Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-07-2012, n. 12455 Canone

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 25 settembre 2000 il Tribunale di Carrara rigettava la domanda con la quale la IMPRESA N.F. COSTRUZIONI GENERALI s.p.a, premesso che aveva concesso in locazione con decorrenza dal 10 maggio 1989 un immobile sito in (OMISSIS), adibito ad autofficina per riparazioni a A.L. per il canone mensile di L. 3.500.000 da corrispondersi effettivamente solo dal 10 maggio 1994, aveva chiesto la condanna del conduttore al pagamento delle somme non versate a titolo di aggiornamento ISTAT così come pattuito e la risoluzione del contratto per colpevole inadempimento del predetto.
Le spese di lite vennero interamente compensate tra le parti.
Su gravame della Negro, la Corte di appello di Genova il 20 marzo 2001 riformava la sentenza limitatamente alla negata corresponsione degli aggiornamenti ISTAT a decorrere dal 10 maggio 1994.
A seguito di ricorso per cassazione della N. questa Corte con sentenza in data 8 giugno 2004, n. 15034/08, rilevato che la sentenza di appello aveva fatto erronea applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 32, statuiva che l’aggiornamento ISTAT andava calcolato con il criterio della variazione assoluta del canone iniziale dall’inizio del contratto fino alla data della richiesta nella misura del 75% dell’inflazione determinata dall’ISTAT, accogliendo il primo motivo del ricorso e ritenendo assorbiti gli altri.
Riassunto il giudizio, la Corte di appello di Genova il 27 settembre 2008 accoglieva parzialmente l’appello e condannava l’ A. – conduttore – a pagare a favore della NEGRO la somma di Euro 38.872,04 a titolo di differenza dei canoni con interessi dalla sentenza al saldo; confermava nel resto e compensava integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio; disponeva anche che le spese per le espletate CTU fossero sopportate per metà da ciascuna delle parti, fermo restando il vincolo di solidarietà per quelle in favore del CTU. Avverso siffatta decisione prone ricorso per cassazione la IMPRESA N.F. COSTRUZIONI GENERALI s.p.a. affidandosi a 6 motivi, di cui uno erroneamente indicato come terzo (p. 22 ricorso).
Resiste con controricorso l’ A..
Su istanza di trattazione L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 26, il ricorso è stata fissato per l’odierna pubblica udienza.

Motivi della decisione

1.-Per quel che interessa in questa sede, con il primo motivo (nullità della sentenza ex art. 360, n. 4; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla mancata motivazione sulla inapplicabilità della clausola risolutiva espressa – p. 16-18 – ricorso) la società ricorrente, in estrema sintesi, lamenta che il giudice del rinvio abbia mutuato quasi testualmente la motivazione della precedente sentenza e, quindi, la motivazione sarebbe di mero stile.
Il motivo appare generico nella sua illustrazione per difetto dell’osservanza del principio di autosufficienza.
Non solo, ma nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè l’attuale ricorrente avrebbe ribadito più volte che il termine "pigione" comprendeva anche l’adeguamento del canone, contrasta palesemente con l’argomentare del giudice dell’appello.
Questi, infatti, ha escluso l’applicabilità della clausola concordata tra le parti alla omessa corresponsione degli aggiornamenti ISTAT in mancanza di espressa previsione, non potendosi fare rientrare nell’asciutto termine "pigione" gli stessi, perchè non espressamente previsti (p. 6 sentenza impugnata).
Peraltro, è pacifico che la motivazione della sentenza "per relationem" è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione dello stesso, diviene parte integrante dell’atto rinviante, fermo restando che il rinvio, come è avvenuto nella fattispecie, va operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo sulla motivazione (v. Cass. n. 3367/11).
2.-Nè sembra ammissibile il secondo motivo (omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5 sulla domanda di risoluzione fondata sulla clausola risolutiva espressa – p. 18-19 – ricorso), sia perchè, così come formulato, manca del necessario momento di sintesi, sia perchè, malgrado la asserita "anfibologia" (p. 18 ricorso), la clausola non comprendeva se non il mancato pagamento della pigione e non già il richiesto aggiornamento.
3.-Il terzo motivo (violazione di legge e falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362, e segg., all’art. 1456 c.c., in relazione alla domanda di risoluzione contrattuale in forza della clausola risolutiva espressa – p. 19-24 – ricorso) pone una questione interpretativa della clausola – così come si legge nella sentenza impugnata-, in virtù della complessità dei rapporti contrattuali e la difficoltà da parte del conduttore di interpretare le singole talvolta contraddittorie richieste della società locatrice (p. 6 sentenza impugnata).
Di vero, come è noto, la questione interpretativa di una clausola si risolve, in una quaestio facti, incensurabile in sede di legittimità, dovendosi ribadire che non può trovare ingresso in questa sede la critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice del merito, che, come nella specie, si traduca elusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (Cass. n. 7500/07).
4.-Di qui, l’assorbimento del quinto motivo (violazione di legge e falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1362, e segg., agli artt. 1453 e 1455 c.c. ed alla domanda di risoluzione contrattuale per grave inadempimento del conduttore – p. 24-29 – ricorso), che, peraltro, è abbastanza generico e va disatteso.
Infatti, l’ìnterpretazione del rapporto contrattuale non poteva indurre ad una condotta di colpevole inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., ai fini della risoluzione del contratto.
Nè risponde al vero che il giudice dell’appello non abbia verificato se il comportamento della società fosse stato contraddittorio (v.
ancora p. 6 sentenza impugnata), per cui è corretta l’applicazione dei criteri di definizione dell’inadempimento (Cass. n. 15363/10).
5.-Con il quarto motivo (violazione di legge e falsa applicazione art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 1362 e agli artt. 1453 e 1455 c.c., ed alla domanda di risoluzione contrattuale per grave inadempimento del conduttore – p. 22-24 – ricorso) la società ricorrente lamenta che vi sarebbe mancanza di motivazione o quanto meno omessa ed insufficiente motivazione ovvero violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento alla domanda di risoluzione per grave inadempimento del conduttore.
La doglianza non appare meritevole di accoglimento, una volta ritenuta la inapplicabilità della clausola agli aggiornamenti ed i quesiti non sono che una ripetizione di quanto già proposto con il primo motivo di censura.
6.-Il sesto motivo (violazione di legge e falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c. – p. 29-31 – ricorso), come evidenzia il resistente, non ha alcun pregio.
Infatti, il giudice dell’appello ha preso atto dei conteggi eseguiti dal CTU, nominato in quella fase rescissoria, e gli stessi non sono stati contestati dalle parti (e su questa circostanza nulla deduce la società ricorrente), attualizzandone il pagamento dalla sentenza al saldo.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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