Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-01-2011, n. 258

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Attraverso l’atto di appello in esame, notificato il 17 giugno 2010, si impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 465/2010 del 13 aprile 2010, con la quale veniva dichiarato improcedibile il ricorso proposto dal signor D.B. (attuale appellante) avverso la revoca delle autorizzazioni, in precedenza al medesimo rilasciate per la somministrazione di alimenti e bevande, nonché per attività di intrattenimento musicale con apparecchiature stereofoniche e musica dal vivo. Nella citata sentenza si rilevava che – risultando ormai cedute ad altro soggetto le autorizzazioni in questione, con atti non impugnati dal ricorrente – sarebbe venuto meno qualsiasi interesse di quest’ultimo alla prosecuzione del giudizio.

Nella presente sede di appello, viceversa, il B. sottolinea la persistenza del proprio interesse, sul piano sia morale che patrimoniale, ad una pronuncia che riconosca l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della revoca, in base alle seguenti prospettazioni difensive:

a) assenza di precedenti penali di qualsiasi genere sia dell’appellante (come attestato dal certificato generale del casellario giudiziale), sia dei familiari del medesimo;

b) ulteriore assenza di misure interdittive antimafia e normale accesso al credito dell’appellante stesso;

c) carattere vincolato dei provvedimenti di polizia, che potrebbero essere adottati solo in presenza di circostanze tassative, non sussistenti nel caso di specie, con conseguente violazione dell’art. 11 T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773);

d) omessa comunicazione di avvio del procedimento, non essendo state rispettate tutte le formalità previste per la notifica, effettuata a norma dell’art. 140 Cod. proc. civ., con conseguente impossibilità per l’interessato di partecipare al procedimento;

e) violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 per difetto di motivazione e di istruttoria.

L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, ribadisce l’insussistenza di interesse attuale all’impugnativa, per impossibilità di riacquisizione delle autorizzazioni revocate.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’impugnativa non possa essere accolta, pur non risultando condivisibile la motivazione della sentenza appellata.

Deve riconoscersi, infatti, che permanga un interesse protetto all’annullamento della revoca di un’autorizzazione commerciale, anche quando quest’ultima sia stata trasferita a terzi con atto divenuto inoppugnabile, essendo giuridicamente rilevante anche la tutela dell’onorabilità del soggetto, la cui condotta sia stata ritenuta ostativa per la gestione di un pubblico esercizio, a fini di ristoro non solo morale ma anche patrimoniale, sul piano risarcitorio e di possibile avvio di nuove iniziative commerciali. Nel merito, tuttavia, nessuna delle argomentazioni difensive prospettate – e di seguito esaminate in ordine di priorità logica – appare condivisibile.

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserita tassatività delle ipotesi di revoca, deve essere sottolineato che, nel sistema delle autorizzazioni di polizia, sono generalmente previste sia precise circostanze, in cui l’Amministrazione abbia l’obbligo o la facoltà di negare o revocare le autorizzazioni stesse, sia ipotesi residuali e generali, in cui i medesimi provvedimenti possano essere adottati per ragioni diverse da quelle prescritte espressamente dalla legge, ma comunque apprezzabili dall’Autorità a tutela dell’interesse pubblico, quale pericolo di abuso nell’esercizio dell’attività autorizzata (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 4 maggio 1982, n. 267, 28 marzo 1990, n. 221 e 27 febbraio 1996, n. 183; Cons. Stato, VI, 31 gennaio 2006, n. 309).

Nell’art. 11 T.U.L.P.S. – di cui si prospetta la violazione sotto il profilo in precedenza esaminato – si precisa nell’ultimo comma, con una tale previsione generale di chiusura, che "le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze, che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione"; nei due commi precedenti, poi, vengono enunciate non solo precise cause ostative per il rilascio, ma anche ragioni rimesse al prudente apprezzamento delle Autorità competenti, come la circostanza che il soggetto interessato non possa "provare la sua buona condotta".

Nella situazione in esame l’Amministrazione ha esaurientemente motivato la revoca, per relationem, sulla base di un rapporto di polizia, il cui contenuto è riportato nella nota della Prefettura di Vibo Valentia n. 1617/Area I^ del 19 novembre 2008; in tale nota si riferisce che l’appellante, del quale vengono indicati i dati anagrafici e la residenza, risulta "legato da stretti rapporti di parentela, nonché da comunanza in attività ed interessi economici con noto pluripregiudicato"; la famiglia dell’appellante stesso, inoltre, viene indicata come dedita ad "attività illecite di riciclaggio, usura ed estorsione", con ulteriori annotazioni sulla "pessima condotta" dello stesso signor D.B., per questioni di rilevanza penale. A fronte di tale gravissimo quadro indiziario l’appellante fornisce riscontro dell’assenza di condanne, risultanti dal casellario giudiziario e afferma l’assenza di misure di prevenzione a suo carico, ma quanto alla "buona condotta" (requisito con ogni evidenza più stringente ed ulteriore) lo stesso si limita a negare apoditticamente tutte le circostanze segnalate, senza tuttavia che risulti una qualche attivazione del medesimo per segnalare la possibilità di uno scambio di persona, per eventuale identità di un cognome, che sarebbe molto diffuso nella zona. L’autorevolezza della fonte, da cui provengono le circostanziate segnalazioni sopra sintetizzate, d’altra parte, non appare confutabile in assenza, quanto meno, di un principio di prova circa la totale estraneità ai fatti segnalati del medesimo B., di cui pure vengono riportati, nella citata nota della Prefettura, dati anagrafici che non risultano contestati. Nella situazione descritta il Collegio ritiene, pertanto, che l’Amministrazione abbia fornito dati sufficienti per dimostrare la sussistenza dei presupposti per un provvedimento, che la gravità delle circostanze emerse rendeva doveroso, tanto da escludere – a norma dell’art. 21octies l. 7 agosto 1990, n. 241, come integrata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 – il carattere invalidante della mancata comunicazione di avvio del procedimento (comunicazione in realtà effettuata, ma che si prospetta non giunta a buon fine per vizio di notifica; cfr. anche, sul punto, Cons. Stato, V, 26 settembre 1995, n. 1364 e 14 luglio 1997, n. 363).

Per le ragioni esposte, pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, per infondatezza nel merito delle censure prospettate e conseguente rigetto – con diversa motivazione – del ricorso di primo grado. Quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della disposta riforma della sentenza appellata.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello specificato in epigrafe, confermando con diversa motivazione il rigetto del ricorso proposto in primo grado; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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