Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-01-2013) 15-05-2013, n. 20944

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con ordinanza pronunciata il 3 febbraio 2012, ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari della sede il 16 dicembre 2011, nei confronti di C.R., sottoposto ad indagini, unitamente a Co.Do., Co.Fi., R. V., L.V. e Ca.Le., a loro volta raggiunti, nell’ambito dello stesso procedimento denominato " (OMISSIS)2", da ordinanze di custodia cautelare in carcere del 16 e 24 dicembre 2011, e insieme a B.G., ai fratelli, Ca.An., Ca.Sa., Ca.Br., Z. A., Z.G., Z.G., L.P., B.T. ed altri, nei confronti dei quali si procede separatamente nel diverso procedimento, denominato "(OMISSIS)", per aver fatto parte "dell’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta e, in particolare, della consorteria "Borghetto-Caridi-Zindato", operante nell’ambito della più ampia cosca "Libri", finalizzata al controllo dei quartieri "Modena", "Ciccarello" e "San Giorgio extra" di Reggio Calabria, previa spartizione tra i gruppi criminali, sulla base di deliberati mafiosi, del territorio d’influenza e delle attività criminali da perpetrare sullo stesso; in ciò avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere delitti come omicidi, estorsioni, danneggiamenti, detenzione e porto illegale di armi, anche da guerra, ed esplosivi; per acquisire in modo diretto o indiretto il controllo e la gestione di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; e, comunque, per realizzare per sè od altri profitti e vantaggi ingiusti; impedire o ostacolare il libero esercizio del voto e/o procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Con l’aggravante della disponibilità e dell’uso delle armi; in Reggio Calabria in corso di consumazione". Dopo un’ampia premessa sulla struttura giuridica del delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen. (pagine da 2 a 7) e la ricognizione di tutti gli elementi, tratti anche da altri procedimenti (oltre a quello già ricordato, "(OMISSIS)", anche i procedimenti denominati "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e il più remoto procedimento "(OMISSIS)"), che dimostrerebbero, secondo le argomentazioni del giudice cautelare, l’esistenza e la continuità nel tempo dell’associazione per delinquere "Borghetto-Caridi- Zindato", con attribuzione di ruoli primari ai germani Ca., An. e Sa., e a Z.G., in diretto contatto con il ritenuto capo crimine della confederazione delle cosche operanti nell’intera provincia di Reggio Calabria (capoluogo e versanti ionico e tirrenico), individuato in O.D. di Rosarno (v. pagine 8-40), l’ordinanza impugnata esamina la specifica posizione di C.R. (da pagina 40 alla pagina finale 115), riconoscendone l’intraneità all’omonimo sodalizio, sulla base degli elementi di seguito sinteticamente indicati, desunti prevalentemente da intercettazioni telefoniche e ambientali:

a) partecipazione del C. alla raccolta di voti per il candidato P.G., cugino dei fratelli Co.Do.

e Fi., uomo di riferimento della cosca mafiosa investigata, in occasione delle elezioni comunali e provinciali del 15 e 16 maggio 2011, unitamente ad altri esponenti del sodalizio criminoso, tra cui Co.Do., L.V. e R.V., con verifiche e contrasti emersi dopo la consultazione elettorale a causa di promesse di voti a favore del P. che non erano state mantenute, in particolare, da D.G. in lite con Co.Vi. (trascritti contenuti delle conversazioni del 25/04/2011 tra il Co. e il C. e del 16-17 maggio 2011); il ricorso a modalità anche intimidatorie per favorire l’elezione del P. sarebbe dimostrato da altra intercettazione tra M.C. e La.An., nella quale quest’ultima, a sua volta candidata nelle elezioni comunali, si lamentava del fatto che i gestori del bar del quartiere di sua residenza le avevano impedito di attaccare i propri manifesti elettorali, sostenendo che gli spazi erano riservati al P.;

quest’ultimo, una volta eletto, si sarebbe impegnato per soddisfare le richieste dei suoi sostenitori, tra cui lo stesso C., come sarebbe emerso da una serie di conversazioni intercettate il 6 settembre 2011 tra R.V. e l’Indagato, il quale chiedeva al primo di consegnare alcuni documenti al P., richiesta subito esaudita dal R. previo contatto telefonico col P., seguito dall’assicurazione al C. di avere consegnato al P. i documenti di interesse;

b) esiti di altra indagine, denominata Crimine, attestante gli stretti rapporti esistenti tra alcuni riconosciuti membri della ‘ndrangheta, come G.N., Ca.Sa. e C. A., e il C.; in proposito sono rievocati alcuni fatti del (OMISSIS) attraverso i contenuti di conversazioni intercettate il 6 e il 7 settembre dello stesso anno, nel predetto diverso procedimento, con i relativi accertamenti di polizia giudiziaria circa gli eventi immediatamente precedenti e successivi all’inaugurazione di un centro estetico, in Reggio Calabria, denominato "(OMISSIS)", di proprietà dello stesso C.;

quest’ultimo si era scontrato con l’opposizione della moglie di tale F. "(OMISSIS)" all’assunzione di un ragazzo come parrucchiere e di tale fatto il C. avrebbe interessato Ca.Sa., ottenendone l’appoggio e l’invito a recarsi a Gallina presso la donna, prospettandole testualmente "la perdita della paga e della pace" se non avesse desistito dal suo comportamento molesto; il C. avrebbe ottenuto il previo assenso all’avvio della suddetta attività commerciale da parte dei capi cosca, Li.

P. e Ca.An., all’epoca detenuti, che lo avrebbero trasmesso tramite colloqui trattenuti con le rispettive mogli;

all’inaugurazione del centro estetico del C., avvenuta l’8 settembre 2007, erano stati presenti tutti i membri della famiglia Caridi, tranne Ca.Sa. (influenzato) e i componenti detenuti della stessa; il successivo incendio del medesimo centro era stato commentato dai cugini G.N. e G.F., detto (OMISSIS), entrambi appartenenti alla "ndrangheta (il primo con le cariche di "padrino" e "crociata"), in un colloquio captato il 13 febbraio 2008, ipotizzando i conversanti che il C. avesse ottenuto l’autorizzazione del solo Ca.Sa. alla nuova attività e non anche dei capi mafiosi della zona, tra cui espressamente gli interlocutori indicano Ca.An., disconoscendo al fratello di quest’ultimo, Sa., analoga autorità; e, in proposito, il Tribunale ritiene non rilevante per negare l’inserimento del C. in dinamiche mafiose la documentazione prodotta dalla difesa -relazione dei vigili del fuoco- a dimostrazione della natura fortuita e non dolosa del suddetto incendio per macchinario difettoso;

c) ulteriori colloqui tra G.N. e Ca.Sa. e tra il primo e C.R., in data 29 febbraio 2008, che evidenzierebbero gli stretti legami dello stesso C. con i suddetti esponenti della ‘ndrangheta calabrese, avvalorati da un precedente viaggio dei tre ( G. N., Ca. S. e C.), il 15 novembre 2007, a Melito di Porto Salvo, sulla costa ionica della provincia reggina, per incontrare tale T. G., titolare di una macelleria; particolare rilievo è attribuito ad un passaggio di un colloquio riservato tra il G. e Ca.Sa., in cui il primo ricorda al secondo l’autorità del fratello detenuto, An., al quale soltanto gli altri componenti di vertice della ‘ndrangheta faranno riferimento, quando uscirà dal carcere, escludendo allo stato alcuna decisione a favore di "(OMISSIS)" (diminutivo di C.R.), intesa dagli inquirenti come promozione di quest’ultimo ad una carica (o grado) criminale;

d) partecipazione del C., nella stessa data del 15 novembre 2007, prima di visitare il T., ad un altro incontro, unitamente al G. e al Ca., con O.M., nipote dal capo crimine, O.D. di Rosarno, presso un distributore di benzina;

e) ulteriore spostamento congiunto di G.N., Ca.

S. e il C., il giorno successivo, 16 novembre 2007, a Melito Porto Salvo, con adozione di rigorose cautele (spegnimento di tutti i cellulari), in occasione del quale i predetti avrebbero incontrato I.R., capo ‘ndrangheta in quel territorio;

f) accertato convegno conviviale, il 13/11/2007, con la partecipazione del C. e di Ca.Sa., R. V., Co.Do. e G.N., tutte persone raggiunte da gravi indizi di partecipazione alla ‘ndrangheta;

incontro del giorno successivo, 14/11/2007, tra lo stesso C. e il R. per andare a prendere una persona non meglio precisata e, quindi; incontrare Ca.Sa., al fine di sedare un probabile contrasto con tale Vincenzo (identificato nel L.), il quale era in disaccordo con il Ca. per questioni di carriera criminale, temendo di essere scavalcato da altra persona meno meritevole; ulteriore cena, il 23/11/2007, cui parteciparono il C., il R., Co.Do.

((OMISSIS)) e L.V. ((OMISSIS)), definita "rimpatriata" dall’intercettato C., con l’adozione di speciali cautele da parte del gruppo dei convenuti per non essere visti da altri e, in particolare, per tenere segreto il loro incontro a Ca.Sa., all’epoca nuovo reggente della cosca, donde la deduzione investigativa che il convegno avesse avuto per oggetto la discussione di problemi interni al sodalizio: la conversazione captata, al termine della cena, nell’autovettura del R., sulla quale si trovavano tutti i convenuti, esprimeva l’insofferenza degli stessi nei riguardi di Ca.Sa., cui non riconoscevano le doti per essere loro capo; anche nel successivo incontro del 30/11/2007, i predetti, tra cui il C., avevano criticato l’operato di Ca.Sa. alla guida dell’associazione mafiosa, di cui quindi implicitamente ma inequivocabilmente, si sarebbero riconosciuti partecipi, secondo la valutazione del Tribunale del riesame;

g) partecipazione, nel più recente mese di luglio 2011, del C. e degli altri membri del sodalizio, tra cui il più anziano e autorevole, R.V., con il ruolo di "mastro di misericordia", al tentativo di richiamare all’ordine Co.

V., amante di E.F., nipote dell’anziano capo cosca, Ca.Gi., detto P., essendo il Co.

coniugato con B.A., sorella di altro membro eminente della cosca, B.C., la quale minacciava di riferire tutto al proprio fratello in carcere perchè fossero presi provvedimenti contro il marito: il coinvolgimento del C. in tale delicato frangente di fibrillazione interna al sodalizio criminale costituirebbe ennesima conferma della sua intraneità alla cosca (richiamate conversazioni, al riguardo, intercettate il 28/07/2011, con il sottolineato intervento proprio del C. e del L. nei confronti del R. affinchè invitasse il Co. a tenere un comportamento più consono);

h) dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Mo.Ro., circa i trascorsi del C. come trafficante di sostanze stupefacenti insieme ad altro soggetto inserito nella cosca De Stefano-Tegano; circa i suoi legami con la criminalità organizzata di Gioia Tauro; circa l’attività economica da lui svolta, come proprietario di un centro estetico che aveva subito un attentato incendiario attribuito, nell’ambiente criminale, allo stesso C. per beneficiare dell’assicurazione; circa l’attribuzione al C. della titolarità anche di un casinò ubicato nella zona del mercato coperto di Reggio Calabria;

i) incendio di due autovetture appartenenti a tale A. G., commesso in (OMISSIS), cui avrebbe partecipato il C., come emergerebbe da una conversazione telefonica intercettata tra c.l.

(ultimamente subentrato, secondo gli inquirenti, ai fratelli detenuti nella reggenza della cosca) e il danneggiato, A., in cui quest’ultimo affermava di aver denunciato per il fatto delittuoso sia tale co.de., persona vicina al Ca., col quale aveva un contrasto economico, sia il C.; la denuncia era stata effettivamente presentata dall’ A. il 15/07/2011 ed integrata il successivo 24 agosto, con l’indicazione dei predetti co. e C. come autori del danneggiamento a suo carico; essa trovava conferma nelle intercettazioni telefoniche attivate in quel periodo, attestanti la compresenza del C., del L., del Co. e del co. prima a Roma e, quindi, in Emilia e, in particolare, del L., del co. e del C. a Medicina nel giorno del danneggiamento incendiario.

L’insieme di tutti i predetti elementi dimostrerebbe, secondo i giudici della misura cautelare, la radicata appartenenza del C. alla consorteria criminale dei Ca. e la sua attiva partecipazione alla vita della stessa (dalla mobilitazione elettorale a favore del coindagato P. alle iniziative imprenditoriali sottoposte al previo assenso della cosca, passando per i rapporti con gli esponenti di altre cosche, fino all’Intervento nelle fasi di fibrillazione dell’associazione e alla sua partecipazione ad azioni ritorsive di danneggiamento a tutela degli interessi di persona vicina alla cosca), con la piena consapevolezza e volontà di farne parte, pur criticando con il R., il L. e il Co.

la temporanea leadership di Ca.Sa., al quale sarebbe rimasto comunque subordinato, temendone la pericolosità.

Quanto alle esigenze cautelari, esse sono state desunte dalla gravità indiziaria della condotta partecipativa e dalla ritenuta attuale operatività dell’associazione di tipo mafioso, con applicazione della misura più rigorosa sulla base della presunzione di esclusiva adeguatezza di essa, ancora prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, primo periodo, per il delitto previsto dall’art. 416 cod. pen., dopo gli interventi demolitori della Corte costituzionale relativi ad altri reati.

2. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto separati ricorsi per cassazione i due difensori del C.: avvocati Emanuele Genovese e Giovanni Vecchio.

3. Il ricorso a firma dell’avvocato E. Genovese denuncia, con unico motivo, i vizi di violazione di legge, in relazione agli artt. 273 e 292 cod. proc. pen. e art. 416 bis cod. pen., e il difetto di motivazione.

L’ordinanza impugnata non avrebbe specificato le condotte tipiche dell’agire mafioso ascritte al C., offrendo una motivazione carente e congetturale.

In particolare, l’appoggio elettorale al P. sarebbe stato puramente privato (personale e familiare) da parte del ricorrente e l’ordinanza non indicherebbe alcun elemento a suffragio dell’adozione di metodi intimidatori, da parte dell’indagato, per sostenere l’elezione dei P..

Parimenti priva di solido fondamento indiziario sarebbe la supposta attesa di una promozione criminale da parte del ricorrente, per la quale doveva attendersi, secondo l’interpretazione di una frase captata a G.N., la liberazione del riconosciuto capo, all’epoca, della cosca, Ca.An., non sostituibile dal fratello, Ca.Sa..

Anche la pretesa partecipazione del C. al danneggiamento delle autovetture nella disponibilità di A.G., in lite con co.de. che avrebbe richiesto l’appoggio della cosca Caridi, sarebbe una deduzione del tutto congetturale dei giudici della misura cautelare.

Infine, l’incendio del centro estetico "(OMISSIS)", di proprietà dello stesso C., di cui i G. ( N. e F.) nel corso del colloquio intercettato il 13/02/2008 sospettano la matrice mafiosa, mentre il collaboratore di giustizia, Mo.Ro., riferisce che esso fu appiccato dagli stessi titolari per riscuotere il premio di assicurazione, avrebbe formato oggetto di documentazione della difesa circa la matrice fortuita di esso, per guasto di un macchinario, della quale l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto alcun conto, incorrendo in un ulteriore vizio di motivazione.

In sintesi, prescindendo dall’analisi di condotte rivelatrici di concreta partecipazione del C. all’associazione mafiosa "Borghetto-Caridi-Zindato", di cui il ricorrente non contesta la sussistenza, e motivando in modo puramente congetturale i ritenuti indizi dell’inserimento in essa del C., l’ordinanza impugnata avrebbe avallato una ricognizione della condotta associativa che si risolverebbe in un mero status di appartenenza in contrasto con gli autorevoli e consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità in materia (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231670).

4. Il ricorso, a firma dell’avvocato Giovanni Vecchio, deduce due motivi.

4.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, nonchè il difetto di motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Il Tribunale del riesame, limitandosi alla pedissequa trascrizione dell’ordinanza cautelare genetica, a sua volta riproducente il contenuto delle informative di polizia giudiziaria, e alla copia del contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, senza operare alcuna valutazione critica del materiale probatorio e, in particolare, omettendo di prendere in considerazione gli elementi forniti dalla difesa, avrebbe violato l’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c bis), e tradito il modello motivazionale legale, ispirato ad una logica dialettica, indicato nell’art. 546 cod. proc. pen., da ritenersi applicabile anche ai provvedimenti applicativi di misure cautelari personali.

4.2. Con il secondo motivo è dedotta l’inosservanza dell’art. 273 cod. proc. pen. per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, in capo al C., del reato previsto dall’art. 416 bis cod. pen., essendo insussistenti i requisiti previsti dalla norma per ritenere configurata tale fattispecie di reato.

Già il capo di imputazione, genericamente indicativo del programma criminoso dell’associazione di tipo mafioso, spaziante dagli omicidi alle estorsioni, dalla detenzione di armi alla gestione di attività economiche fino all’impedimento del libero esercizio del diritto di voto e al condizionamento dell’assegnazione degli appalti, non preciserebbe, in tale contesto, il ruolo attribuito al C..

Tale estrema fluidità della contestazione cautelare, sia pure provvisoria e sommaria ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. b), determinerebbe un vizio per così dire intrinseco o genetico della motivazione costretta ad elaborare, essa stessa, il contenuto specifico della contestazione sollevata e non a verificare la fondatezza dell’assunto accusatorio solo vagamente enunciato quanto alla posizione di interesse, con alterazione della fisiologica struttura logica della decisione articolata sui distinti piani dell’Imputazione, motivazione e decisione.

Nel caso in esame, la motivazione della ritenuta gravità indiziaria della partecipazione del C. al sodalizio mafioso sarebbe autoreferenziale e manifesterebbe la povertà del costrutto accusatorio.

Il ricorrente contesta, in particolare, la valenza indiziaria del delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen. con riguardo a tutte le condotte attribuite al C.: dal presunto condizionamento della competizione elettorale per la composizione del consiglio comunale di Reggio Calabria, a favore di P.G. (il ricorrente avrebbe, al riguardo, operato un sostegno di tipo strettamente privato limitandosi a coinvolgere i suoi familiari e conoscenti più stretti, senza avvalersi del metodo mafioso di cui non v’è traccia nella motivazione dell’ordinanza impugnata), all’incendio del centro estetico "Le Muse", di proprietà dello stesso C. (arbitrariamente interpretato dai giudici della misura cautelare come segno dell’inserimento del ricorrente in dinamiche di tipo mafioso, senza prendere nella doverosa considerazione la documentazione prodotta della difesa, avallante la casualità del medesimo evento, e offrendo un’interpretazione fuorviata del dialogo intercettato tra i cugini G., nel quale si discorre dell’incendio di un chiosco e non di un centro estetico), fino al danneggiamento incendiario in danno di A.G., la cui attribuzione anche al C., oltre che al co., è priva di alcun specifico fondamento indiziario.

Così operando, in assenza di alcuna contestazione di reati fine, l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente riconosciuto la fattispecie criminosa di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, configurando la condotta tipica come un mero status di appartenenza anzichè l’apporto di un contributo positivo, concretamente apprezzabile, alla vita dell’associazione in senso dinamico-funzionale, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte.

In sintesi, la mera indicazione di un determinato soggetto come affiliato, senza specificazione del ruolo assunto nell’organizzazione e senza l’enunciazione di fatti concreti dimostrativi di un contributo tangibile allo scopo comune, non potrebbe giustificare la ritenuta gravità indiziaria della condotta partecipativa.
Motivi della decisione

1. Il ricorso, articolato in due atti di impugnazione nell’interesse dello stesso indagato, è inammissibile.

1.1. Vanno esaminate congiuntamente le censure di violazione di legge, espresse da entrambi i difensori, con riguardo all’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 273 cod. proc. pen., in relazione all’art. 292 cod. proc. pen. e art. 416 bis cod. pen., per apparenza della motivazione e insussistenza degli indizi con riguardo al delitto associativo, che sarebbe stato solo genericamente contestato al C..

Tali censure sono manifestamente infondate, posto che, come si evince dalla narrativa che precede, il reato associativo attribuito al C. è stato compiutamente descritto nell’ordinanza applicativa della misura, enunciante tutti gli scopi illeciti dell’ipotizzato sodalizio criminale, ben oltre la sommarietà descrittiva richiesta dall’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b), e, in proposito, non è superfluo richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in materia di misure cautelari, ai fini dell’osservanza dei requisiti dell’ordinanza che dispone la misura e segnatamente di quello previsto dal citato art. 292, comma 2, lett. b), consistente nella "descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate", è sufficiente che tali elementi siano ricava bili dalla richiesta del P.M., alla quale l’ordinanza abbia fatto espresso riferimento, ovvero anche dal contesto motivazionale dell’ordinanza medesima (Sez. 6, n. 1158 del 09/10/2007, dep. 10/01/2008, Palmiero, Rv. 238411).

La motivazione in tema di gravità indiziaria, poi, come emerge con evidenza dall’esposizione del diffuso contenuto dell’ordinanza impugnata che precede, non è affatto apparente, così da integrare la denunciata violazione di norma processuale, stabilita a pena di nullità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, bensì analitica sulle singole condotte attribuite al C. e ritenute dai giudici della cautela sintomatiche della sua attiva partecipazione al sodalizio criminale, denominato "Borghetto-Caridi-Zindato" dai cognomi delle principali famiglie in esso coinvolte.

1.2. Le ulteriori censure, sempre esaminabili congiuntamente, mosse dai difensori del ricorrente alla motivazione della gravità indiziaria, la quale sarebbe carente, manifestamente illogica e contraddittoria, sono generiche e, comunque, postulano una rivisitazione nel merito delle fonti di prova non consentita nel giudizio di legittimità.

Al riguardo è sufficiente confrontare sinotticamente le astratte censure del ricorrente, da un lato, e l’articolato costrutto motivazionale dell’ordinanza impugnata, dall’altro, con i suoi specifici richiami, temporalmente e spazialmente definiti, ai comportamenti ritenuti indicativi di partecipazione attiva del C. all’associazione ‘ndranghetistica, sulla base dei contenuti delle conversazioni telefoniche e ambientali, oggetto di intercettazioni, e dei risultati investigativi acquisiti in altri procedimenti penali, di cui alcuni già definiti con sentenze irrevocabili, per apprezzare la totale incongruenza e genericità dei rilievi del ricorrente, ivi inclusa la denunciata ma insussistente carenza dialettica della motivazione, in violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c bis), per omessa considerazione degli elementi addotti dalla difesa, posto che la relazione dei vigili del fuoco sulla pretesa matrice fortuita dell’incendio del centro estetico "(OMISSIS)", gestito dal C., è stata considerata dal Tribunale e, con motivazione adeguata e coerente, è stata valutata come inidonea, a fronte di tutti gli altri elementi acquisiti e specificamente indicati, a dimostrare l’estraneità di quella attività e del suo titolare all’orbita degli interessi e del concreto intervento dell’associazione criminale egemone nella zona.

2. Segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, presentato con atti distinti dai due difensori del C., e la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese processuali nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro mille.

La cancelleria curerà la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui è ristretto il C., ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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