Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-07-2012, n. 12446

Sentenz
Svolgimento del processo

Nel dicembre del 1994 la s.r.l. U.Z.M. evocò in giudizio, dinanzi al tribunale di Perugia, la s.n.c. B.M. Umbra e la s.p.a.
S., esponendo:
– di aver acquistato dalla B.M., concessionaria in esclusiva della S., per un importo complessivo di oltre 60 milioni, una partita di integratori alimentari prodotti dalla predetta S., da utilizzare per la produzione di mangimi destinati ad allevamenti zootecnici;
– di aver ricevuto lamentele da parte di alcuni suoi clienti a causa di carenze vitaminiche rilevate nei detti prodotti;
– di avere conseguentemente subito gravissimi danni, patrimoniali e di immagine.
L’attrice ne chiese, pertanto, l’integrale risarcimento.
Il giudice di primo grado – previa declaratoria di inammissibilità della richiesta di riduzione del prezzo delle forniture, proposta soltanto in sede di precisazione delle conclusioni – respinse la domanda, condannando la Umbra Zoo al pagamento delle spese processuali.
La corte di appello di Perugia, investita del gravame proposto da quest’ultima, nella sostanza lo rigettò, condannando la sola S. al pagamento di 516 Euro a titolo di risarcimento in relazione ad una sola, limitata e specifica vicenda di danno. tra le molte lamentate dall’appellante.
La sentenza è stata impugnata dalla B.M. Umbria con ricorso per cassazione sorretto da due motivi di doglianza ù entrambi inerenti al riparto delle spese processuali statuito in appello – e illustrato da memoria.
Resiste con controricorso corredato da memoria illustrativa la S..
Resiste poi la Umbra Zoo con controricorso integrato da ricorso incidentale a sua volta illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., (ricorso incidentale cui resistono con controricorso tanto la Bm quanto la S.).

Motivi della decisione

Il ricorso principale merita accoglimento, mentre il ricorso incidentale è infondato.
Quest’ultimo deve essere preliminarmente esaminato, per motivi di ordine logico.
IL RICORSO INCIDENTALE DELLA UMBRA ZOO MANIGIMI Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1494, 2728 e 2055 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; difetto e/o contraddittorietà della motivazione su un punto determinante della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Il motivo – che lamenta l’erroneità della condanna così come disposta in grado di appello nei confronti della sola S., e non anche della BM Umbra, pur non avendo quest’ultima provato la sua incolpevole ignoranza dei vizi del prodotto – è privo di pregio.
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la BM Umbra si fosse limitata a commercializzare incolpevolmente gli integratori, conseguentemente circoscrivendo ad una singola e specifica vicenda l’isolato e assai limitato danno del quale ha ritenuto predicabile il diritto al risarcimento (nella misura di poco più di 500 Euro), onde in nessun caso potrebbe dirsi realizzata, nella specie, la essenziale condizione di colpevole inerzia (evidenziata, quale imprescindibile presupposto in fatto della responsabilità, nelle pronunce di questa corte ritualmente quanto inconferentemente citata dalla ricorrente incidentale) in capo al venditore c.d. "intermedio" che ometta i controlli a fronte di una evidente e costante mancanza di qualità del prodotto al fine di evitare che notevoli quantitativi di mercè presentino gravi vizi di composizione o di conservazione (ex multis, Cass. n. 6007 del 2008), restando in particolare esclusa, nell’ipotesi di vendita di mangimi zootecnici, la necessità di indagini e riscontri assidui, tali da condurre alla eventuale scoperta di vizi della singola confezione (Cass. 9277/1991), ed essendo viceversa imposta all’alienante un controllo periodico ovvero su campione (Cass. 11845/1997;
12577/1995). Così dovendosi ritenere integrata la motivazione della sentenza impugnata (nel suo decisum conforme a diritto), il motivo deve essere respinto.
Con il secondo e terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
I motivi – che lamentano, a vario titolo, una erronea applicazione, da parte del giudice territoriale, dei principi normativi dettati in tema di accertamento del nesso causale e l’altrettanto erronea attribuzione di un decisivo ed esclusivo rilievo alle indicazioni della CTU in tema di fabbisogni vitaminici di suini e di pollame – sono infondati.
Il giudice territoriale – dopo aver rammentato (f. 14 dell’impugnata sentenza) che, all’esito dei rilievi tecnici mossi dall’odierna ricorrente, il CTU era stato richiamato a chiarimenti, e che (f. 15) la nuova relazione conteneva ex professo la risposta ai dubbi sollevati dalla appellante con riferimento alla precedente relazione depositata in primo grado – fornisce, difatti, ampia e articolata motivazione (che viene svolta dal folio 15 al folio 20 della pronuncia oggi impugnata) che, scevra del tutto da vizi logico- giuridici, ovvero da insanabili contraddizioni argomentative, risulta del tutto idonea, sul piano critico, a fondare un definitivo convincimento di piena adesione alle conclusioni della perizia (anche) sotto il profilo causale, vero il rilievo secondo il quale i sintomi mostrati dagli animali potevano essere causati da molte altre patologie, mentre mancava la prova negativa di tali diverse cause alternative.
L’incensurabile accertamento e il conseguente convincimento del giudice di merito, motivato secondo diritto, si sottrae, pertanto, alle censure mosse con i due motivi in esame, che, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una violazione di legge (peraltro del tutto generica, atteso l’altrettanto generico richiamo alle norme del codice penale, gli artt. 40 e 41, che, in realtà, non dettano alcuna "regola" normativamente pregnante in tema di causalità materiale, limitandosi, del tutto anodinamente, a discorrere di "conseguenza" dell’azione o dell’omissione, senza peraltro spiegare – ciò che si chiede ad una "regola" – nè il quando, nè il come, nè il perchè) e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.
Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie (quale, come nella specie, una CTU), al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello secondo il quale l’art. 360, n. 5, del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge e un deficit di motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) emerse nel corso del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
La doglianza è inammissibile dacchè volta a censurare l’esercizio discrezionale di un potere del giudice di merito (quello di valutare la rilevanza e concludenza delle prove di cui si chiede l’ammissione) sul quale la corte di legittimità non ha alcuna facoltà di sindacato se non per censurare una (nella specie del tutto impredicabile) violazione di legge ovvero una omessa o contraddittoria motivazione.
IL RICORSO PRINCIPALE DELLA BM UMBRIA. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;
Con il secondo motivo, si denuncia incongruità e insufficienza della, motivazione su un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione, sono fondati.
Il giudice territoriale, con motivazione meramente apparente, ha, difatti, posto i costi del processo a carico di una parte integralmente vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio, così violando le norme che correttamente il ricorrente principale evoca e richiama come falsamente applicate.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti, alla liquidazione delle spese del grado di appello può provvedere direttamente questa corte, liquidandole in complessivi Euro 18.750, di cui 150 per spese.
La disciplina delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale e, decidendo nel merito, condanna la ricorrente incidentale al pagamento delle spese del procedimento di appello in favore della ricorrente principale – spese che si liquidano in complessivi Euro 18750, di cui 150 per spese -, confermando la condanna alle spese così come pronunciata in primo grado. Condanna altresì la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della ricorrente principale BM e della resistente S., che si liquidano in complessivi Euro 3200 ciascuna, di cui Euro 200 per spese generali.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

a scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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