Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-01-2013) 06-06-2013, n. 24786

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 19 settembre 2011, la Corte di Appello di Roma in parziale riforma della sentenza del Tribunale di detta città del 9 novembre 2010, emessa nei confronti di P.A., escludeva la contestata recidiva e, per l’effetto, riduceva ad anno uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 6.000,00, di multa la pena originariamente inflittagli per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (illecita detenzione a fini di spaccio di cocaina), nonchè revocava la pena accessoria dell’interdizione dai pp.uu. e la disposta revoca dell’indulto, confermando nel resto.

1.2 La Corte di Appello, nel confermare il giudizio di colpevolezza, ribadiva come il possesso di dosi preconfezionate di cocaina; la sua quantità, ritenuta incompatibile con un uso immediato personale; i precedenti specifici, fossero indici inequivocabili della destinazione dello stupefacente per finalità di commercio, ancorchè l’imputato si fosse professato (e fosse risultato) assuntore di droghe. In accoglimento degli altri motivi di appello, riteneva di escludere la contestata recidiva in quanto il fatto non era sintomatico dell’accentuazione della pericolosità sociale e, conseguentemente, riduceva la pena inflitta in origine.

1.3 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con unico motivo, violazione di legge per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione: rileva, in proposito, la difesa che, in violazione del disposto di cui all’art. 192 c.p.p., il giudice distrettuale ha ritenuto, con motivazione del tutto insufficiente e soprattutto manifestamente illogica, che la droga rinvenuta indosso all’imputato nel corso di un controllo su strada fosse destinata all’uso di terzi, nonostante dalla documentazione versata in atti e dai motivi di appello risultasse che il P. fosse un abituale assuntore di cocaina. A detta della difesa sarebbero stati violati dalla Corte di Appello i criteri interpretativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione della condotta di illecita detenzione, non desumibile unicamente dal criterio quantitativo della droga detenuta, ma da altri elementi aggiuntivi, nella specie non tenuti in considerazione dal giudice del gravame.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Si premette in punto di fatto, ed ai soli fini del corretto inquadramento della fattispecie, che al P. è stato fatto carico del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 "perchè deteneva al fine di farne commercio sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso totale di 5 gr. Lordi suddivisa in sette confezioni e sufficiente per il confezionamento di 11 dosi" Fatto commesso in (OMISSIS).

3. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di illecita detenzione della sostanza stupefacente per finalità di spaccio si afferma che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. A), nella sua attuale formulazione non introduce una sorta di presunzione – ancorchè relativa – in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso esclusivamente non personale, nè comporta una inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato: è, infatti, la pubblica accusa a dover provare che la droga rinvenuta sia destinata al consumo (anche in parte) di terzi, mentre al giudice è rimesso il compito di valutare, oltre che il dato quantitativo, tutti gli altri elementi di fatto (modalità e circostanze dell’azione; modalità di presentazione della droga) tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione.

D’altro canto nemmeno il dato quantitativo, nella misura in cui si versi in una ipotesi di mancato superamento della c.d. "soglia" per come indicata dal D.M. richiamato dal dell’art. 73 cit., comma 1, costituisce elemento di certezza per l’esclusione del reato di illecita detenzione, proprio perchè il giudice può trarre il convincimento della colpevolezza da altri elementi indicativi della destinazione della droga al consumo di terzi (in termini, Cass. Sez. 6^ 25.1.2011, Talamo, Rv. 249346; Cass. Sez. 6^ 12.2.2009 n. 12146, P.M. in proc. Delugan, Rv. 242923). Ne consegue che, laddove il giudice si trovi in presenza di una condotta di detenzione integrata da altri indici quali, in via esemplificativa, la suddivisione in dosi; la presenza di strumentazione atta alla preparazione delle dosi; il dato quantitativo modesto; la presenza di denaro in tagli variabili, egli è tenuto ad una motivazione approfondita che dia conto di tutti questi elementi onde affermare la destinazione della droga allo spaccio. (Cass. Sez. 6^ 18.9.2008 n. 309017, P.G. in proc. Casadei Rv. 241405).

4. Nel caso in esame la Corte, richiamando, con riferimento alle circostanze dell’azione, quanto già osservato dal primo giudice e condividendone, sul punto, le argomentazioni, ha desunto la destinazione (anche se in parte) della droga al consumo di terzi da alcuni elementi sintomatici costituiti non solo – come sostenuto dalla difesa del ricorrente – dal dato quantitativo effettivamente modesto (tanto che è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui dell’art. 73, comma 5), ma dalla suddivisione della droga in singole dosi preconfezionate e dal numero di dosi ricavabili, escludendo in modo convincente che in relazione al peso della sostanza questa potesse essere consumata dal P. in unica occasione. Peraltro anche il dato costituito dal luogo in cui il P. è stato sorpreso (duecento metri dalla abitazione) ed il fatto che lo stesso stesse procedendo a piedi con la sostanza addosso ha indotto motivamente la Corte a ritenere più che verosimile la destinazione dello spaccio e di converso inverosimile la versione difensiva dell’imputato, anche in considerazione dei suoi trascorsi giudiziari specifici e della sua frequentazione con soggetti tossicodipendenti. Ancora, non va sottovalutata altra circostanza ribadita dal giudice di appello merito – in coerenza con quanto già osservato dal primo giudice – secondo la quale era da ritenersi inverosimile la tesi dell’acquisto effettuato la sera prima per l’uso personale in quanto incompatibile con il rientro a casa con indosso undici dosi. Dunque è da escludere che il giudice si sia affidato al solo elemento quantitativo, scendendo invece ad una valutazione delle altre circostanze dell’azione così come richiesto dal pacifico orientamento di questa Corte.

5. Oltretutto la Corte distrettuale – diversamente da quanto sostenuto nel ricorso – ha dato atto anche di elementi favorevoli, in astratto, all’imputato quali il suo certificato stato di assuntore di droghe ed il dato quantitativo modesto, disattendendo però, in modo del tutto convincente, la tesi della destinazione al consumo personale in via esclusiva e la tesi che la droga posseduta – per il modo in cui essa era custodita indosso – potesse costituire una scorta per il futuro.

6. Essendosi, quindi il giudice di merito uniformato ai detti criteri interpretativi senza carenze logiche evidenti, il ricorso deve essere rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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