Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2012) 12-07-2012, n. 27971

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 10.6.2010 il G.I.P. del Tribunale di Vasto applicava a M.S. e C.L., su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., la pena concordata e ritenuta di giustizia per violazione della legge sugli stupefacenti.

Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione entrambi gli imputati, tramite il comune difensore, con distinti atti di impugnazione di analogo contenuto, deducendo, con formulazione solo enunciativa, la nullità per "omessa ed irrituale notifica ex art. 415 bis c.p.p." e la irrituale notifica dell’avviso per l’udienza del 10 giugno 2010, nonchè eccependo l’incompetenza territoriale del giudice e denunciando vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p..

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per la manifesta infondatezza delle censure dedotte.

Per quel che riguarda le eccepite nullità – queste peraltro solo genericamente ed assertivamente enunciate – ed alla prospettata incompetenza territoriale, giova richiamare il consolidato, ed assolutamente condivisibile, indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui "l’applicazione concordata della pena postula la rinunzia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato" (in termini, Sez. 2, n. 6383/2008, imp. De Blasio ed altri, Rv. 239449;

conf., "ex plurimis", Sez. 1, 21 novembre 1997, Aufiero, RV 209894).

Detto principio si ricollega direttamente a quanto precisato dalle Sezioni Unite le quali hanno affermato quanto segue: poichè la decisione del giudice che ratifica l’accordo corrisponde all’interesse che le parti hanno ritenuto di soddisfare con la richiesta di patteggiamento, l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso detta decisione, con cui si lamenti unicamente una nullità, è subordinata alla specifica indicazione di un’utilità concreta perseguita con il mezzo di gravame (SU 25 gennaio 2005, Gioia: fattispecie di ritenuta inammissibilità del ricorso di un P.G. il quale aveva eccepito l’incompetenza funzionale del giudicante): peraltro i ricorrenti non hanno neanche indicato quale concreta utilità hanno inteso perseguire con il ricorso.

Quanto alla doglianza di vizio motivazionale per la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., trattasi di censura che tende a rimettere in discussione I termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del "patteggiamento". Come più volte affermato anche dalla Suprema Corte, "in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione), con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 cod. proc. pen. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata al fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost." (Sez. 1, N. 3980/94, imp. Magliulo, RV. 199479); il suddetto accordo implica per l’imputato "l’impegno ad eseguire la pena o sanzione richiesta od accettata, ed altresì per tutte le parti la rinuncia ad ogni questione od eccezione che abbiano interesse a prospettare. Non è infatti concepibile un "patteggiamento con riserva" che consenta di acquisire i rilevanti vantaggi previsti dall’art. 444 cod. proc. pen. e poi di contrastare l’accusa ovvero la difesa mediante il ricorso per Cassazione, che può ritenersi giustificato e, quindi, ammissibile, solo in caso di palese violazione di legge" (Sez. 4, N. 1028/94, imp. Russo, RV. 199548). Nella concreta fattispecie il giudice del patteggiamento non si è sottratto, con la sinteticità connaturata al rito, alla verifica della insussistenza di cause di non punibilità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1500,00 (millecinquecento) ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della somma di Euro 1500,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2012

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