Cassazione, 17 dicembre 2009, n. 48308 Morte dell’imputato, fine del rapporto processuale vanifica anche per il risarcimento alla parte civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

Il 25 marzo 2005 il Tribunale di Firenze assolveva P. A. dall’imputazione di cui all’art. 590 c.p., secondo e terzo comma, in danno di M. P..

Avverso tale decisione proponeva rituale gravame la parte civile e la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione del primo giudice.

Ha proposto ricorso per cassazione la parte civile, con specifico ed esclusivo riferimento ai capi e punti escludenti la responsabilità civile dell’imputato nonché quelli concernenti la condanna della stessa parte civile al pagamento delle spese processuali.

Deve preliminarmente, ed assorbentemente, rilevarsi che nelle more del procedimento l’imputato P. A. è deceduto, come risulta da certificazione in atti.

“In tema di azione civile esercitata nel processo penale, deve ritenersi che la morte dell’imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione, unitamente al rapporto processuale penale, anche di quello civile inserito nel processo penale” (in termini, Sez. 4ª, n. 58/2001, in CED Rv. 219149): la esistenza e permanenza in vita dell’imputato, difatti, costituisce il presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale anche civilistico, essendo certamente inapplicabili in sede penale gli istituti civilistici della successione nel processo (art. 110 c.p.c.), della interruzione del processo (artt. 299 e ss. c.p.c.) e della sua estinzione (artt. 307 e ss. c.p.c.); cessando, quindi, ogni rapporto processuale nei confronti dell’imputato nel processo penale (per il suo venir fisicamente meno), viene a cessare anche quell’elemento di collegamento che consentiva di far accedere a quello il rapporto processuale civile nei suoi confronti; conseguenza, questa, che esplica i suoi effetti anche nei confronti del responsabile civile, atteso che la posizione di questo (soggetto che, a norma delle leggi civili, deve rispondere per il fatto dell’imputato: art. 185 c.p.; “responsabile civile per il fatto dell’imputato”: art. 83 c.p.p., comma 1) è intimamente connessa e collegata a quella dell’imputato: in tal senso cfr., ex plurimis: Sez. 6, n. 16812 del 25/09/1988 Ud. (dep. 30/11/1989) Rv. 182716; Sez. 6, n. 2071 del 16/12/1995 Ud. (dep. 23/02/1996) Rv. 204154.

La intervenuta morte dell’imputato, dunque, comportando la cessazione del rapporto processuale secondo quanto testé precisato, determina, per tale sopravvenuta causa, la inammissibilità del gravame, che deve, perciò, essere dichiarata. Nulla v’è da statuire sulle spese, giacché, qualora la causa di inammissibilità sopraggiunga alla rituale proposizione del gravame, alla dichiarazione di inammissibilità non consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria alla cassa delle ammende (cfr. Cass., Sez. Un., 9 ottobre 1996, n. 20, ric. Vitale; id., Sez. Un., 25 giugno 1997, n. 7, ric. Chiappetta e altro; id., Sez. Un., 14 luglio 2004, n. 31524, ric. Litteri; id., Sez. Un. 15 dicembre 2004, n. 49283, ric. Novella).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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