Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16558

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 29 maggio 2012 il tribunale del riesame decidendo a seguito di rinvio della corte di cassazione confermava l’ordinanza emessa in data 28/11/2011 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli con la quale era stata applicata a P.N. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

La corte di cassazione, con la sentenza del 9 maggio 2012, aveva annullato l’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli del 19 dicembre 2011 censurando in particolare la mancanza di specifica risposta da parte del tribunale della libertà alle censure dei difensori circa l’attendibilità dei numerosi collaboratori di giustizia e l’assenza di valutazione circa la congruità tra le accuse dei collaboranti e gli attentati subiti dal P. evidenziando che, se è vero, che l’adempimento dell’obbligo della motivazione non richiede il confronto esplicito e puntuale con tutti gli argomenti indicati dalla parte, tuttavia il percorso argomentativo del giudice deve attestare l’avvenuto consapevole confronto con tali argomenti e la specifica ragione per la quale altre ragioni vengano ritenute assorbenti.

Il tribunale giudicante in sede di rinvio riteneva il materiale investigativo sufficiente per confermare l’ordinanza coercitiva impugnata e, tenuto conto dei rilievi critici operati dalla suprema corte, sottolineava che deponevano a carico dell’indagato oltre alle dichiarazioni del collaboratore Pe.Gi. anche le propalazione di L.S., D.C.E., D.C. F., Pi.Ra., D.P.A., D.G. S. e T.L., dei quali veniva analizzata l’attendibilità intrinseca, i reciproci riscontri e gli ulteriori riscontri esterni. In particolare disattendeva le argomentazioni difensive che avevano stigmatizzato la contraddittorietà del narrato del collaboratore L. rispetto alle emergenze del procedimento numero 20550/10/21 a carico di C.C. e altri, sottolineando come da tali atti emergeva l’estraneità del P. al clan catanese, che si poneva piuttosto come il suo persecutore e autore di un attentato ai suoi danni patito nel (OMISSIS). I giudici del riesame evidenziavano come tale rilievo non poteva considerarsi pertinente poichè detto procedimento aveva per oggetto fatti e personaggi estranei alla vicenda in esame. Contestava l’interpretazione data dalla difesa all’intercettazione telefonica 14/8/2010 riportata nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di C.C. dalla quale, secondo il ricorrente si sarebbe dovuta individuare la mano del clan dei casalesi dietro all’attentato dell'(OMISSIS), evidenziando come, a parere del collegio, si trattava di conversazione che non faceva riferimento al P. come vittima dell’attentato. Veniva altresì sottolineato che il pubblico ministero aveva prodotto una nota dei CC di (OMISSIS) nella quale viene dato atto che l’esplosione dell’ordigno che colpì l’esterno del cantiere del P. era in realtà rivolto ad attentare contro l’azienda agricola vicina, come accertato con sentenza del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli del 16 dicembre 2011, che aveva condannato per tali fatti S.A.. Allo stesso modo non vi erano elementi che consentivano di ricondurre l’attentato subito dal P. nel (OMISSIS) direttamente al clan dei catanesi, considerato anche che il P. per spiegarlo lo collocava temporalmente dopo la latitanza di Sc.Vi., quando invece il predetto boss divenne latitante solo il successivo (OMISSIS).

Ricorre per cassazione a mezzo del difensore l’indagato deducendo che l’ordinanza impugnata è incorsa in:

1. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 627 c.p.p., art. 273 c.p.p., comma 1 bis e dell’art. 416 bis c.p..

Lamenta che il tribunale ha fondato il quadro indiziario su dichiarazioni dei collaboratori de relato.

2. violazione di legge per non avere dato risposta specifica alle argomentazioni indicate dalla difesa nella memoria difensiva.

Contesta le valutazioni operate dal tribunale con riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori;

3. violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo alla qualificazione giuridica della condotta tenuta dal P. così come l’ha ricostruita dal tribunale attraverso le dichiarazioni dei collaboratori in particolare contesta il ricorrente che il P. possa essere ritenuto un imprenditore colluso con il clan mancando la concreta indicazione del contributo fornito e dei benefici ricevuti.

Il primo motivo di ricorso è infondato anche alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite del 29.11.2012 che ha affermato che anche chiamate in correità de relato possono essere riscontrate da altra chiamata de relato, sempre che le due chiamate abbiano autonomia genetica e siano positivamente valutate per attendibilità, specificità e convergenza. Ciò detto deve comunque rilevarsi che il narrato del L. non è de relato e che il riesame, non solo ha esaminato l’attendibilità dei collaboratori, le cui dichiarazioni geneticamente autonome si riscontrano reciprocamente, dandone conto con motivazione logica e coerente, ma ha anche indicato in maniera specifica ulteriori riscontri esterni a dette propalazioni individuati in: intercettazioni telefoniche richiamate per relationem all’ordinanza genetica; indagini patrimoniali compendiate negli allegati all’informativa dei CC di (OMISSIS); esiti di perquisizione domiciliare.

Il secondo motivo di ricorso è infondato ai limiti dell’inammissibilità. Il giudice del rinvio ha dato conto nella sua motivazione di essersi confrontato con tutte le argomentazioni difensive, pervenendo ad una ricostruzione dei fatti che lo ha condotto alla reiezione delle deduzioni della difesa in maniera implicita ed esplicita senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sul punto deve aggiungersi che qualora il provvedimento, come nel caso in esame, indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, in modo da consentire l’individuazione dell’iter logico – giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass. Pen. Sez. 5, 2459/2000;

Cass Sez. 2 N. 29439/2004; Cass Sez. 2 n. 29439/2009).

Inammissibile perchè generico e versato in fatto è il terzo motivo di ricorso. Il Tribunale, con una motivazione in fatto, incensurabile in questa sede,supportata da idonea motivazione, ha ritenuto che il compendio probatorio aveva fatto emergere in modo omogeneo e cristallino l’inserimento del P. nella clan dei Casalesi ed in particolare il suo ruolo di titolare di un’impresa riconducibile direttamente al sodalizio, che ne garantiva l’attività commerciale in regime di oligopolio e ne introitava parte dei guadagni, e ha disegnata la partecipazione attiva, personale e consapevole dell’indagato alla vita del sodalizio e al suo mantenimento anche economico attraverso la gestione oligopolistica dell’impresa di calcestruzzo, di cui forniva al clan parte dei profitti ed in cui erano soci occulti gli stessi Schiavone, ottenendo in cambio dall’organizzazione camorrista la garanzia della posizione di oligopolio sul mercato cui il predetto clan imponeva le forniture di calcestruzzo dell’odierno ricorrente. Ha altresì sottolineato, quanto al rilievo difensivo volto ad evidenziare l’inconciliabilità di tale ricostruzione con il patimento di due attentati ad opera dei Casalesi, la circostanza che nessuno dei collaboratori di giustizia aveva fatto menzione di tali fatti, con la conseguenza che, non emergendo da nessun atto processuale la riferibilità di tali attentati ai Casalesi, tale dato risultava neutro rispetto all’assunto accusatorio.

A fronte di tale specifica motivazione il ricorrente contesta genericamente l’insussistenza dei presupposti della contestata partecipazione senza alcun riferimento alle argomentazioni del Tribunale. Il motivo è inammissibile perchè il ricorrente non individua le ragioni in fatto o in diritto per cui il provvedimento impugnata sarebbe censurabile e, pertanto, impedisce l’esercizio del controllo di legittimità sullo stesso.

Il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente il pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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