Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-01-2013) 30-05-2013, n. 23337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Palermo giudicava L.C.G. responsabile delle lesioni personali patite da G.A. a seguito di sinistro stradale, verificatosi allorquando il ciclomotore condotto dal G. aveva colpito la gamba destra del L. C., che si era attardato sulla sede stradale con in posizione di apertura lo sportello dell’autovettura nella quale doveva prender posto. Condannava quindi il L.C. alla pena ritenuta equa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

2. La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava i motivi di appello, incentrati sulla censura del ritenuto concorso di colpa del L.C. con la prevalente condotta colposa dell’infortunato, G.A., per aver avuto questa esclusiva efficienza causale rispetto alla produzione dell’evento, nonchè per essere stata individuata una condotta colposa dell’imputato del tutto priva di riscontri nelle prove acquisite al giudizio, posto che l’autovettura (una Y10), il cui sportello era stato mantenuto aperto dal L.C., era risultata parcheggiata regolarmente a ridosso del marciapiede e che quindi il L.C. non si trovava al centro della carreggiata e non frapponeva ostacolo alcuno alla circolazione stradale; inoltre, non risultava che lo sportello fosse completamente aperto. Sotto altro profilo ci si doleva del rilievo accordato alla scelta di far accedere all’auto dal lato della carreggiata le due passeggere già salitevi al momento dell’urto, proprio perchè questo si era verificato solo dopo il loro ingresso nell’abitacolo.

Il giudice di seconde cure riteneva di condividere il giudizio espresso in primo grado e, rilevata l’estinzione per prescrizione del reato ascritto al L.C., in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato ascritto all’imputato, confermando le statuizioni civili.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il L.C. a mezzo del difensore di fiducia, Giovanni Rizzuti.

3.1. Con un primo motivo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e mancanza di motivazione entrambe in relazione alla condanna del L.C. che si assume esser stata pronunciata per un fatto diverso da quello originariamente contestato.

Il decreto che dispone il giudizio imputava al L.C. una condotta colposa consistita nel l’aver aperto lo sportello dell’autovettura in modo repentino ed improvviso e senza verificare l’eventuale sopraggiungere di altri veicoli; la pronuncia di condanna ha identificato la condotta colposa nel fatto di aver indugiato a lungo sull’asse stradale con lo sportello dell’auto completamente aperto, ponendo così un ulteriore evitabile ostacolo e pericolo per gli utenti della strada.

La motivazione resa dalla Corte di Appello sul rilievo difensivo è del tutto laconica, essendosi limitata ad affermare che il primo giudice ha ritenuto correttamente la colpa del L.C. "in assoluta coerenza dell’imputazione formulata a carico dell’imputato".

3.2. Con un secondo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, vizio motivazionale e travisamento della prova in ordine alla mancata assoluzione del L.C..

Ad avviso dell’esponente la Corte di Appello ha ritenuto colposo il comportamento del L.C. in quanto "le condizioni della strada avrebbero dovuto consigliare, secondo il parametro dell’uomo di diligenza media, di effettuare la manovra di ingresso nell’auto di ben tre passeggeri, dunque di non brevissima durata, dallo sportello lato guida, ovvero dal lato del marciapiede, al fine di non arrecare intralcio alla circolazione della strada, in quel tratto ed in quel momento, particolarmente critica".

Ma la ricostruzione dello stato dei luoghi è viziata, per il ricorrente, dal travisamento della prova, giacchè i testi S. e L. hanno riferito che le autovetture parcheggiate lungo la strada al momento del sinistro erano pochissime.

Peraltro, rileva ancora l’esponente, essendo stato affermato che la larghezza della strada era di 14 metri circa, è contraddittoria l’asserzione per la quale il L.C. al momento dell’urto si trovava quasi al centro della carreggiata.

Inoltre, continua l’esponente, la condotta di guida del G. era del tutto imprevedibile, perchè questi marciava sul lato sinistro della strada e per le condizioni di affollamento della via indicate proprio dai giudici di merito; in ragione di quest’ultima osservazione si invoca altresì il principio di affidamento. Si rileva, ancora, la contraddittorietà della sentenza laddove esclude la responsabilità del coimputato E. e l’afferma per il L. C., in quanto se la condotta dell’ E. era immune da censure allora anche quella del L.C. si era avuta in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.

4.1. In primo luogo va ricordato che, a fronte di una sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, l’onere motivazionale assume conformazione del tutto peculiare.

In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2 soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

Ciò è stato affermato anche per l’ipotesi che, all’esito del giudizio, permanga contraddittorietà o insufficienza della prova. In tal caso il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244273).

Ciò posto, quando sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", al fine di decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili, i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).

Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal ricorrente, che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna del medesimo al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

5.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Nel caso che occupa la valorizzazione del segmento comportamentale consistito nel l’attardarsi sulla sede stradale con lo sportello aperto e, ancor prima, di aver scelto di far accedere i passeggeri dal lato della carreggiata piuttosto che del marciapiede era già stata compiuta dal giudice di primo grado (cfr. pg. 6 e 9) e in sede di appello (al di là della tempestività del rilievo, secondo i parametri posti dall’art. 182 cod. proc. pen., applicabile nella specie in ragione del fatto che la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. determina una nullità di natura intermedia: Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012 – dep. 01/08/2012, Di Stefano, Rv. 253217, per la quale da ciò discende che, quando essa si sia verificata in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo e, di converso, non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità), si è correttamente negata la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen..

Invero, in linea di principio va ricordato che, oltre a quanto costantemente asserito da questa Corte circa le modalità con le quali nell’ambito dei reati colposi si invera la correlazione tra atto contestato e fatto ritenuto in sentenza (cfr. tra le molte Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009 – dep. 05/08/2009, Raso, Rv. 245313, per la quale "nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 c.p.p."), la regola posta dall’art. 522 cod. proc. pen. viene violata solo se risulta pregiudicato il diritto di difesa ("ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione": Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013 – dep. 06/02/2013, Lucera e altri, Rv. 254419).

Il ricorrente non ha dato alcuna indicazione in ordine al pregiudizio inferto al diritto di difesa dalla descrizione dei contenuti della colpa operata dai giudici di merito.

5.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Invero, l’intero impianto del ricorso non prende in considerazione che le regole cautelari che i giudici di merito hanno ritenuto disciplinare il caso in esame – ovvero di utilizzare per l’accesso ad un veicolo parcheggiato lungo un asse stradale la portiera posta sul lato opposto a quello ove si svolge il transito veicolare, e comunque di contrarre al massimo la durata dell’operazione, ingombrando al minimo la sede stradale – non trovano applicazione solo se l’ampiezza della carreggiata è particolarmente ridotta, poichè il transito di veicoli a motore determina di per sè condizioni di pericolo per chi è alla guida e per ogni altro utente della strada, in ragione delle velocità raggiungibili e della sempre immanente possibilità di manovre inappropriate. In ogni circostanza la sede stradale deve essere libera da ostacoli che possano pregiudicare il sicuro ed agevole deflusso dei veicoli.

E’ quanto chiaramente espresso dalla Corte di Appello, laddove ha affermato che "le condizioni della strada avrebbero dovuto consigliare, secondo il parametro dell’uomo di diligenza media, di effettuare la manovra di ingresso nell’auto di ben tre passeggeri, dunque di non brevissima durata, dallo sportello lato guida, ovvero dal lato del marciapiede, al fine di non arrecare intralcio alla circolazione della strada, in quel tratto ed in quel momento, particolarmente critica".

Pertanto, non risulta decisivo che la carreggiata, nel punto in cui il L.C. ebbe ad indugiarvi frapponendosi al libero flusso dei veicoli, fosse di circa otto metri di ampiezza o più ridotta, potendo al più tale variabile avere incidenza sul grado della colpa;

profilo non considerato dal ricorso.

Peraltro, il lamentato travisamento della prova, oltre a non essere decisivo per le ragioni appena esposte, neppure ricorre, perchè le deposizioni richiamate sono l’una illustrative delle condizioni della strada in un orario diverso da quello in cui verificò l’incidente, l’altra decisamente generica.

Sotto il diverso profilo della valutazione della condotta del G., va rilevato che essa è stata correttamente ritenuta inidonea a elidere il nesso causale tra il comportamento colposo del L.C. e l’evento verificatosi; per quanto elevato il grado della colpa (e al G. è stato attribuito un concorso in misura del 66%), si tratta di un elemento che – a differenza di quanto pretenderebbe il ricorso – non può giungere ad elidere il contributo efficiente di altre condotte colpose, rimanendo distinti il piano dell’an dal piano del quantum della responsabilità.

L’assunto che quella condotta trasgressiva fosse imprevedibile e che quindi il L.C. possa invocare il principio di affidamento manifesta la propria infondatezza solo che si consideri che proprio le condizioni date, sulle quale il ricorrente non muove contestazione, caratterizzate da una notevole folla di persone, dirette verso le rispettive autovetture parcheggiate lungo la via e dall’inoltrata ora notturna, lungi dal rendere prevedibile che altri utenti della strada avrebbero osservato le regole per una sicura circolazione stradale, rendevano prevedibile che più facilmente si potessero operare manovre non appropriate.

Infine, non si appalesa alcuna contraddizione tra la motivazione che sostiene l’assoluzione del coimputato E. e quella redatta per la posizione del L.C., dal momento che le condotte riferibili ai due sono risultate del tutto diverse.

6. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2013

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