Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-07-2012, n. 12543 Opposizione

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Svolgimento del processo

La XXX s.p.a. (ora XXX s.p.a.) propose, con citazione del 10 dicembre 1987, opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Presidente del Tribunale di Biella per la consegna di n. 9.679 azioni Fiat privilegiate al sig. M. R.P., che deduceva di averne acquistate 20.000 il 13 settembre 1985, tramite la banca, con fissati bollati nn. 4819 e 4820 per 10.000 azioni ciascuno. La banca invece sosteneva che il secondo fissato bollato era stato emesso per errore, dato che il cliente aveva acquistato, con contratto di borsa a termine n. 4100 del 29 agosto 1985, per un premio di L. 1.080.000, soltanto 10.000 azioni al prezzo base di 3.740 ciascuna; alla risposta premi in data 13 settembre 1985 il sig. R.P. aveva dato ordine di ritirare le azioni anzidette pagando il prezzo relativo con il fissato bollato n. 4819; il fissato bollato n. 4820, non restituito firmato dal cliente, era stato invece emesso per errore, onde essa banca aveva provveduto a vendere le relative azioni il 1 ottobre 1985 (con fissato bollato n. 620.434) accreditandone il ricavato di L. 37.396.875 sul conto n. (OMISSIS) intestato al cliente. In subordine la banca chiedeva condannarsi l’opposto a pagare il controvalore delle azioni di L. 37.396.875.
Nel giudizio, rubricato al n. 1578/87 R.G. del Tribunale di Biella, si costituì l’opposto deducendo che la rivendita unilaterale e l’accredito del corrispettivo, dei quali era rimasto all’oscuro, non valevano ad annullare l’acquisto delle azioni da lui fatto a suo tempo.
Con citazione del 3 dicembre 1987 (n. 1759/87 R.G. del Tribunale di Biella) il sig. R.P. aveva anche chiesto la condanna della banca al risarcimento del danno derivante dalla mancata esecuzione dell’ordine di vendita delle 10.000 azioni predette da lui impartitole alla fine del febbraio 1987, nonchè lo storno dell’addebito di L. 139.444.330 in data 11 novembre 1986 e dell’accredito di L. 125.398.000 in data 22 dicembre 1986 sul suo conto corrente n. (OMISSIS), connessi ad operazioni mai autorizzate. La banca resistette osservando, a quest’ultimo riguardo, che l’addebito e l’accredito derivavano dall’acquisto e la rivendita, disposti dal cliente, di n. 1.000 azioni delle Assicurazioni Generali.
Con citazione del 14 giugno 1988 (n. 843/1988 R.G. del Tribunale di Biella) il sig. R.P. propose, infine, opposizione al decreto ingiuntivo emesso su istanza della banca per il pagamento di L. 39.532.483 quale saldo passivo del conto corrente n. (OMISSIS), ribadendo l’erroneità del saldo per l’indebita annotazione dell’addebito e dell’accredito di cui sopra si è detto.
La banca resistette.
I tre giudizi furono riuniti e, all’esito dell’istruttoria con consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale, quanto al primo di essi, revocò il decreto ingiuntivo di consegna dei titoli e accolse anche la riconvenzionale dell’opponente, condannando l’opposto al pagamento di Euro 19.313,87; quanto agli altri due giudizi, respinse la domanda risarcitoria del sig. R.P. e altresì l’opposizione del medesimo al decreto ingiuntivo di pagamento.
L’appello del sig. R.P. è stato accolto per il solo capo relativo alla condanna al pagamento del controvalore delle 9.679 azioni Fiat privilegiate di Euro 19.313,87, sul rilievo che tale condanna era stata richiesta dalla banca subordinatamente al rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo di consegna dei medesimi titoli, che invece era stata accolta.
Quanto ai restanti capi, la Corte ha anzitutto accolto la tesi della banca secondo cui il sig. R.P. aveva acquistato soltanto 10.000 azioni Fiat privilegiate e il fissato bollato n. 4820 era stato redatto per errore, onde la banca aveva provveduto a rivendere i relativi 10.000 titoli il 1 ottobre 1985 con fissato bollato n. 620.434, riaccreditandone il controvalore sul conto del cliente. E infatti al 31 ottobre 1985 risultavano nel portafoglio del R. P. soltanto 10.000 azioni Fiat privilegiate, numero che si azzerò ben presto per effetto della vendita successiva eseguita il 5 novembre; inoltre la tesi, sostenuta dall’appellante, di aver appreso della mancanza delle azioni soltanto nel febbraio 1987 allorchè venne rifiutato il suo ordine di vendita, era smentita dalle numerose operazioni di acquisto e vendita dello stesso titolo da lui effettuate nei quindici mesi nel frattempo trascorsi, che all’evidenza rivelavano una esatta conoscenza delle quantità a propria disposizione. Inoltre, avendo il R.P. girocontato il 12 novembre 1985 il controvalore della vendita delle azioni del 1 ottobre 1985 (L. 37.396.875), assieme a ulteriore importo, sul suo conto passivo n. (OMISSIS), doveva presumersi che il medesimo fosse a conoscenza dell’avvenuta riduzione del numero dei titoli a sua disposizione e che l’avesse accettata con il disporre del corrispettivo della stessa. Nè poteva essere presa in considerazione l’eccezione di giudicato sollevata dall’appellante sulla scorta di una sentenza del Giudice di pace di Biella, che aveva respinto l’opposizione della banca al decreto ingiuntivo di consegna delle restanti n. 321 azioni facenti parte del medesimo lotto di 10.000 acquistato il 13 settembre 1985, attesa la mancata produzione di copia della sentenza in questione.
La Corte ha poi ritenuto corretto il saldo passivo del conto corrente n. (OMISSIS), per il quale la banca aveva chiesto e ottenuto l’ingiunzione di pagamento opposta dal sig. R.P., sul rilievo che quest’ultimo aveva ordinato un giroconto di L. 125.398.000 dal suo conto attivo n. (OMISSIS) al predetto conto passivo – già in precedenza addebitato di L. 139.444.330 per l’acquisto delle 1.000 azioni Generali il 6 novembre 1986 – con valuta 31 dicembre 1986, la stessa dell’accredito sul conto attivo predetto del corrispettivo della rivendita delle azioni Generali di L. 125.265.030. Dunque il R.P., che da speculatore di borsa operante con diversi conti correnti era un attento ed esperto lettore di documenti bancari, il cui recapito, mai messo in discussione prima della lite, avveniva evidentemente con tempestività e regolarità, era stato posto in grado di conoscere l’addebito e l’accredito sul conto passivo delle somme connesse alle operazioni di acquisto e di vendita di quelle azioni; operazioni che dunque aveva approvato, anche perchè diversamente il giroconto di cui si è detto non sarebbe stato possibile e non avrebbe neppure avuto plausibile giustificazione.
Il sig. R.P. ha proposto ricorso per cassazione per cinque motivi, cui la banca ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione, si contesta che il fissato bollato per contanti del 1 ottobre 1985, non sottoscritto dal ricorrente, costituisca prova idonea del consenso di quest’ultimo alla vendita delle 10.000 azioni Fiat privilegiate; che gli estratti conto, in mancanza di idonea prova dell’invio al ricorrente, possano costituire base per dimostrare il consenso implicito del medesimo all’operazione di storno; che la sottoscrizione del giroconto 12 novembre 1985, per il complessivo importo di L. 85.551.698 riferito al saldo di varie operazioni genericamente indicate, sia idonea a costituire approvazione di ciascuna delle singole operazioni predette e in particolare della vendita-storno delle 10.000 azioni Fiat privilegiate del 1 ottobre 1985.
1.1. – Il motivo è inammissibile, sostanziandosi in una valutazione dei dati istruttori diversa da quella operata dai giudici di appello, ossia in una critica di puro merito.
2. – Con il secondo motivo, nuovamente denunciando vizio di motivazione, si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto dare un peso maggiore ai documenti che provano in modo diretto l’acquisto delle 10.000 azioni Fiat privilegiate, rispetto al già menzionato giroconto 12 novembre 1985 addotto dalla banca a dimostrazione del consenso implicito del ricorrente all’operazione di vendita-storno delle azioni, di cui si è detto, e che la Corte avrebbe dovuto tener conto anche della condotta complessiva tenuta dalle parti nel corso del rapporto, ossia del fatto che la banca non inviava al cliente gli estratti conto, non rispondeva alle sue richieste di chiarimento, aveva costituito un rapporto di conto corrente (il conto n. (OMISSIS)) a sua insaputa e senza la sua sottoscrizione.
2.1. – Anche questo motivo è inammissibile analogamente al precedente e considerato, altresì, che il mancato invio degli estratti conto da parte della banca è stato espressamente escluso dai giudici di appello – onde non basta al ricorrente affermare semplicemente il contrario – e che la deduzione dell’apertura di un conto corrente da parte della banca all’insaputa del cliente è, in se stessa e in mancanza di ulteriori specificazioni e argomentazioni, priva di decisività.
3. – Il terzo motivo riguarda l’eccezione di giudicato sollevata dal R.P., come si è detto, sulla base della sentenza del Giudice di pace di Biella che aveva condannato la banca alla consegna delle restanti 321 azioni Fiat privilegiate facenti parte del medesimo lotto di 10.000 comprendente le 9.679 oggetto del presente giudizio. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello si sia liberata dell’eccezione negando che fosse stata prodotta copia della sentenza in questione, e osserva che invece la copia era stata prodotta ed inserita nel suo fascicolo di parte.
3.1. – E’ esatto che copia della sentenza del Giudice di pace era stata dal ricorrente già prodotta nel giudizio di merito. Essa si trova ritualmente inserita nel suo fascicolo di parte, ma l’esame del contenuto della decisione non consente comunque di accogliere l’eccezione.
Sostiene il ricorrente che dalla sentenza risulterebbe accertato che nel suo portafoglio erano presenti, al momento della richiesta del decreto ingiuntivo, 10.000 azioni Fiat privilegiate. Ciò invece non è esatto. E’ vero che con la sentenza in questione la banca viene condannata a consegnare al R.P. le 321 azioni di cui si è detto; ma con la stessa sentenza viene accertato che le 10.000 azioni costituenti il lotto di cui facevano parte quelle 321, acquistato il 13 settembre 1985, erano state poi rivendute il 2 febbraio 1987.
Dunque in base a quanto accertato dal Giudice di pace non può dirsi che quelle 10.000 azioni erano ancora presenti nel portafoglio del ricorrente alla data in cui questi chiese l’ingiunzione di consegna delle 9.679 azioni oggetto della presente causa, dato che tale ingiunzione fu emessa solo il 17 novembre 1987, allorchè le azioni, secondo la ricostruzione del Giudice di pace, erano state già vendute.
E’ ben vero che siffatto accertamento è logicamente incompatibile anche con la condanna della banca alla consegna delle 321 azioni pronunciata con la stessa sentenza, ma si tratta di contrasto non superabile in sede di interpretazione del provvedimento, che non reca alcun elemento utile a tal fine. Dunque, se non può non prendersi atto della insuperabilità del giudicato quanto all’espressa pronuncia di condanna della banca a consegnare al R.P. 321 azioni, nonostante la illogicità o incomprensibilità delle ragioni della stessa, non è tuttavia possibile estendere tale giudicato oltre detti limiti, sino a comprendere, cioè, un obbligo di consegna riguardante anche le ulteriori 9.679 azioni: obbligo che contrasterebbe con quanto accertato nella medesima sentenza, o comunque non sarebbe ricavabile da essa.
4. – Il quarto motivo di ricorso riguarda la liquidazione del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligo di tempestiva messa a disposizione delle azioni. Esso è dunque formulato con espresso riferimento all’ipotesi di accoglimento delle precedenti censure;
conseguentemente è assorbito essendo state queste ultime disattese.
5. – Con il quinto motivo, denunciando vizio di motivazione, si censura la statuizione secondo cui il R.P. aveva approvato l’acquisto e rivendita delle 1.000 azioni Assicurazioni Generali.
5.1. – Il motivo è inammissibile perchè le censure, come articolate in ricorso, non configurano ipotesi di vizi rientranti nello schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ma propongono una diversa valutazione del materiale istruttorie, che rimanda anche alla lettura degli atti di causa. Si tratta, dunque, di pure e semplici critiche di merito, che non possono avere ingresso in sede di legittimità.
6. – In conclusione il ricorso va respinto, con condanna della parte soccombente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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