Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16557

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 14 giugno 2012 il tribunale del riesame di Reggio Calabria respingeva l’appello presentato da C. S. avverso l’ordinanza del 21/12/2011 del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria con la quale era stata rigettata l’istanza difensiva diretta alla dichiarazione di inefficacia della misura cautelare in ragione della decorrenza del termine di cui all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a), n. 3, così come interpretato in combinato disposto con l’art. 297 c.p.p., comma 3.

Ricorre per cassazione, a mezzo del suo difensore, il C. deducendo che il provvedimento impugnato è incorso in violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) con riferimento all’articolo 297 codice procedura penale – contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia la difesa che il procedimento in argomento aveva tratto le proprie mosse da un decreto di perquisizione emesso dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria in data 2 ottobre 2007 a carico del C. per i reati di cui all’art. 61 c.p., n. 2, artt. 575 e 576 c.p., artt. 10, 12 e 14 Legge Armi, art. 416 bis c.p.. Il procedimento, nato come procedimento numero 8391/06 R.G. NR modello 44, era diventato l’odierno procedimento n. 4302/06, rispetto al quale il C. è oggi detenuto. L’imputato era stato arrestato il 5 ottobre 2007 ed è stato giudicato nel procedimento n. 4020/07 dinanzi all’A.G. di Palmi per armi e droga con condotta limitata al 5 ottobre 2007.

Rileva il ricorrente che, sebbene la contestazione associativa nell’odierno procedimento (cd. (OMISSIS)) era in (OMISSIS) ed altri luoghi con condotta accertata fino ad almeno il (OMISSIS) e tuttora perdurante, non vi era dubbio che la condotta del C. fosse antecedente alla sua carcerazione dell’ottobre 2007 come indicato nella stessa ordinanza di custodia cautelare. Viene sottolineato che il ruolo dell’imputato in seno all’associazione era stato caratterizzato, prima nell’ordinanza ed oggi in sentenza, dalla pretesa partecipazione ad un omicidio, per il quale non vi era stata alcuna contestazione, e per la sua vicinanza, da libero, ad alcuni soggetti a nome di P.. Viene altresì evidenziato che il C. uscì dal carcere il 28 agosto del 2008, vi rientrò il 2 luglio 2009 dove rimase fino al 24 maggio del 2011, il ricorrente sottolinea che la sussistenza del nesso teleologia) tra i due procedimenti discende dalle stesse parole usate dal pubblico ministero nel dibattimento del processo cosiddetto (OMISSIS). Il pubblico ministero ha chiesto la produzione proprio della sentenza del procedimento n. 4020/07 che vedeva imputato C.S. per fatti di droga ed armi commessi il (OMISSIS), rispetto ai quali era stato condannato all’esito di giudizio abbreviato alla pena di 10 anni di reclusione, perchè i fatti contestati in detto procedimento riguardavano propria attività collegate alla cosca Pesce. Produzione rilevante secondo l’accusa per la dimostrazione dell’aggravante delle armi in seno al procedimento (OMISSIS).

Evidenzia il ricorrente che il tribunale con l’ordinanza impugnata rifiuta le valutazioni difensive sul presupposto dell’inesistenza della medesimezza del disegno criminoso e dell’assenza di desumibilità, poichè al tempo di adozione della prima ordinanza non erano desumibili gli elementi legittimante la seconda. Ritiene la difesa che raramente ci si imbatte in ipotesi talmente chiara e scontata di connessione qualificata tra il delitto associativo il delitto fine.

Reitera la difesa in questa sede le doglianze sollevate avanti i giudici di merito lamentando che non è stato ravvisato, nel caso in esame, il nesso teologico tra le due vicende contestate e dolendosi dell’affermazione fatta, prima dal gip poi dal riesame, circa la mancanza di prova che i fatti del presente procedimento siano antecedenti rispetto all’arresto del C. avvenuto il 5 ottobre 2007.

In ordine alla questione sollevata le Sezioni unite di questa Corte (sentenze n. 21957 del 2005 imputato Rahulia, Rv 231058) hanno individuato tre diverse ipotesi di retrodatazione;

1) quella delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera automaticamente, vale a dire senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (art. 297 c.p.p., comma 3, prima parte;

2) quella delle ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare (art. 297 c.p.p., comma 3, seconda parte);

3) quella, non espressamente prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, delle ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, in cui la retrodatazione opera solo se al momento della emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza.

La Corte costituzionale con la sentenza 3 novembre 2005, n. 408, dopo aver richiamato adesivamente la sentenza Rahulia e ricordato le vicende normative della retrodatazione, ha dichiarato la "illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza". La formula ampia che non indica se la pronuncia di incostituzionalità concerne solo i fatti oggetto dello stesso procedimento o anche quelli oggetto di procedimenti diversi ha necessitato un ulteriore intervento delle sezioni Unite che, con la sentenza n. 14535 del 2007 Rv. 235909, hanno affermato che se è vero che la retrodatazione concerne di regola misure adottate nello stesso procedimento è anche vero che l’autorità giudiziaria non può "scegliere" momenti diversi dai quali far decorrere i termini delle relative misure quando si trova in presenza di più fatti per i quali i provvedimenti restrittivi potrebbero essere adottati contemporaneamente. Perciò, se è vero che la retrodatazione concerne di regola misure adottate nello stesso procedimento è anche vero che l’autorità giudiziaria non può "scegliere" momenti diversi dai quali far decorrere i termini delle relative misure quando si trova in presenza di più fatti per i quali i provvedimenti restrittivi potevano essere adottati contemporaneamente. Da ciò discende che non si può escludere la retrodatazione nei casi in cui i procedimenti potevano essere riuniti e risultano separati per una scelta del pubblico ministero. In questo caso si verifica una situazione per vari aspetti analoga a quella regolata dall’ultima parte dell’art. 297 c.p.p., comma 3, disposizione che prevede la retrodatazione anche rispetto a procedimenti diversi, connessi, che potevano essere riuniti.

I giudici del riesame si sono attenuti a detti principi.

In particolare il tribunale ha preso in esame gli argomenti addotti dal C. per sostenere l’esistenza della connessione qualificata tra i fatti della prima ordinanza e quelli della seconda e con motivazione diffusa e ineccepibile ne ha escluso la fondatezza.

In particolare il tribunale, facendo corretta applicazione dei principi sulla continuazione, ha concluso che "non vi erano elementi obbiettivi per poter ritenere che il C. nel momento in cui ha aderito all’associazione avesse previsto e deliberato la commissione del reato che ha formato oggetto della prima ordinanza di custodia cautelare. Così come ha ritenuto insussistente l’ulteriore requisito della desumibilità affermando che l’accertamento degli elementi per elevare la contestazione associativa di cui al presente procedimento era avvenuta successivamente all’accertamento dei fatti per cui vi era stata la prima ordinanza custodiale, con la conseguenza che era impossibile desumere dagli atti del primo procedimento la sussistenza dell’associazione mafiosa di cui al secondo, posto che le indagini si erano concluse successivamente ed avevano permesso di valutare a livello indiziario la posizione dell’odierno ricorrente nell’ambito della associazione mafiosa investigata. In altri termini il Tribunale ha ritenuto che la gravità indiziaria dei fatti oggetto dell’ordinanza censurata era fondata su elementi acquisiti e valutati posteriormente alla emissione del precedente titolo custodiale, sottolineando come la sola conoscenza o conoscibilità ad un determinato evento o dato discendente dalla sua storica esistenza, non poteva essere equiparata a una desumibilità processualmente significativa e finalisticamente orientata a valutazioni ed apprezzamenti propri dell’attività di indagine preliminare, quale è quella richiesta ai fini dell’operatività del meccanismo di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3.

Il motivo con il quale il ricorrente ha contestato queste conclusioni si risolve in una inammissibile riproposizione delle deduzioni di merito contenute nei motivi di appello, tutte puntualmente considerate e disattese dall’ordinanza impugnata.

Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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