Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-07-2012, n. 12550 Danni

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Milano con sentenza 8 giugno 2005, ha confermato quella 13 marzo 2002 del Tribunale di Pavia, che aveva condannato in solido l’ANAS e la s.p.a. XXX al risarcimento del danno per l’avvenuta occupazione espropriativa di un terreno appartenente ad M.E. onde realizzare alcuni interventi stradali, la somma di Euro 30.440,25. Ha osservato che, pur essendo il fondo ubicato in zona di rispetto stradale, l’espropriazione aveva comportato il trasferimento del relativo vincolo nella superficie contigua rimasta in proprietà M.; sicchè il fondo espropriato doveva essere equiparato a quelli ubicati al di fuori della fascia suddetta, come se avesse natura edificatoria.
Per la cassazione della sentenza, l’ANAS ha proposto ricorso per un motivo. Il M. non ha spiegato difese.

Motivi della decisione

Con il ricorso l’ANAS, deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40; L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nonchè difetti di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere calcolato il valore del fondo espropriato sul presupposto della sua edificatorietà, invece esclusa della sua inclusione nella fascia di rispetto stradale che gli attribuiva destinazione edificatoria.
Rileva che il principio dell’edificabilità legale non poteva essere eluso per il fatto che il vincolo di rispetto stradale si era spostata sulla porzione contigua di terreno del M., non interessata all’espropriazione e per tale ragione divenuta pur essa inedificabile: perchè ciò poteva comportare soltanto l’applicazione del meccanismo di stima predisposto dal legislatore per le espropriazioni parziali, ma non l’attribuzione della natura edificatoria al fondo espropriato che tale qualità non possedeva.
Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata ha accertato senza alcuna contestazione delle parti: a) che il terreno espropriato esteso circa 320 mq. era ubicato in zona di rispetto stradale, perciò gravato da vincolo di in edificabilità assoluta; b) che l’espropriazione ha comportato il trasferimento del vincolo nell’area retrostante, pur essa di proprietà M., in precedenza non interessata da alcun vincolo.
Malgrado dette premesse ha valutato il terreno come edificatorio, disapplicando in radice la giurisprudenza di questa Corte (sent.
5875/2012; 21638/2011; 8121/2009) e quella della Corte Costituzionale (sent. 133/1971; 79/1971; 63/1970) da decenni fermissime nel ritenere che la legge urbanistica del 1942, art. 41 septies, come modificato dalla L. n. 765 del 1967, art. 19, il D.M. 1 aprile 1968, art. 4, nonchè la L. n. 729 del 1961, art. 9, e da ultimo il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 6 e il D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26, la quale fissa fasce di inedificabilità senza indennizzo di varia misura dalle strade ed autostrade, non consentono di considerare edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto suddetta ed assoggettata al relativo vincolo, giacchè lo stesso integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto neppure da parte dello strumento urbanistico: perciò configurando in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici.
E’ stato al riguardo osservato che detta categoria di vincoli, è collegata sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati "a priori" per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto ad un’opera pubblica;
per cui, ancorchè resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata.
Questa disciplina assolutamente inderogabile non è aggirabile, come ha fatto la Corte di appello/considerando l’area "come se non fosse precedentemente destinata a zona di rispetto" per il fatto che il vincolo in conseguenza dell’espropriazione si era spostato sull’area contigua del M., rimasta di sua proprietà, ma venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto,nella quale in precedenza non rientrava: in quanto l’eventuale pregiudizio provocato all’espropriato dalla nuova situazione poteva legittimare al più, ricorrendone i presupposti, l’applicazione del criterio previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40, proprio per l’ipotesi di espropriazione parziale; ma giammai autorizzare la ricognizione legale (e la valutazione) del fondo in base ad una regola diversa da quella posta dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis (ora recepita dagli artt. 32 e 37 del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001), per la quale le possibilità legali di edificazione restano escluse tutte le volte in cui in base alla legge ovvero allo strumento urbanistico vigenti all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione, la zona sia concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (zona di rispetto, verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità, ecc.: Cass. 13970/2011;
3175/2008; 7303/1997).
Pertanto, ferma rimanendo la valutazione dell’area espropriata come avente destinazione non edificatoria, ove il giudice di rinvio accerterà che la porzione residua abbia subito un deprezzamento a causa ed in conseguenza dell’espropriazione – per essere rimasta inclusa nella fascia di rispetto stradale o per altre ragioni – invece di applicare il criterio di stima di cui al menzionato della L. n. 2359 del 1865, art. 39, ricorrerà al meccanismo differenziale di cui al successivo art. 40: commisurando l’indennizzo dovuto al M. in misura corrispondente alla differenza tra il valore dell’immobile prima dell’espropriazione ed il valore del residuo dopo l’espropriazione (naturalmente apprezzato, pur esso in base al principio dell’edificabilità legale di cui al comma 3, art. 5 bis);
ovvero (cfr. art. 33 del T.U.) attraverso la somma del valore venale della parte espropriata e del minor valore della parte residua; o ancora attraverso il computo delle singole perdite ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri che, incidendo sulla parte residua, ne riducano il valore o infine, mediante altri parametri equivalenti (Cass. 10217/2009; 26216/2005;
15359/2000).
Cassata, pertanto la sentenza impugnata che ha disapplicato i principi esposti, il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Milano, che in diversa composizione provvedere alla riliquidazione dell’indennizzo dovuto al M. e provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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