Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-07-2012, n. 12445 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’aprile del 2002 C.G.G. ed S.E. evocarono in giudizio, dinanzi al tribunale di Cagliari, il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito dal S. (una epatite cronica da HCV, diagnosticatagli nel (OMISSIS)) in conseguenza della trasfusione di sangue infetto.

Il giudice di primo grado respinse la domanda previo accoglimento in limine litis dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero, opinando che l’attore avesse avuto definitiva conoscenza della malattia contratta a seguito della trasfusione già a far data dalla sua dimissione dall’istituto di clinica medica dell’università di (OMISSIS) (in data primo (OMISSIS)), mentre l’atto di citazione era stato notificato al Ministero soltanto il 15 aprile 2002.

La corte di appello di Cagliari, investita del gravame proposto dai coniugi S., lo rigettò.

La sentenza è stata impugnata dai due appellanti con ricorso per cassazione sorretto da 6 motivi di doglianza e illustrato da memoria.

Resiste con controricorso l’avvocatura dello Stato, rappresentante ex lege del Ministero della Salute.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo e terzo motivo, si denuncia insufficiente e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi – che lamentano, con argomentazioni analoghe e in parte sovrapponibili, una presunta incongruità motivazionale della sentenza di appello nella parte in cui è stato ritenuto dai giudici di merito che il S., sin dal 1992, avrebbe potuto acquisire cognizione del nesso di causalità tra trasfusione ed epatite, onde la collocazione a tale data del dies a quo dell’ormai decorsa prescrizione – è privo di pregio.

Essi si infrangono, difatti, sul corretto impianto argomentativo adottato dal giudice d’appello nella parte in cui – uniformandosi al dictum delle sezioni unite di questa Corte regolatrice – egli ha ritenuto che le evidenze probatorie (serratamente quanto non fondatamente criticate dai ricorrenti con i motivi in esame) inducessero a ritenere compiuto nel (OMISSIS) l’iter diacronico della fattispecie di illecito lamentato dal S. (condotta del danneggiante/evento di danno/nesso di causalità giuridicamente rilevante tra condotta ed evento/conoscenza o conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza delle conseguenze dannose risarcibili dell’evento), con argomentazioni in fatto e in diritto che resistono alle (pur suggestive) contestazioni mosse dalla difesa del S., la quale, prospettando oggi alla Corte una ricostruzione alternativa della vicenda (e, con essa, della fattispecie concreta sì come sussunta nella sfera del rilevante giuridico), mira, in realtà, a sostituire il proprio, personale convincimento con quello espresso, con motivazione esente da errori logico-giuridici, dalla corte cagliaritana – senza per altro verso considerare che la regola etiologica applicabile nella specie (come in tutte le vicende civilistiche di risarcimento) è quella della preponderanza dell’evidenza (altrimenti definita "del più probabile del non":

Cass. 21691/07; ss.uu. 577/2008), diversamente da quanto accade in sede di giudizio penale, dove il grado di approssimazione alla certezza processuale risulta assai più elevato (Cass. ss.uu. penali 30328/2002), onde la irrilevanza causale delle spiegazioni alternative pur diffusamente prospettate in seno ai motivi in esame.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme degli artt. 2947 e 2935 c.c..

Il motivo è anch’esso infondato.

Non corretta sul piano ermeneutico risulta, difatti, la lettura che, delle pronunce a sezioni unite di questa Corte (nn. 577/584 del 2008), la difesa dei ricorrenti pretende di sottoporre oggi al giudice di legittimità, vero essendo, di converso, che la corretta interpretazione del dictum di quelle pronunce è quella compiuta dai giudici di appello, che, con accertamento di fatto immune da vizi, esattamente collocano l’exordium praescriptionis "al momento in cui la malattia era stata percepita, o poteva essere percepita, quale danno ingiusto, usando l’ordinaria diligenza" – id est nel 1991 – "quando, alla luce delle migliorate conoscenze scientifiche, era stata diagnosticata, in via definitiva, la patologia lamentata" (così, del tutto condivisibilmente, la sentenza oggi impugnata al folio 5).

Con il quarto motivo, si denuncia la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre, con il sesto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Le doglianze – che criticano, sotto il duplice profilo del vizio motivazionale e della nullità della sentenza per omissione di pronuncia in parte qua, la mancata applicazione, da parte della corte cagliaritana, di un preteso "diritto vivente" diverso e contrario rispetto al revirement operato delle sezioni unite nel 2008 in tema di responsabilità del Ministero per le epatiti post-trasfusionali contratte anteriormente alla data di individuazione dei virus patogeni (il (OMISSIS) per l’epatite B, il (OMISSIS) per l’epatite C, il (OMISSIS) per l’Aids) – non hanno giuridico fondamento.

Pur prescindendo da più approfondite e complesse considerazioni sulla delicata e controversa questione della regula iuris applicabile a seguito di un intervento delle sezioni unite avente funzione di overruling rispetto ad una precedente interpretazione giurisprudenziale consolidata e legittimamente predicabile in termini di diritto vivente, osserva il collegio come la questione dell’exordium praescriptionis in tema di virus post-trasfusionali fosse da considerarsi tutt’altro che diritto vivente, non essendosi il principio espresso dal Cass. 11609 del 2005 in alcun modo consolidato attraverso la reiterazione della sua affermazione in seno ad altre, significative pronunce di questa corte, ed essendo stato poi il principio stesso, a breve distanza di tempo, modificato dalle sezioni unite proprio a seguito di un ricorso che ne lamentava la illogicità all’esito della proposizione di una tempestiva domanda risarcitoria nel giudizio di prime cure.

Al rigetto delle doglianze che precedono consegue, ipso facto, la reiezione del quinto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 e 2935 c.c., sotto altro profilo – violazione dell’art. 6(1) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nessuna violazione del principio dell’equo processo essendosi, nella specie, consumata alla luce della stessa giurisprudenza della CEDU citata dal ricorrente in tema di prescrizione e di accesso alla giustizia.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese, che – per motivi di equità scaturente dalla obbiettiva, sia pur diacronica incertezza e delicatezza della materia trasfusionale sotto il profilo risarcitorio – possono essere in questa sede compensate, segue come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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