Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16556

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 5 giugno 2012 il Tribunale del riesame di Palermo rigettava la richiesta di riesame proposta da C.P. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo il 16 maggio 2012. Con il decreto indicato il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo sul presupposto della sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al reato di riciclaggio contestato all’indagato e a quello presupposto di estorsione sottoponeva a sequestro preventivo, D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies i beni o altre utilità, titoli o altre forme di investimento, fino all’importo di Euro 150.000,00 nella disponibilità dell’indagato.

Disponeva contestualmente il sequestro preventivo di beni nella disponibilità dell’indagato per un valore di Euro 90.000,00 anche ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2 e art. 648 quater c.p..

Ricorre per cassazione a mezzo del suo difensore C.P. deducendo che il provvedimento impugnato è in corso in:

violazione di legge riguardo alla sussistenza dei requisiti di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies. Lamenta la sussistenza del fumus rilevando che i giudici di merito si sono limitati a dei sospetti. Con riguardo al sequestro preventivo ex art. 12 sexies lamenta anche mancata prova della sproporzione tra l’entità del patrimonio dell’indagato e i redditi dichiarati e con riguardo al sequestro preventivo ai fini di confisca la mancata prova del nesso strumentale tra bene e reato.

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. Sequestro ex art. 12 sexies cit. D.L..

Osserva innanzi tutto il Collegio che in tema di riesame delle misura cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali; ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, atteso che nel predetto concetto di "violazione di legge", come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), non rientrano anche la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex art. 325 c.p.p.) dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876). E’ pertanto il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente. E la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo altresì di evidenziare (Cass. sez. 2, 22.5.1997 n. 3513), con riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale di controllo "in concreto" del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullità, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Un siffatto sostanziale rifiuto di provvedere si traduce in una peculiare mancanza assoluta di motivazione, riconducibile alla violazione tipica di una norma processuale prevista a pena di nullità (art. 125 c.p.p., comma 3) e pertanto deducibile con il ricorso per cassazione anche nella limitata estensione consentita dall’art. 325 c.p.p.; per contro esulano dalla previsione del predetto art. 325 c.p.p., quei vizi della motivazione consistenti nell’omesso esame, nel contesto dell’iter argomentativo svolto dal Tribunale del riesame per dare contezza delle proprie determinazioni, di specifici fatti ovvero nella illogica o contraddittoria valutazione degli stessi, essendo tali vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma non dell’art. 325 c.p.p.. Orbene, posto che nel caso di specie ci muoviamo in tema di sequestro preventivo in funzione della potenziale confisca D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, e posto che il citato art. 12 sexies configura la confisca come misura di sicurezza patrimoniale atipica, modellata secondo lo schema della misura di prevenzione antimafia, dalla quale mutua la finalità preventiva (cfr. Cass. Sez. Un., 30.5/17.7.2001 n. 29022, rv. 219221), rileva il Collegio che i presupposti ai quali è subordinato il sequestro in parola e che devono essere verificati dal giudice al momento dell’applicazione della cautela reale (e riscontrati dal Tribunale in sede di giudizio di riesame), sono stati individuati dalla giurisprudenza nell’esistenza del "fumus commissi delicti", nella sproporzione del valore dei beni, di cui il soggetto sia titolare o di cui abbia la disponibilità attraverso interposta persona, rispetto al reddito o all’attività economica esercitata dallo stesso, nonchè nella mancata dimostrazione della loro legittima provenienza. Con riguardo al fumus deve aggiungersi che la verifica delle condizioni di legittimità della misura, da parte (prima) del Tribunale e (poi) della Corte di legittimità, non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilità del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità del fatto.

Non vi può infatti essere alcun dubbio in ordine alla differenza dei presupposti necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali e di quelle reali. In effetti, come è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale (vedi ordinanza n. 153 del 2007 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 324 c.p.p. in relazione all’art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica della sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato), per le misure cautelari reali non è richiesto il presupposto della gravità indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in correlazione alla diversità, pure di rango costituzionale, dei valori coinvolti.

Tale ratio si riflette anche sulla ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari, valendo il paradigma della qualificata probabilità di responsabilità nelle misure cautelari personali ed il diverso metro del fumus commissi delicti in tema di sequestri.

Del resto una tale prospettiva interpretativa trova conforto anche nella interpretazione letterale delle norme che disciplinano l’applicazione delle misure cautelari perchè l’art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro, nè è possibile ritenere applicabile, come si è già notato, alle misure cautelari reali l’art. 273 c.p.p., dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in materia di misure cautelari reali (vedi ex multis, oltre a SS.UU. penali 25 marzo 1993, Gifuni, già citata, anche Cass. Sez. 6 penale, 9 luglio 1999 – 5 agosto 1999, n. 2672, CED 214185).

I principi enunciati non comportano, però, che il sindacato giurisdizionale operato dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione sulla compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale debba essere meramente astratto e puramente cartolare, disancorato da ogni valutazione della effettiva situazione concreta.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 48/1994 in tema di misure cautelari reali aveva già affermato che "il controllo che il giudice è chiamato a operare è tutt’altro che burocratico, dovendosi invece incentrare sulla verifica della integralità dei presupposti che legittimano la misura", precisando che "neppure è però a dirsi che il controllo del giudice non possa in alcun modo spingersi all’esame del fatto per il quale si procede".

Sulla scia di queste importanti affermazioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno meglio definito il potere del giudice in tema di sequestro probatorio o preventivo, affermando che il giudice, nel compiere il controllo di legalità che gli spetta, non deve limitarsi a "prendere atto" della tesi accusatoria, ma, senza spingersi sino a una verifica in concreto della sua fondatezza, deve valutare se gli elementi di fatto rappresentati consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, "tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Sez. Un. n. 23 del 20.11.1996, dep. 29.1.1997, Bassi, rv.

206657; Sez. Un. n. 7/2000). E’ stato così affermato che l’unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice del merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma che tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato. Si tratta di una valutazione provvisoria dettata dalla urgenza, che dovrà essere approfondita dal giudice di merito dopo il compimento della istruzione probatoria, ma che deve essere reale, al fine di evitare che il controllo di garanzia del giudice sia vanificato, lasciando così al solo Pubblico Ministero il potere di espropriare unilateralmente, sia pure non a tempo indeterminato, diritti patrimoniali garantiti dalla Costituzione.

Nel caso di specie il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione del principi espressi dando atto di avere esaminato e valutato gli elementi accusatori e quelli prospettati dalla difesa e all’esito di essere pervenuto alla affermazioni di sussistenza del fumus di cui ha dato conto nel provvedimento in questa sede censurato. Il ricorso sul punto è pertanto infondato. Il Tribunale non ha invece dato conto della sussistenza del presupposto della sproporzione tra il valore dei beni ed il reddito dichiarato, con la conseguenza che il provvedimento deve essere annullato per omessa motivazione sul punto con rinvio al tribunale di Palermo.

Sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., comma 2.

Con riguardo alla sussistenza del fumus non può che essere richiamato quanto sopra indicato. Quanto alla dedotta mancata prova del nesso strumentale tra bene e reato deve sottolinearsi che, in forza dell’art. 648 quater c.p., comma 2, applicabile nella specie essendo stato ipotizzato il reato di riciclaggio, non occorreva provare il nesso di pertinenzialità della res rispetto al reato, dato che per tale disposizione sono assoggettabili a confisca beni nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato. Il ricorso con riguardo al sequestro in argomento è pertanto infondato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Palermo limitatamente ai beni sequestrati L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies.

Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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