Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-07-2012, n. 12497 Distanze legali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.L., con atto notificato il 28 maggio 1992, citò innanzi al Tribunale di Cagliari il confinante G.G. esponendo che lo stesso aveva innalzato il piano di campagna del proprio lotto mediante riporto di terra addossata al muro di confine – originariamente di due metri di altezza – così indebolendone la stabilità, provocando infiltrazioni di umidità nel sottostante fondo dell’esponente e creando la possibilità di esercitare una veduta diretta, dal momento che la quota del terreno così riportato si sarebbe trovata a soli 85 cm dalla cima del muro; chiese pertanto la condanna del convenuto al ripristino della quota di campagna originaria o, in subordine, all’adozione delle misure necessarie ad arrestare le infiltrazioni d’acqua ed ad impedire la menzionata possibilità di veduta.

Il G. si costituì contrastando la domanda con l’osservare che si sarebbe limitato a livellare il proprio terreno, peraltro realizzando un drenaggio a confine; mise in evidenza che tra i due fondi sarebbe esistito da sempre un dislivello e che questo sarebbe stato aumentato ad opera del convenuto che avrebbe abbassato di circa un metro il piano di campagna del proprio terreno al fine di realizzare delle opere abusive. In via di riconvenzione chiese la condanna dell’attore al ripristino dell’originaria quota.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza del 18 aprile 1991, condannò il G. a ripristinare l’originaria altimetria del terreno mediante lo scavo per un’altezza di 80 cm e per una fascia di tre metri di larghezza prossima al muro di confine e per tutta la lunghezza dello stesso, rigettando la riconvenzionale.

La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza n. 147/2005, accolse il gravame del G. e respinse la domanda del M., condannandolo altresì al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. A sostegno di tale decisione la Corte territoriale: a – accertò che le opere di riporto terra compiute dal G. non avevano causato danni al muro e che le infiltrazioni al fondo sottostante erano state determinate dal preesistente dislivello; b – sottolineò l’erroneità del presupposto della decisione del primo giudice a mente del quale il muro di cinta avrebbe avuto anche la funzione di impedire ai proprietari del fondo superiore di guardare nel fondo inferiore; C – negò rilevanza – come parametro di valutandone della pretesa immutazione peggiorativa della possibilità di veduta – alla preesistente situazione di (im)possibilità di esercizio di veduta, dal momento che questa era stata determinata accidentalmente dalla costruzione del muro in questione la quale, a sua volta, era conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente in loco; d – mise in rilievo la carenza di adeguata e convincente motivazione sulla prospettata possibilità di eliminare la veduta ritenuta abusiva mediante la elevazione del muro sino a tre metti, giusta quanto disposto dall’art. 878 cod. civ. ed i suggerimenti contenuti in una consulenza tecnica di ufficio.

Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi ed ha prodotto documentazione relativa alla disciplina urbanistica ed edilizia locale; si è costituito il G., resistendo con controricorso.
Motivi della decisione

1 – Va preliminarmente esaminata l’ammissibilità della produzione documentale del M. costituita da: 1) la convenzione relativa alla lottizzazione interessante i terreni in causa; 2) la modifica alle norme di attuazione di tale lottizzazione (da cui emergerebbe che le costruzioni dovrebbero mantenere la distanza di 4 metri dal confine); 3) il regolamento edilizio del Comune di Siliqua – ove sono situate le proprietà delle parti – confermativo della suddetta distanza minima dai confini.

1/a – Sostiene il ricorrente che detta produzione non violerebbe il divieto dell’art. 372 c.p.c. in quanto la documentazione atterrebbe alle norme di integrazione del precetto normativo in materia di distanze e quindi sarebbe pur sempre conoscibile – ed acquisibile d’ufficio – anche nel giudizio di cassazione.

2 – La prospettata legittimità della produzione è priva di valido fondamento dal momento che , da un lato, non sussiste la possibilità di equiparare l’acquisizione di ufficio dei regolamenti edilizi – secondo il principio del iura novit curia – sulla base dei quali si fossero fondate sin dall’origine le domande delle parti, alla produzione di documenti che, pur interessando una prospettata violazione di norme urbanistiche, tuttavia preesistevano al giudizio di primo grado – quanto agli atti subb 1) e 2) – o a quello di secondo grado – doc sub 3) – e quindi avrebbero potuto formare oggetto di allegazione quanto meno in grado di appello; dall’altro, in quanto l’indicata documentazione è a supporto di una tesi difensiva , sviluppata nei motivi primo e secondo, nuova rispetto a quella che aveva formato la res litigiosa nei pregressi gradi del giudizio di merito (come illustrato nella descrizione del fatto), dal momento che involgeva l’interpretazione della propria originaria domanda come se fosse stata diretta a far rispettare le distanze tra costruzioni, interpretando in tal modo l’opus novum, posto in essere dal G. con l’addossare la terra al muro confinario, alla stregua di un muro di contenimento, soggetto al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.

3 – Non vertendosi dunque in un’ipotesi di documenti illustranti fatti sopravvenuti rilevanti per il giudizio, e non interessando , detta produzione, la nullità della sentenza o l’ammissibilità del ricorso, non trova deroga il divieto di cui all’art. 372 c.p.c..

4 – Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., più in generale, del principio iura novit curia in relazione alle produzioni documentali sopra esaminate, lamentando altresì la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; si deduce altresì, nello svolgimento del mezzo – segnatamente al fol 23 la violazione degli artt. 873 e 878 cod. civ., come pure dell’obbligo di osservare, nelle costruzioni, le prescrizioni dei piani regolatori – art. 869 cod. civ.: deduce in proposito parte ricorrente che la decisione della Corte territoriale di riformare la sentenza di primo grado non aveva tenuto conto che la domanda di esso ricorrente, apparentemente diretta ad eliminare la illegittima servitù di veduta determinata dall’innalzamento della quota di campagna del confinante, in realtà avrebbe interessato il rispetto della normativa sulla distanze delle costruzioni dal confine.

4/a – Il motivo non può trovare accoglimento in quanto la sentenza di appello non fa menzione, nella narrativa del fatto, di siffatta prospettazione difensiva da parte del M. per la ragione che essa non aveva formato oggetto di deduzione nè in primo nè in secondo grado: l’allora attore non aveva invocato il mancato rispetto della normativa – codicistica, integrata con quella di ambito locale – in merito alle distanze della "costruzione" dal confine, avendo invece dedotto la sopravvenuta insufficienza dell’altezza del muro di cinta a seguito dell’alterazione della quota di campagna da parte del G. a impedire vedute dirette sul proprio fondo; conferma la novità della domanda anche la lettura del ricorso laddove – fol 2 – si illustra che in primo grado il programma di fabbricazione del Comune di Siliqua era stato richiamato al fine di sottolineare che il muro di cinta doveva avere un’altezza minima di metri 2 e che dunque, era violativa di tale prescrizione amministrativa la condotta del G. che si era fatto lecito di innalzare il proprio piano di campagna, diminuendo la distanza tra quest’ultimo e la cima del muro.

4/b – Inammissibile è dunque la prospettazione del M. che, pur ammettendo che la questione delle distanze dal muro di cinta non era stata prospettata, pretenderebbe che la stessa avrebbe dovuto essere valutata d’ufficio dal giudice dell’appello, verificando nel contempo se l’opus novum – costituito dalla trasformazione del muro di cinta in terrapieno – fosse conforme alla disciplina amministrativa locale sulle distanze dal confine.

5 – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 900 cod. civ. sulla nozione di veduta;

dell’art. 905 cod. civ. sulle distanze tra vedute o lastrici dal fondo del vicino; dell’art. 878 cod. civ. sulle caratteristiche del muro di cinta; dell’art. 113 c.p.c. sulla pronunzia secondo diritto;

del principio iura novit curia in relazione alle norme tecniche di attuazione della lottizzazione (OMISSIS) in materia di caratteristiche delle recinzioni e in generale, dei principi in materia di servitù di veduta; deduce anche l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

6 – Con il terzo e strettamente connesso motivo ci si duole della ritenuta omessa pronunzia sulla domanda – subordinata – riproposta da esso ricorrente nel giudizio di appello, diretta a chiedere la condanna del G. all’eliminazione della veduta, pur avendo – la Corte del merito – messo in rilievo che a tal risultato si sarebbe potuto pervenire anche elevando sino a tre metri il muro di cinta, affermando, contrariamente alle risultanze degli atti, che tale soluzione sarebbe stata osteggiata dallo stesso ricorrente.

7 – Premessa la inammissibilità della produzione documentale a sostegno di una domanda e di una prospettazione difensive illustrate solo in fase di legittimità, e la necessaria estensione di tale vizio alla parte del secondo motivo che da esso trae spunto, ed esaminando congiuntamente i tre mezzi, stante la loro logica connessione, va accolto il secondo motivo, pur con le precisazioni appresso esposte.

7/a – Se deve confermarsi il principio, anche recentemente espresso da questa Corte ( Cass. Sez. 2, n. 10167/2011 cui adde Cass. sez 2 n. 23572/2007), secondo cui la semplice esistenza di un terreno sopraelevato, senza che vi sia un parapetto che consenta l’affaccio sul fondo del vicino, esclude l’obbligo di distanziarsi dal fondo predetto à sensi dell’art. 905 c.p.c., tale regula juris deve essere precisata nel senso che l’attività di innovazione della preesistente situazione tra fondi – valutabile ai fini della possibilità di affaccio – è però riscontrabile nell’innalzamento del piano di campagna se ciò determini un diverso rapporto con il muro confinario, tale da favorire quell’affaccio prima non possibile.

7/b – Non è quindi condivisibile l’assunto dal quale parte la Corte territoriale secondo cui il dislivello, preesistente alla costruzione del muro, avrebbe costituito una servitù di veduta reciproca e quindi il proprietario del fondo posto a quota inferiore, non sarebbe stato portatore di un interesse tutelabile all’eliminazione di un inspicere, già in precedenza consentito: in contrario va messo in rilievo che lo spianamento e l’innalzamento del dislivello consentono al vicino l’avvicinamento al muro di cinta prima non consentito, dando luogo ad una situazione compatibile in astratto con l’esercizio di una servitù di veduta per opera dell’uomo.

7/c – Negata la validità della premessa argomentativa sopra riportata, cade anche l’ulteriore assunto posto a base della gravata decisione, con cui si è sottolineato che la funzione del muro di cinta, in caso di fondi a dislivello, non poteva essere anche quella di impedire le vedute: nella fattispecie va invece messo in evidenza che il manufatto non determina di per sè l’affaccio e quindi non può essere preso, da solo, a parametro della liceità della veduta, essendo questa dipendente dalla immutazione dell’uomo che, alterando il piano di campagna del fondo sovrastante, ha modificato il suo rapporto con il colmo del muro.

8 – Il terzo motivo rimane assorbito.

9 – La sentenza va pertanto cassata affidando al giudice del rinvio, sulla base dei principi sopra affermati, l’esame delle concrete modalità di affaccio al fine di verificare la compatibilità con la fattispecie disciplinata dall’art. 905 cod. civ.; lo stesso giudice provvederà sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata decisione in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo esame a diversa sezione della Corte di Appello di Cagliari che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 22 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *