estetiche" non ne esclude la rilevanza ai fini del calcolo della volumetria; la natura di "volume tecnico" non è stata dimostrata ed è comunque contraddetta dalla documentazione allegata alla D.I.A in cui il relativo incremento volumetrico appare riferito a due stanze al primo piano indicate come "camere".

IV) Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha lamentato vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili; ha sostenuto, in particolare, che l’edificio in questione non presenterebbe aspetti di sostanziale novità rispetto alla situazione preesistente, sia in termini planovolumetrici sia quanto alla sagoma: si sarebbe trattato, dunque, di un intervento edilizio certamente irregolare, ma che nel contempo presenterebbe solo circoscritti elementi di difformità, tutti suscettibili di sanatoria.

Osserva il collegio che la censura, oltre che generica, è palesemente contraddetta dalla documentazione (anche fotografica) versata in atti dalla difesa comunale: si è trattato di un intervento che, lungi dal presentare "circoscritti elementi di difformità", ha comportato invece un rilevante aumento di cubatura, una significativa sopraelevazione dell’edificio e un considerevole ampliamento della superficie coperta.

Pertanto, la qualificazione dell’illecito edilizio operata dall’amministrazione comunale appare corretta ed immune dalle censure dedotte.

In conclusione, alla stregua di tali considerazioni, il ricorso R.G. 370/2006 va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, mentre il ricorso R.G. 1284/2006 va respinto perchè infondato.

Le spese di lite possono essere compensate attesa la peculiarità delle questioni trattate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi indicati in epigrafe, previa riunione dei medesimi:

a) dichiara improcedibile il ricorso R.G. 370/2006 per sopravvenuto difetto di interesse;

b) respinge il ricorso R.G. 1284/2006;

c) compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario

Ariberto Sabino Limongelli, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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