Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-07-2012, n. 12518 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 30 maggio 2006, la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame principale svolto da Poste italiane s.p.a. ed accoglieva parzialmente il gravame incidentale svolto da R. F. ed altri 3 litisconsorti in epigrafe indicati avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto l’illegittima adibizione alle mansioni assegnate ai predetti dipendenti postali dall’8.2.1999, con condanna della società alla reintegrazione nelle mansioni precedentemente espletate e al risarcimento del danno alla professionalità.

2. La Corte ha accertato che i quattro dipendenti in epigrafe indicati, con qualifica di operatori specializzati di officina, inquadrati nella 5^ categoria e che, fino all’8.2.1999, avevano svolto mansioni superiori di Perito ascrivibili all’ex 6^ categoria, dopo tale data venivano adibiti allo svolgimento di compili semplici e ripetitivi, e ha ravvisato, nell’assegnazione al reparto Ordinarie, un mutamento di mansioni peggiorativo, onde riteneva illegittimo il demansionamento e risarcibile il danno alla professionalità, anche in mancanza di uno specifico elemento di prova.

3. In accoglimento dell’appello incidentale dei lavoratori, che si dolevano che il primo giudice, pur riconosciuto il danno da demansionamento, avesse omesso la relativa condanna nella parte dispositiva della pronunzia, la corte territoriale condannava la società al pagamento della somma di Euro 516,46 dall’8.2.1999 alla data della decisione, oltre interessi dalla maturazione al saldo.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

5, Preliminarmente occorre dare atto che la parte ricorrente e i litisconsorti S.M. e Sa.Fr. hanno depositato, ex art. 372 c.p.c., copia del negozio transattivo e della conciliazione giudiziale tra di essi intervenuti, dandosi atto della definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge.

6. Osserva il Collegio che il suddetto negozio transattivo si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (ex multis, S.U. n. 25278/2006; Cass. n. 16341/2009).

7. Del resto, come questa Corte ha ripetutamente affermato, "quando nel corso del giudizio di legittimità intervenga una transazione o altro fatto che determini la cessazione della materia del contendere, in tale fattispecie è ravvisabile una causa di inammissibilità del ricorso sia pure sopravvenuta – in ogni caso idonea a consentire, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la produzione del documento che ne comprovi la sussistenza – per essere venuto meno l’interesse della parte ricorrente ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione" (v., ex multis, Cass. n. 20860/2005; S.U. n. 368/2000).

8. Passando all’esame dei motivi di ricorso, Poste Italiane denuncia:

– violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., degli artt. 43, 46, 47, del CCNL 26.11.1994, della prima parte dell’accordo integrativo al CCNL del 23.5.1995; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (primo motivo);

– violazione degli artt. 2103, 2087, 1218, 1223, 1226, 2697 c.c.;

degli artt. 414 e 421 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (secondo motivo).

9. Con il primo articolato motivo la ricorrente rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto rillegittimità dell’adibizione dei dipendenti alle nuove mansioni, omettendo di considerare che il CCNL del 26.11.1994 aveva inserito il personale proveniente dalle precedenti categorie 4^, 5^ e 6^ nella nuova Area operativa, accorpando in tale nuova area i livelli già previsti dalla precedente classificazione, nel rispetto dei diritti dei lavoratori. Il nuovo sistema, prevedendo un’organizzazione secondo quattro aree di classificazione (area di base, area operativa, area quadri di 1^ livello ed area quadri di 2^ livello) aveva superato la precedente classificazione, disponendo il raggruppamento nella stessa area di mansioni tutte egualmente esigibili e prevedendo, nell’ambito della stessa area, il principio della fungibilità delle mansioni e della interscambiabilità del personale, sicchè non era possibile, all’interno di ciascuna area, distinguere tra mansioni inferiori e mansioni superiori. Ed inoltre, al fine di identificare anche mansioni sostanzialmente equivalenti, nell’ambito delle mansioni accorpate nella stessa area di inquadramento, assumeva rilievo il trattamento retributivo unitamente ai criteri di apprezzamento del contenuto professionale delle mansioni.

10. Il motivo non è fondato.

11. Con sentenza del 24 novembre 2006 n. 25033 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, con specifico riferimento al contratto collettivo di cui qui si tratta, che la cosiddetta mobilità orizzontale, vale a dire la possibilità di variare le mansioni del prestatore all’interno di un livello di qualifica gerarchica, è lecita purchè non si risolva in una violazione dell’art. 2103 c.c., ossia in una perdita o in un mancato incremento delle conoscenze tecniche e professionali. Pertanto la clausola di mobilità è valida purchè: a) serva per sopperire a contingenti esigenze aziendali oppure b) per consentire la valorizzazione professionale di tutti i lavoratori provvisti della medesima qualifica, attraverso avvicendamenti.

12. Con sentenza (Cass. 5285/2007) questa Sezione lavoro ha poi precisato doversi applicare il detto principio di diritto anche ai lavoratori assunti, come nella specie, prima della stipula del C.C.N.L. del 1994.

13. Ebbene, come ritenuto dalla richiamata decisione delle Sezioni unite e da altre numerose conformi, pur in presenza di un riclassamento con riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni, e pur in ipotesi di reinquadramento previsto dal contratto collettivo in un’unica qualifica di lavoratori precedentemente inquadrati in qualifiche distinte, permane il divieto di un’indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in maniera radicale una diversa professionalità, e che non consentono una sia pure residuale utilizzazione dell’acquisita professionalità, qualora le ultime mansioni espletate non abbiano con quelle spiegate in precedenza affinità o analogia di sorta.

14. Da ciò deriva che in tema di riclassificazione del personale la parte datoriale non può limitarsi ad affermare semplicemente la sussistenza di un’equivalenza convenzionale tra le mansioni svolte in precedenza e quelle assegnate a seguito dell’entrata in vigore della nuova classificazione, dovendo per contro procedere ad una ponderata valutazione della professionalità del lavoratore al fine della salvaguardia, in concreto, del livello professionale acquisito, e di una effettiva garanzia dell’accrescimento delle capacità professionali del dipendente (ex multis, Cass. 23877/2009).

15. In siffatto contesto non appaiono condivisibili le censure di violazione e falsa applicazione delle invocate disposizioni del CCNL 26.11.1994 e della prima parte dell’accordo integrativo al CCNL del 23.5.1995.

16. Posto ciò, rileva il Collegio che l’equivalenza delle mansioni che, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., condiziona la legittimità dello ius variandi operato dal datore di lavoro e del riclassamento disposto dalla contrattazione collettiva costituisce oggetto di un giudizio di fatto che deve essere dal giudice di merito operato volta per volta, incensurabile in cassazione (se sorretto da una motivazione logica, coerente e completa), e va verificata sia sotto il profilo oggettivo, cioè in relazione all’inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, sia sotto il profilo soggettivo, cioè in relazione all’affinità professionale delle mansioni, nel senso che le nuove devono quanto meno armonizzarsi con le capacità professionali acquisite dall’interessato durante il rapporto di lavoro, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi.

17. Nel caso di specie, la Corte territoriale, mettendo a raffronto l’attività svolta da R. e M. prima della riclassificazione – riconducibile alle diagnosi e riparazioni di guasti, effettuazione di test macchina, caricamento giornaliero del programma nei C.P.U. (FACE ed ELSAG), relazione tecnica nello statino di fine turno completa anche di rilievi statistici, rapporti con il personale, assistenza e manutenzione degli impianti – con l’attività successivamente spiegata – di immissione manuale di lettere e cartoline nella macchina smistatrice, apertura oggetti cellofanati, trasporti manuali di cassette – è pervenuta alla conclusione della concreta dequalificazione, sul piano fattuale, dei predetti lavoratori in violazione del disposto dell’art. 2103 c.c., sotto il profilo che lo svolgimento di attività semplici e meramente ripetitive determinava l’impossibilità per i dipendenti di utilizzare le pregresse capacità professionali ed, eventualmente, di accrescerle, ma anzi importava necessariamente la progressiva perdita delle capacità già acquisite nei precedenti incarichi.

18. Pertanto, avendo la Corte territoriale congruamente motivato, esplicitando le ragioni in base alle quali le nuove mansioni di R. e M. dovessero ritenersi riduttive rispetto alle precedenti e non consentissero agli stessi un accrescimento del patrimonio professionale, deve essere esclusa la sindacabilità, in sede di legittimità, di tale valutazione dei fatti accertati dal Giudice del gravame in maniera adeguata e con motivazione priva di vizi logici e giuridici.

19. Il ricorso sul punto non può, pertanto, trovare accoglimento.

20. Anche il secondo motivo, con il quale la società, richiamando i principi enunciati da Cass. S.U. 6572/2006, censura la sentenza impugnata in base agli assunti che la stessa avrebbe disapplicato i suddetti principi avendo ritenuto sussistere un collegamento automatico fra demansionamento e diritto al risarcimento del danno, e che la domanda dei ricorrenti era del tutto priva di allegazioni in ordine all’esistenza di un pregiudizio effettivo di natura patrimoniale direttamente derivante dal preteso demansionamento, non è meritevole di accoglimento.

21. Questa Corte Suprema (ex multis, Cass. 28274/2008 e numerose successive conformi) ha stabilito che, ove sia stato accertato il demansionamento professionale del lavoratore, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico -giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, alla natura della professionalità coinvolta, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.

22. Nel caso di specie la Corte di merito, lungi dal ritenere la sussistenza di un danno in re ipsa, come erroneamente dedotto dalla società ricorrente con censura pertanto inadeguata della ratto decidendo della sentenza impugnata, ha ritenuto provata, sia pure in via presuntiva, l’esistenza del danno derivante dall’accertato demansionamento, dopo aver evidenziato gli aspetti essenziali delle precedenti e nuove mansioni svolte dai lavoratori attribuendo rilievo alla qualità e durata del demansionamento considerata anche alla luce dell’anzianità di servizio, considerata come indice dell’esperienza professionale.

23. L’apprezzamento di fatto della Corte territoriale, adeguatamente e logicamente motivato, è risultato, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.

24. In definitiva, il ricorso nei confronti di R. e M. va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di S. e Sa. e compensa le relative spese; rigetta il ricorso nei confronti delle altre parti intimate. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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