Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16560

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 25 settembre 2012 il tribunale del riesame di Milano confermava l’ordinanza emessa in data 9 settembre 2012 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano che aveva disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di S.M. indagato per concorso in rapina aggravata. Ricorre per cassazione l’indagato contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e l’insussistenza delle esigenze cautelari.

Il ricorso è inammissibile perchè generico e versato in fatto.

Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente.

Nel caso in esame il giudice di merito ha dato conto, con motivazione coerente, specifica e priva di vizi logici degli elementi a carico dell’indagato, disattendendo la diversa versione fornita dall’indagato anche con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto sottolineando come la versione del denunziante trovava riscontri specifici negli accertamenti delle forze dell’ordine, mentre le opposte versioni degli indagati e degli operai delle ditta, escussi dalla difesa, risultavano palesemente smentite da quanto attestato dagli operanti all’atto dell’intervento. A fronte di tale argomentare il ricorrente, in questa sede, offre una generica alternativa lettura dei dati fattuali non consentita in questa sede di legittimità.

Con riguardo alle esigenze cautelari deve osservarsi che gli atti o i comportamenti concretamente sintomatici della pericolosità dell’indagato possono essere individuati nelle modalità e nella gravità dei fatti, l’art. 274 c.p.p., lett. c), non impedisce infatti di trarre il pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell’interesse protetto e dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente e consolidato negli anni, tanto da essere ormai costante (Cass. sez. 1, 21 febbraio 1996 n. 277 rv.

203726 cui adde Cass. sez. 3, 23 luglio 1996 n. 2631, rv. 205820;

Cass. sez. 5, 4 agosto 1999 n. 1416 rv. 214230; Cass. sez. 2, 21 febbraio 2000 n. 726 rv. 215403, Cass. sez. 3, 4 maggio 2000 n. 1384 rv. 216304 e Cass. sez. 6, 21 dicembre 2001 n. 45542 rv. 220331 e di recente con riguardo a varie sezioni Cass. sez. 3, 23 aprile 2004 n. 1995 rv. 228882, Cass. sez. 6, 4 aprile 2005 n. 12404 rv. 231323 e Cass. sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 45950 rv. 233222).

Ed invero la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri, oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto-reato, sicchè non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità del soggetto, come ha fatto l’impugnata ordinanza, con una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti (condotte non occasionali, professionalità nel reato, frutto di accurata programmazione ed esecuzione ad opera di un apprezzabile numero di soggetti, parte dei quali tuttora irreperibili, personalità del prevenuto gravato da due precedenti specifici) e non su criteri generici e/o automatici. Così come il tribunale ha dato conto, con una valutazione in fatto, non censurabile in questa sede, adeguatamente motivata che l’unica misura idonea a scongiurare il pericolo di reiterazione era quella in atto.

Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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