Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-01-2013) 06-06-2013, n. 24790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 27 marzo 2012, la Corte di Appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Palermo emessa in data 24 maggio 2010 nei confronti di S.G., imputato del reato di illecita detenzione per finalità di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish per complessivi gr, 78,52 dai quali erano ricavabili 87 dosi (del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis), riducendo la pena originariamente inflitta ad anno uno e mesi due di reclusione ed Euro 4.500,00, di multa e confermando nel resto.

1.2 La Corte di Appello confermava il giudizio di colpevolezza sul conto del S. (che era stato notato dai carabinieri che ne osservavano i movimenti, nell’atto di disfarsi di un involucro – poi recuperato – contenente l’hashish, prima di entrare in una sala giochi sita nella città di Palermo) ritenendo certa l’attribuibilità del fatto all’imputato ed escludendo – per il modo in cui la droga era confezionata e detenuta – che fosse destinata al consumo personale del S. medesimo, professatosi assuntore di droghe leggere.

1.3 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per omessa motivazione e/o sua manifesta illogicità in punto di conferma del giudizio di colpevolezza, senza che la Corte di Appello avesse svolto alcuna argomentazione in ordine alla destinazione della droga detenuta all’uso personale. Con il secondo motivo il difensore lamenta analogo vizio motivazionale con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche invocate nell’atto di appello.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato, pertanto, inammissibile. Va anzitutto specificato, con riferimento ad entrambi i motivi, che si tratta di censure esattamente sovrapponibili a quelle già congruamente esaminate dalla Corte territoriale, avendo la stessa precisato, quanto alla destinazione ad uso non esclusivamente personale che il dato quantitativo, le modalità della detenzione e la frequentazione da parte di tossicodipendenti conosciuti dalla Polizia nel locale ove il S. si apprestava ad entrare erano elementi sintomatici di una condotta illecita, (vds.

pag. 6 della sentenza impugnata). E considerazioni identiche, con riguardo alla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, la Corte aveva espresso, sottolineando gli elementi ostativi (vds.

pag. 6 citata). Con il ricorso la difesa, dimentica della motivazione offerta dalla Corte territoriale, ha reiterato censure che si appalesano del tutto inconsistenti.

2. Vi è di più: nessuna delle due censure offre elementi di valutazione tali da incrinare il giudizio espresso dalla Corte territoriale, basato su argomentazioni diffuse e soprattutto logiche:

tanto vale sia per quanto riguarda la destinazione della droga all’uso di terzi, non mancando di evidenziare come il giudice distrettuale abbia anche evidenziato due ulteriori dati negativi quali la mancata prova, solo labialmente indicata dalla difesa, che il S. fosse un assuntore di hashish e precedenti condanne riportate proprio per tale reato. Altrettanto puntuale ed analitica la motivazione resa dalla Corte con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato non solo dai plurimi – oltre che specifici – precedenti penali del S., ma anche dalla mancanza di dati favorevoli la cui prova gravava sull’imputato.

2. In aggiunta a tali considerazioni, rileva il Collegio che il giudice distrettuale si è uniformato al pacifico orientamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in tema di illecita detenzione della sostanza stupefacente per finalità di spaccio, è vero che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. A), nella sua attuale formulazione non introduce una sorta di presunzione – ancorchè relativa – in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso esclusivamente non personale, nè comporta una inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato, perchè, è onere della pubblica accusa provare che la droga rinvenuta fosse destinata al consumo (anche in parte) di terzi. Ma al giudice è rimesso il compito di valutare, oltre che il dato quantitativo, tutti gli altri elementi di fatto (modalità e circostanze dell’azione;

modalità di presentazione della droga) tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione. D’altro canto nemmeno il dato quantitativo, nella misura in cui si versi in una ipotesi di mancato superamento della c.d. "soglia" per come indicata dal D.M. richiamato dell’art. 73 cit., comma 1, costituisce elemento di certezza per l’esclusione del reato di illecita detenzione, proprio perchè il giudice può trarre il convincimento della colpevolezza da altri elementi indicativi della destinazione della droga al consumo di terzi (in termini, Cass. Sez. 6^ 25.1.2011, Talamo, Rv. 249346; Cass. Sez. 6^, 12.2.2009 n. 12146, P.M. in proc. Delugan, Rv. 242923). Ne consegue che laddove il giudice si trovi in presenza di una condotta di detenzione integrata da altri indici quali, in via esemplificativa, la suddivisione in dosi; la presenza di strumentazione atta alla preparazione delle dosi; il dato quantitativo modesto; la presenza di denaro in tagli variabili, i contatti con tossicodipendenti – acquirenti, egli è tenuto ad una motivazione approfondita che dia conto di tutti questi elementi onde affermare la destinazione della droga allo spaccio. (Cass. Sez. 6^ 18.9.2008 n. 309017, P.G. in proc. Casadei Rv. 241405).

3. Nel caso in esame la Corte, ha fornito – come precedentemente cennato – una motivazione assolutamente precisa ed articolata con l’enumerazione di plurime circostanze ritenute, a ragione, altamente sintomatiche della destinazione della droga alla commercializzazione.

Dunque è da escludere che il giudice si sia affidato al solo elemento quantitativo, scendendo invece ad una valutazione delle altre circostanze dell’azione così come richiesto dal pacifico orientamento di questa Corte.

5. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma – ritenuta congrua ex art. 616 c.p.p., – di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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