Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-01-2013) 09-05-2013, n. 20030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 16.2.2011, la corte di assise di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza 11.2.2010 della corte di assise di Firenze, riconosciuta l’attenuante della provocazione, ex art. 62 c.p., n. 2, ha ridotto a Euro 150,00 di multa e a 5 anni di reclusione, la pena inflitta a F.F. e M.D., rispettivamente, per il reato di rissa aggravata, avvenuta il (OMISSIS) nel corso della quale era deceduto S.S., e per il reato di omicidio preterintenzionale, in danno del S., avendolo aggredito con calci e pugni, anche dopo che lo stesso era caduto per terra privo di sensi, cagionandone la morte, avvenuta il (OMISSIS). La sentenza di appello ha confermato le pene accessorie, nonchè le statuizioni in favore delle parti civili.

I difensori di F. e M. hanno presentato ricorso, integrati con atti depositati il 4.1.2013, per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), vizio di motivazione in riferimento alla mancata assunzione di prova decisiva: gli imputati hanno chiesto alla corte di merito l’ammissione di prove documentali e dichiarative, indispensabili per la dimostrazione dell’ipoevolutismo della personalità del teste Ma.Ce., ritenendo carente e illogica la motivazione della sentenza dichiarativa di responsabilità fondata sulle dichiarazioni di questo teste, intrinsecamente contraddittorie e non suffragate da alcuna prova certa. Le prove richieste, erano dirette alla dimostrazione dello stato patologico del teste e sono qualificabili come sopravvenute o scoperte successivamente alla pronunzia della sentenza di primo grado, meritevoli, quindi, di essere ammesse, nei soli limiti previsti dagli artt. 495 e 190 c.p.p.. Esse sono emerse, grazie ad indagini difensive, ex art. 391 quater c.p.p., "ovviamente effettuate" posteriormente al dibattimento e diversamente non poteva essere, anche se la corte erroneamente ha ritenuto che potevano essere prodotte nel dibattimento di primo grado. Era quindi pienamente legittima la richiesta di poter dimostrare, attraverso documenti ineccepibili e le testimonianze degli ex medici curanti del Ma., del direttore dell’INPS, del consulente della difesa, che il teste è uno pscicolabile, affetto da palese mitomania infantile La riapertura dell’istruttoria dibattimentale è prevista, inoltre, dall’art. 603 c.p.p., comma 3, secondo cui il giudice di appello, di ufficio, ammette la prova che sia "assolutamente necessaria", indipendentemente quindi dalla novità o dalla omessa o tardiva iniziativa del PM. 2. Vizio di motivazione: la corte afferma che l’affermazione di responsabilità non si basa solo sulle dichiarazioni del Ma.

– utilizzate solo in relazione all’esclusione della legittima difesa e all’affermazione della sussistenza della rissa – senza chiarire quali siano gli altri elementi di prova.

Vi è comunque un travisamento della prova testimoniale, laddove, nel confermare la responsabilità del F., la sentenza omette di rilevare che mai il Ma. ha visto l’imputato colpire il S..

Nei due gradi di giudizio non è stato sottoposto ad accertamento l’attendibilità del teste, che ha fornito plurime e contrastanti versioni dei fatti. Mantenendo questa omissione, risultano violati l’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 3.

Non è stata poi data adeguata rilevanza a D.P.C. – unica teste oculare, indifferente -, le cui dichiarazioni sono idonee a ricostruire la vicenda, sotto l’aspetto sia della tentata rapina, sia della legittima difesa, sia dell’insussistenza della rissa, sia della caduta accidentale del S.. La D.P. ha messo in evidenza come la Z., assunta come teste di accusa, sia stata in realtà una partecipe all’aggressione o quanto meno una corrissante.

3. Vizio di motivazione in riferimento alla mancata ammissione della perizia medico legale sulle cause della morte del S. o sulle sue condizioni fisiche e psichiche, sulla compatibilità delle lesioni con un violento urto su una superficie dura (il muretto), al fine di poter escludere un nesso causale tra le percosse e la morte.

La corte ha rigettato la richiesta senza adeguata motivazione;

4. Vizio di motivazione sulla sussistenza del reato di rissa: gli imputati hanno affermato di aver reagito all’aggressione di V. G. e del S. e i testimoni hanno confermato questa versione dei fatti. La sentenza contrappone a questa ricostruzione la citazione di una sentenza inconferente ai fini delle questioni da risolvere:

– la valutazione corretta delle dichiarazioni del Ma., che appaiono illogiche e incoerenti;

– la giustificazione della riconosciuta sussistenza del reato di rissa tra due gruppi, di cui uno ha tenuto un comportamento aggressivo e l’altro si è limitato ad assumere un comportamento difensivo.

Il ricorso non merita accoglimento,in quanto le argomentazioni presentate dai due difensori propongono, in chiave critica, valutazioni fattuali, sprovviste di specifici e persuasivi addentellati storici, nonchè prive di qualsiasi coerenza logica, idonea a soverchiante e a infrangere la lineare razionalità, che ha guidato le conclusioni della corte di merito.

Con esse, in realtà, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito.

Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame:

la struttura razionale della motivazione – facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logico-giuridiche della sentenza di primo grado – ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che è saldamente ancorata agli inequivoci risultati dell’istruttoria dibattimentale, alla luce dei quali i giudici di merito hanno esaminato con esito negativo la diversa versione dei fatti, proposta dagli imputati, secondo cui:

a) nessun rissa si è verificata tra i gruppi di giovani, composti, da un lato, dai due imputati e dalla teste D.P. (rimasta del tutto estranea ai fatti) e, dall’altro, da V., dal S. e dalla sua ragazza, Z.S.. In realtà, è emerso che i primi sono stati vittima di un’aggressione, a scopo di rapina, realizzata dai secondi, guidati da "un capellone, alto e ben messo (il V.);

b) nel corso di questo inevitabile contrasto fisico, il S. S. è accidentalmente caduto,battendo contro un muretto, procurandosi così un trauma cranico, un ematoma cerebrale e altre lesioni;

c) la successiva morte è stata causata non dagli effetti di questa caduta, ma dall’aggravarsi in maniera irreversibile della cirrosi epatica, dall’affezione di immunodeficienza da H.I.V., nonchè dallo stato di grave tossico dipendenza conclamata in atti;

d) le lesioni agli organi interni (milza e polmone) e la frattura del naso sono poi state determinate da scosse di sbalzo in avanti (sussultorie) e successivamente di segno contrario (assestamento), tali da provocare l’impatto e lo sfregamento di tali organi molli, siti nella cavità toracico-addominale, contro le costole e le vertebre, che essendo più consistenti ebbero a produrre queste lesioni di lieve entità. Secondo la tesi difensiva, tutto questo si spiega con l’ipotesi dell’impatto violento da caduta in avanti del S. contro un corpo contundente, rappresentato dal muretto.

I giudici di merito hanno esaminato,invece, con esito positivo, la contrapposta versione dei fatti, basata sulle dichiarazioni dei testi V. e Z. (componenti del gruppo di cui faceva parte la vittima), del teste Ma., assolutamente indifferente, rispetto all’esito del processo, nonchè sul quadro patologico, derivato dell’indiscutibile scontro fisico con i due imputati.

La maggiore capacità persuasiva di questa ricostruzione dei fatti è stata riconosciuta dalle due sentenze di merito, in base alle seguenti valutazioni, espresse con lineare razionalità e con assoluta completezza, tanto da essere del tutto insindacabili in sede di giudizio di legittimità.

Snodo centrale di tutta la ricostruzione dei fatti è stato individuato nelle narrazioni del teste Ma., le quali sono state oggetto di un’attenta e minuziosa valutazione dei giudici di merito, che ha legittimato il disconoscimento di qualsiasi esigenza di sottoporre le sue condizioni fisio-psichiche e le sue capacità mnemoniche ad uno specifico controllo, da effettuare a seguito di ulteriore istruttoria dibattimentale. I giudici hanno rilevato che queste dichiarazioni – pur se costellate da incertezze e imprecisioni – hanno conseguito il riconoscimento di decisiva forza persuasiva, in quanto sono coerentemente confluite in una ferma e compatta parte centrale: il S., dopo esser caduto, nel corso della colluttazione, ed esser rimasto esamine al suolo, ha costituito bersaglio di calci e pugni, da parte di altri due uomini, indiscutibilmente identificati nei due imputati ( V. componeva, con la vittima, uno dei gruppi in conflitto; le altre due persone presenti erano di sesso femminile). Questa massa di colpi, secondo la razionale interpretazione dei dati storici, compiuta dai giudici di merito, costituisce una convincente chiave di lettura circa la causa dell’iniziale caduta del S. (un atto di violenza proveniente dagli avversari), e da spiegazione, netta e lineare alle origini traumatiche delle lesioni accertate sul corpo della vittima.

Correttamente interpretando le risultanze processuali, la sentenza impugnata, rileva che messi fuori combattimento V. (con una pedata al ventre) e la Z. (colpita, cade e non prende ulteriormente parte alla lite), l’azione lesiva dei due contendenti si concentra sul S., che viene percosso fino a cadere a terra e quindi percosso nuovamente, causandogli le mortali lesioni. Appare del tutto insindacabile la critica qualifica di "deduzioni parascientifiche, lanciate a puro scopo difensivo", formulata dal primo giudice nei confronti delle argomentazioni di medicina legale,proposte nell’interesse degli imputati e finalizzate a identificare nella caduta accidentale, della vittima contro il muretto la causa di così vasta e varia gamma di lesioni nel suo corpo. Con adeguata analisi e valutazione degli accertamenti del consulente del P.M. e del consulente della parte civile, le due sentenze hanno, in maniera conforme, individuato come causa del decesso del S. il politraumatismo da percosse al quale fu sottoposto. Con estrema precisione, il primo giudice, ha espresso il convincimento – confermato dalla sentenza di appello – che il S. fu attinto da più colpi, sia alla testa, con imponente ematoma sotto durale, sia al viso (frattura delle ossa nasali, ferite lacero contuse agli zigomi e ad un’arcata sopraciliare), oltre che in varie parti del corpo, con lesioni traumatiche alla milza e a un polmone. Razionalmente, questo quadro contusivo – inconciliabile con il singolo episodio di una caduta accidentale, sia pure violenta contro il muretto – è stato posto dai giudici di merito in rapporto di causalità con la morte del S., pur in presenza di uno stato fisico affetto da numerose patologie: le ripetute e brutali percosse sono comunque all’origine dell’ematoma cerebrale che ha determinato la causa scatenante dello stato di coma della vittima e della sua morte.

La tesi, sostenuta da F. e M., della tentata rapina di soldi e droga, ideata e gestita dal gruppo S.- V., ha manifestato, alla attenta analisi dei giudici, la sua insanabile fragilità, anche alla luce della seguente logica considerazione; se gli imputati fossero stati vittime di aggressione fisica e morale, riportando anche considerevoli lesioni, non avrebbero celato questi eventi e si sarebbero immediatamente rivolti all’autorità competente, per ottenere giustizia e ristoro materiale. E’ invece risultato accertato un comportamento assolutamente inspiegabile, se riferito a persone vittime della violenza altrui, ma pienamente compatibile con la volontà di chi volesse nascondere un proprio comportamento illecito alla conoscenza e alle connesse indagini degli organi di polizia: l’ingresso al pronto soccorso dell’ospedale (OMISSIS), avvenne, per entrambi, alle ore dodici del (OMISSIS), cioè oltre nove ore dai fatti e soltanto dopo che la polizia giudiziaria li aveva rintracciati.

L’accertata sussistenza di atti di violenza reciproca tra i due gruppi di giovani ha condotto correttamente la decisione dei giudici al riconoscimento della consumazione del reato di rissa, da attribuire a tutti i protagonisti di questi atti aggressivi, a prescindere dall’individuazione di chi abbia preso l’iniziativa di offendere l’altrui incolumità fisica. Con altrettanta correttezza, è stata esclusa, per gli imputati, l’esimente della legittima difesa, che è inapplicabile a che agisca in un contesto di persone animate dal proposito di ledersi reciprocamente e di accettare la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti;

conseguente la loro violenta azione difensionale non può dirsi necessitata.

E’ quindi del tutto infondata la censura, proposta dal ricorrente, in ordine al vizio di motivazione, riferito al compatto apparato logico- argomentativo della sentenza impugnata. Su tale apparato storico- valutativo la Corte non può essere chiamata a effettuare una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, nè può integrare una rituale censura di vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Quanto al motivo concernente la mancata assunzione di prova decisiva, si rileva che, ai fini della configurazione del vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. d), è indispensabile che la prova decisiva indicata dal ricorrente abbia ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non una prova dichiarativa di parte (come nel caso della richiesta dell’esame del teste indicato dalla difesa), o un ulteriore accertamento tecnico che debbano essere vagliati unitamente agli altri elementi di prova acquisiti, non per elidere l’efficacia dimostrativa di questi ultimi, ma per effettuare un confronto, all’esito del quale si prospetta l’ipotesi di un astratto quadro storico-valutativo, favorevole alla parte ricorrente, da sovrapporre alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione effettuate dai giudici di merito. Si tratta di proposizioni inammissibili, in quanto tese a provocare le non consentite "rilettura" e rivalutazione delle emergenze processuali.

I ricorsi vanno quindi rigettati con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili, che liquida globalmente per ciascuna di loro in Euro 2.000,00 oltre accessori secondo legge.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili, che liquida globalmente per ciascuna di loro in Euro 2.200,00 oltre accessori secondo legge.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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