Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-07-2012, n. 12498 Trattamento economico Nomina Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso in data 30.4.2004, D.N., già dirigente generale del Ministero delle Finanze e direttore regionale delle entrate per la Regione Marche, nominato componente della 10^ Sez. della Commissione Tributaria Centrale con D.P.R. 10 novembre 1997, e collocato fuori ruolo, ha convenuto in giudizio il Ministero dell’Economìa e delle Finanze chiedendo accertarsi il proprio diritto al riconoscimento, con decorrenza 11.5.1998, dell’incremento del trattamento economico in godimento in guisa tale da raggiungere un trattamento complessivo non inferiore a quello percepito nella posizione di provenienza con particolare riferimento alla parte variabile della retribuzione di posizione connessa con l’incarico in precedenza svolto ed alla indennità di risultato con condanna dell’amministrazione al pagamento in suo favore della somma complessiva di Euro 293.956,00 dovuta a titolo di indennità di posizione, parte variabile, per gli anni dal 1998 al 2003 e della somma, da liquidarsi in corso di giudizio, spettante a titolo di indennità di risultato. A sostegno delle pretese azionate, deducendo l’illegittimità del diniego opposto alle sue istanze, il ricorrente ha richiamato il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 9, il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 57, e art. 59, comma 1, ed il principio secondo cui il comando di un dipendente temporaneamente destinato a prestare la propria attività presso altra amministrazione o ente pubblico non comporta novazione dell’originario rapporto ma solo una sua modificazione oggettiva (prestazioni lavorative in favore non più dell’amministrazione di appartenenza ma di quella di destinazione) senza pregiudizio dei trattamento economico in godimento, nonchè il C.C.N.L. 5 aprile 2001, art. 13, commi 4 e 5, secondo cui, in caso di mancata conferma dell’incarico precedentemente coperto da un dirigente, il nuovo incarico deve essere equivalente al precedente ed il trattamento economico complessivamente attribuito non può essere inferiore del 10% di quello connesso al precedente incarico rilevando, infine, che detta norma collettiva è stata, con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 91230 del 22.4.2002, applicata ad altro dirigente.

2. Radicatosi il contraddicono, l’Amministrazione convenuta ha chiesto il rigetto della domanda nel merito assumendo che le attribuzioni patrimoniali richieste hanno lo scopo di compensare la specificità di alcune prestazioni correlate alla assunzione di peculiari responsabilità che, dunque, devono essere in concreto rese; il che non è possibile ritenere per i componenti della Commissione Tributaria Centrale.

Con sentenza del 11 maggio 2005 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso.

3. Con atto depositato in data 11.5.2006 il D. ha proposto appello avverso la predetta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento delle domande proposte del ricorso di primo grado.

Si è costituito in giudizio il Ministero appellato chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’appello di con sentenza del 20 novembre 2008 – 22 ottobre 2009 ha rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado.

4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originario ricorrente con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, nonchè degli artt. 13, 38, 39 e 40 del contratto collettivo del personale dirigente dell’area prima per il quadriennio 1998 – 2001.

Sostiene il ricorrente che la parte variabile della retribuzione di posizione è connessa all’incarico dirigenziale specificamente conferito al dirigente, così come individuato sulla base della graduazione delle posizioni dirigenziali in relazione alle responsabilità connesse all’incarico. La parte variabile della retribuzione di posizione costituisce pur sempre una componente della retribuzione avente carattere fisso e continuativo. Entrambe le componenti della retribuzione di posizione, quella fissa e quella variabile, concorrono nella base di calcolo del trattamento di quiescenza, nonchè dell’indennità di buonuscita o di fine servizio.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della stessa L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, nonchè del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19; nonchè dell’art. 13 del citato contratto collettivo. In particolare il ricorrente richiama il C.C.N.L. art. 13, comma 4, del personale dirigente dell’area prima per il quadriennio 1998 – 2001 del 5 aprile 2001. Tale disposizione fa riferimento alla retribuzione di posizione complessiva, che costituisce un emolumento retributivo sul quale il dirigente può fare sicuro affidamento. Il ricorrente pone in evidenza che l’incarico di componente della commissione tributaria ha una intrinseca natura di livello dirigenziale generale.

2. Il ricorso – i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto oggettivamente connessi – è infondato.

Sia la giurisprudenza amministrativa (Cons, Stato, ad. plen., 11 dicembre 2006, n. 14) che quella di questa corte (Cass., sez. lav., 15 maggio 2007, n. 11084) concordano nel distinguere tra trattamento fondamentale e trattamento accessorio. In particolare Cons. Stato, ad. plen., 11 dicembre 2006, n. 14, cit, ha affermato che il diritto del dirigente, cessato dall’incarico di direttore generale di un ministero e nominato consigliere della corte dei conti, a conservare il più favorevole trattamento economico dell’incarico cessato non ricomprende anche la retribuzione di risultato e la parte variabile della retribuzione di posizione, che quindi non possono essergli riconosciute nella nuova posizione giuridica. Sicchè può ritenersi che la retribuzione di posizione, quanto alla parte variabile, è strettamente legata allo specifico incarico dirigenziale.

E’ vero che la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57, prevede che, nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202 del citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione.

Ma tale disposizione è stata oggetto di interpretazione autentica ad opera della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, (legge finanziaria 2006) che ha previsto che l’art. 3, comma 57, citato, si interpreta nel senso che alla determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi. Ciò che conferma che la retribuzione di posizione, quanto alla parte variabile, è strettamente legata all’effettivo espletamento dello specifico incarico dirigenziale.

Nè rileva in senso contrario la normativa contrattuale collettiva invocata dal ricorrente (l’art. 37 del contratto collettivo del personale dirigente dell’area prima per il quadriennio 1998 – 2001, che distingue tra retribuzione fissa e retribuzione di posizione variabile; il successivo art. 40, comma 1, che stabilisce che i nuovi trattamenti retributivi hanno effetto sul trattamento ordinario di previdenza, di quiescenza, sull’indennità di buonuscita e di fine servizio, e in particolare, al secondo comma, prevede che gli effetti del primo comma si applicano anche alla retribuzione di posizione parte fissa e parte variabile; l’art. 13 che prevede che il dirigente ha diritto, in caso di mutamento di mansioni, ad un incarico dirigenziale equivalente) perchè riguarda profili diversi:

l’incidenza della retribuzione e degli elementi che la compongono sugli istituti indiretti e il mutamento di posizione del dirigente quanto ai presupposti di legittimità (di cui non si dubita nella specie). Si tratta quindi di profili che non incidono sulla questione controversa in causa, per la quale occorre invece far riferimento direttamente alla disciplina di fonte legale e segnatamente alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, citata.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 50,00 Oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorario d’avvocato ed oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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