Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2012) 13-07-2012, n. 28167 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Modena, con sentenza del 6/4/2011, resa ex art. 444 c.p.p., ha applicato su richiesta delle parti nei confronti di C.K., imputato del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, per avere detenuto illecitamente sostanza stupefacente di tipo haschish, la pena di mesi 10 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

Propone ricorso per cassazione il prevenuto personalmente, eccependo la omessa motivazione in ordine alla insussistenza di elementi per pervenire ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Rilevasi che secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, nella ipotesi di applicazione della pena sull’accordo delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., è inammissibile la impugnazione diretta a contestare la sussistenza del fatto, la sua oggettiva attribuzione, i termini fattuali della imputazione, la entità della pena applicata o le modalità della sua determinazione (Cass. 21/11/1197, P.M. in proc. Autiero; Cass. S.U. 3/12/1999, Fraccari); peraltro, non può riconoscersi alla parte un concreto interesse a dedurre su tali punti la mancanza o la insufficienza della motivazione, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia (ex multis Cass. 1/12/1993, Vitolano).

Dal vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, emerge, in maniera inequivoca, la correttezza della argomentazione motivazionale in ogni suo passaggio, anche in attinenza alla non ravvisabilità di elementi che consentano il proscioglimento dell’imputato.

Va, altresì, osservato che l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost., e dall’art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice ad una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato alla esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nella imputazione.

Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p., deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità (Cass. 10/1/2007, Brendolin), dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, pur implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento, a norma del citato art. 129 c.p.p., (Cass. 22/3/1999, n. 752; Cass. 13/7/2006, P.G. in proc. Koumya), come nella specie.

Va, inoltre, evidenziato che la decisione impugnata da atto dell’apprezzamento da parte del giudice di merito di elementi espressivi della responsabilità del prevenuto, ravvisati nel verbale di arresto in flagranza, negli esiti della perquisizione e nella consulenza tossicologica, redatta dalla dott.ssa P..

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.500,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.500.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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