Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-01-2013) 15-05-2013, n. 20943 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Caltanisetta, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 28 giugno 2012 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della sede, contestualmente dichiaratosi incompetente a favore del Tribunale di Palermo, nei confronti di A.E., sottoposto ad indagini insieme ad altre cinquantatre persone per il delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen..

Il Tribunale del riesame ha affermato che gli elementi addotti dal Giudice per le indagini preliminari a sostegno degli apprezzati gravi indizi a carico dell’ A. erano privi del requisito della gravità, esaurendosi in due contatti telefonici in data 13 e 14 marzo 2011 tra lo stesso A. e il ritenuto capo della famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro, R.F., aventi per oggetto rapporti di lavoro tra i due (l’ A. svolge documentata attività di noleggiatore e installatore di video giochi quale titolare dell’impresa "Las Vegas"), cui si aggiungevano un messaggio sul telefono mobile del 15 marzo 2011, preannunciante l’arrivo dell’ A. presso il R., e una conversazione tra presenti intercettata il 15 marzo 2011, presso lo spazio adiacente la casa di riposo "(OMISSIS)", in Agrigento, tra il R. e il T., quest’ultimo indicato come capo della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento, mentre l’ A., pur presente al colloquio, si era limitato a scarni ed incomprensibili interventi, di per sè sforniti di valore sintomatico della sua partecipazione all’articolazione locale dell’associazione mafiosa, nota come "Cosa Nostra", non risultando ulteriori contatti dell’ A. con il T. o con il R. ovvero con gli altri numerosi indagati nel medesimo procedimento, nè alcun protagonismo delinquenziale dello stesso nel lungo arco temporale in cui si erano svolte le indagini.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, il quale deduce il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, riproponendo le fonti di prova acquisite nei confronti delle numerose persone sottoposte ad indagini nel presente procedimento e sostenendo che la conversazione tra presenti del 15 marzo 2011 farebbe emergere con chiarezza l’intraneità dell’ A. al sodalizio mafioso per i rilevanti temi affrontati dai tre interlocutori, R., T. e A., così riassunti:

– la possibilità di muoversi in tutto il territorio agrigentino per le richieste estorsive in forza del benestare proveniente dal rappresentante del mandamento di Sambuca di Sicilia;

– il ruolo di C.L. e Ca.Pi. per conto di "Cosa Nostra", quali latori ("camminano") di varie richieste estorsive sul territorio;

– il timore del C. di essere sorvegliato dalle forze dell’ordine;

– la necessità di ricorrere a modalità operative del tutto peculiari per sviare pedinamenti e intercettazioni, utilizzando autovetture di terzi, scegliendo luoghi isolati e adottando linguaggi criptici;

– l’opportunità che il C. si facesse da parte per un certo periodo, facendosi sostituire dal Ca.;

– l’interesse del R. ad evitare contatti telefonici diretti con il C.. Seppure la conversazione suddetta si svolse principalmente tra il R. e il T., di cui il primo sovraordinato al secondo, osserva il pubblico ministero ricorrente che la presenza ad essa dell’ A. assume valore gravemente indiziario della sua partecipazione al sodalizio, non essendo concepibile che un estraneo sia messo nelle condizioni di ascoltare una discussione tra capi mafia su rilevanti questioni attinenti all’organizzazione criminale e alla sua attività nel territorio.

Il Tribunale, infine, avrebbe travisato il dato dei contatti tra il R. e l’ A., che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, sarebbero stati assidui e costanti nel corso del tempo: oltre alle comunicazioni telefoniche del 13 e 14 marzo 2011, sarebbero stati accertati ben 71 contatti tra le utenze cellulari nella disponibilità dei predetti, R. e A., nel periodo compreso tra il 17/01/2001 e il 22/07/2011.

3. Il 17 gennaio 2013 è stata depositata memoria del difensore dell’ A., avvocato Giuseppe Lipera, nella quale si rappresenta che il competente Giudice per le indagini preliminari di Palermo ha riemesso, il 18 luglio 2012, ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’ A.; il Tribunale del riesame di Palermo, in accoglimento del ricorso riproposto dall’indagato, ha annullato il titolo custodiate con propria ordinanza del 2 agosto 2012; e quest’ultima decisione non è stata impugnata con ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero.
Motivi della decisione

1. Il ricorso presentato il 23 luglio 2012 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo avverso il provvedimento in data 12 luglio 2012 del Tribunale di Caltanissetta, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., che ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 28 giugno 2012 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta, contestualmente dichiaratosi incompetente con la trasmissione degli atti al giudice competente, è inammissibile, perchè proposto avverso provvedimento già divenuto inefficace ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. e da parte di pubblico ministero non legittimato a norma dell’art. 311 c.p.p., comma 1.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la misura coercitiva disposta dal Giudice per le indagini preliminari che contestualmente si dichiari incompetente è un atto ad efficacia temporale limitata e risulta, a tutti gli effetti, sostituita dalla misura cautelare tempestivamente applicata dal Giudice per le indagini preliminari competente, entro il termine di venti giorni indicato nell’art. 27 cod. proc. pen., la quale integra un titolo del tutto autonomo, sicchè la decisione del Tribunale del riesame sulla pregressa ordinanza del giudice incompetente non presenta alcuna incidenza sullo "status libertatis" dell’indagato che trova, ormai, la propria regolamentazione nel provvedimento pronunciato dal giudice competente (Sez. 2, n. 1379 del 11/03/1994, dep. 19/04/1994, Battaglia, Rv.

197437; Sez. 4, n. 45819 del 30/03/2004, dep. 26/11/2004, Calabrò, Rv. 230587; Sez. 5, n. 28563 del 27/06/2007, dep. 18/07/2007, Gallo, Rv. 237570; v., anche, Sez. U, n. 15 del 18/06/1993, dep. 29/07/1993, Silvano, Rv. 194315).

Deve, dunque, ritenersi originariamente inammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 311 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame relativa a misura coercitiva emessa da giudice incompetente, quando il medesimo ricorso sia stato proposto dopo la scadenza dei termine di venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen.; mentre il medesimo ricorso diventa inammissibile, per sopravvenuta inefficacia della misura coercitiva, allorchè la scadenza del termine di venti giorni intervenga dopo la sua proposizione, nelle more del procedimento già pendente davanti al giudice dell’impugnazione.

Nel caso in esame, il pubblico ministero presso il giudice competente ai sensi dell’art. 328 c.p.p., comma 1-bis, ha disposto, a norma dell’art. 384 cod. proc. pen., il fermo dell’indagato, eseguito in distretto diverso da quello del giudice competente, e il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del tribunale del riesame di annullamento della misura coercitiva è stato presentato dal pubblico ministero il 23 luglio 2012, ben oltre i venti giorni dall’ordinanza resa il 28 giugno 2012 dal giudice incompetente, il quale, al sensi degli artt. 390 e 391 cod. proc. pen., aveva emesso la misura con la contestuale trasmissione degli atti al giudice competente; con la conseguenza dell’inammissibilità dell’impugnazione avverso la suddetta ordinanza pertinente a misura cautelare già divenuta inefficace in forza dell’art. 27 cod. proc. pen..

Va aggiunto che il Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Palermo, autore del ricorso a questa Corte, è diverso dal Procuratore della Repubblica presso (Incompetente Tribunale di Caltanissetta, il quale, dopo l’esecuzione del fermo nel distretto di Caltanissetta, legittimamente richiese al Giudice per le indagini preliminari di quella sede, ai sensi dell’art. 390 cod. proc. pen., la convalida del fermo e l’applicazione della misura coercitiva, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 1, il solo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, e non quello presso il Tribunale di Palermo, era legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento in tema di misura coercitiva da lui richiesta, donde ulteriore causa di inammissibilità dell’attuale ricorso proposto, invece, dal pubblico ministero di Palermo.

2. Nulla va disposto per le spese, trattandosi di impugnazione formulata dal pubblico ministero.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2013

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