Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-07-2012) 09-07-2012, n. 26816

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.U. ricorre avverso la sentenza 23 settembre 2010 della Corte di appello di Brescia che ha confermato la sentenza 9 febbraio 2010 del G.U.P. del Tribunale di Brescia, di condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 572 cod. pen. posto che i fatti accertati non sono idonei nè sufficienti per integrare il delitto ritenuto, costituendo essi, fatti isolati, magari dotati di rilevanza penale, ma non unificati dal requisito dell’abitualità che caratterizza i maltrattamenti in famiglia.

In particolare il ricorso tende ad escludere dai possibili fatti valutabili lo stato dì ansietà e quello di depressione lamentati dalla F., nonchè la scelta di dormire in garage. Del pari da escludere, in quanto fuori dalla logica di tutela dell’art. 572 cod. pen., risulterebbero gli atti di danneggiamelo di cose, trattandosi di valori correlati non alla persona ma al patrimonio. In tale quadro si stigmatizza la valorizzazione di due singoli soli episodi rimasti – a dire della difesa – e costituiti dalla lesioni personali del (OMISSIS) e delle ingiurie minacce non esattamente collocate nel tempo.

Con un secondo motivo si lamenta, nell’ordine, vizio di motivazione:

sulla datazione del tempus a quo (anno (OMISSIS)); sull’assenza di giustificazione per l’omessa irrogazione della pena nei minimi edittali; sulla credibilità accordata alle sorelle F. ed al teste L.; sulla valutazione delle sommarie informazioni del teste R., titolare dell’esercizio pubblico (OMISSIS).

Le doglianze, per come espresse e sviluppate, sono in parte inammissibili ed in parte palesemente infondate a fronte della motivazione coerente e lineare dei giudici di merito i quali con una doppia conforme pronuncia hanno dato più che adeguata contezza della colpevolezza del ricorrente avuto particolare riguardo alla sistematicità degli atti di maltrattamento e di minaccia.

Invero, ferme restando le valutazioni ed i chiarimenti sulla adeguatezza della motivazione ed i limiti del giudizio di legittimità, va subito rilevato che la corte distrettuale ha fatto un uso corretto e non censurabile della motivazione della prima pronuncia di condanna ed il risultato di integrazione delle motivazioni, tra le due conformi pronunce di responsabilità, è possibile considerato che nella sentenza d’appello, gravata di ricorso, è riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui si desume agevolmente che il giudice del secondo grado, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante (Cass. pen. sez. 6221/2006, Aglieri ed altri).

La Corte d’appello, infatti, ha valutato attentamente le doglianze in punto di "pretesa accessualità" delle condotte ed ha offerto sul punto una coerente ed inattaccabile ricostruzione della dinamica dei fatti, nonchè della linearità della persistente condotta criminosa del ricorrente e del supporto psichico che l’ha costantemente informata.

Nè altera la correttezza del giudizio finale, la prospettata omessa valutazione o l’ipovalutazione di alcune risultanze, considerato che il ricorso per cassazione, con cui si lamenti la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti,non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece rispettare alcuni minimali parametri espositivi che sono dati, nell’ordine: a) dalla identificazione dell’atto processuale cui fa riferimento; b) dalla individuazione dell’elemento fattuale o del dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nel provvedimento impugnato; c) dalla offerta della prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) dalla indicazione delle ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Cass. pen. sez. 6, 45036/2010 Rv. 249035.

Massime precedenti Conformi: N. 10951 del 2006 Rv. 233711, N. 21978 del 2006 Rv. 234432, N. 22257 del 2006 Rv. 234721, N. 23781 del 2006 Rv. 234152, N. 31980 del 2006 Rv. 234929, N. 34698 del 2006 Rv.

234914, N. 37030 del 2006 Rv. 235515, N. 38698 del 2006 Rv. 234989, N. 12014 del 2007 Rv. 236223, N. 20059 del 2008 Rv. 240056, N. 21524 del 2008 Rv. 240411, N. 38800 del 2008 Rv. 241449, N. 3360 del 2010 Rv. 246499, N. 29263 del 2010 Rv, 248192).

Orbene, nella vicenda, quello che è comunque mancato è l’ultimo adempimento, la cui preponderante e funzionale valenza consiste proprio nel consentire al giudice di legittimità, un raffronto di resistenza logica, oppure di incompatibilità, tra la giustificazione offerta e la diversa realtà argomentata dalla parte, pubblica o privata.

Da ciò l’inammissibilità del ricorso sul punto.

Il ricorso quindi va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2012
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