Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-07-2012, n. 12503 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte ha rilevato che:

1. la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data (OMISSIS) da Poste Italiane s.p.a. con B.M.;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso;

3. osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali…, ai sensi del C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998;

tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al C.C.N.L. del 2001, ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione alla statuizione concernente la nullità del termine apposto al contratto de quo, statuizione censurata con il primo motivo di ricorso;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, la L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005, n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo del C.C.N.L. 26 novembre 1994, art. 8, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

4. così respinto il primo motivo, osserva il Collegio che, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, la sentenza impugnata ha condannato la società Poste Italiane al risarcimento del danno determinato con riferimento alle retribuzioni maturate a decorrere dalla costituzione in mora, fissata al 12 gennaio 2006, data della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;

5. tale statuizione è stata censurata da Poste Italiane s.p.a, col secondo motivo di ricorso col quale viene denunciata violazione di legge e vizio di motivazione; parte ricorrente deduce in particolare che non sarebbe stata fornita la prova del danno subito; la lavoratrice non avrebbe depositato i documenti utili a tal fine, e avrebbe dovuto offrire formalmente la propria prestazione lavorativa, illegittimamente rifiutata dalla parte datoriale; in ordine alla svolta eccezione di aliunde perceptum, disattesa dalla Corte territoriale, doveva ritenersi onere della lavoratrice dimostrare di non essere stato occupata nel periodo in questione;

6. il motivo è inammissibile;

il ricorso per cassazione deve essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata; pertanto, poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le argomentazioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, (cfr, ex plurimis, Cass. 3 agosto 2007, n. 17125; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3612); inoltre il ricorrente che denuncia il vizio o la carenza di motivazione per omesso esame di documenti decisivi ha l’onere di indicare, ai fini della corretta proposizione della censura, i singoli documenti che assume essere stati trascurati o valutati insufficientemente o illogicamente, riproducendo nel ricorso il tenore esatto del documento il cui omesso o inadeguato esame è censurato (cfr, ex plurimis, Cass. 25 agosto 2006, n. 18506);

con il motivo all’esame la ricorrente non ha rispettato tali principi, atteso che:

a. il rilievo della necessità da parte del lavoratore della prova del danno trascura del tutto di considerare che la Corte territoriale ha espressamente valorizzato l’atto con cui la parte datoriale è stata vanamente messa in mora e sulla base del quale la lavoratrice ha quindi provato il fondamento della propria pretesa;

b. non è stato tenuto conto del fatto che gli effetti risarcitori sono stati appunto fatti decorrere dalla data di messa in mora;

c. che il motivo di censura è sostanzialmente inconferente in quanto erra anche nell’identificare l’atto di messa in mora, atteso che fa riferimento alla richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione laddove la sentenza impugnata ha indicato come atto di messa in mora la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;

d. quanto all’aliunde perceptum, l’assiomatica affermazione secondo cui dovrebbe essere onere della lavoratrice dimostrare di non essere stata occupata nel periodo in questione, non offre alcuna ragione critica della (in tesi) erronea applicazione del generale principio dell’onere della prova;

7. con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010, del seguente tenore:

Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.;

8. con riguardo alla richiesta della società va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006, n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in particolare, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; il che non ricorre, per le ragioni sopra indicate, nel caso di specie, con la conseguenza che deve escludersi l’applicabilità nel presente giudizio del ricordato ius superveniens;

9. il ricorso va pertanto respinto e la società ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 40 per esborsi oltre Euro 3000 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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