Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16554

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 5 dicembre 2011 il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Udine dichiarava non doversi procedere nei confronti di B.T., M.N.G., Br.Da., C.F., Q.L., V.D., Ma.En., per insussistenza del reato loro ascritto, concorso, nella loro qualità di direttori e vice direttori del Monte dei Paschi di Siena filiale di (OMISSIS), della Banca di Pescia, della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia filiale di (OMISSIS) e della Banca di credito cooperativo di Valdinievole, nel reato di usura continuata con G.G. e m.

g. (nei cui confronti si è proceduto separatamente con sentenza di applicazione di pena) in danno di P.G. e Mo.Ro..

Rileva il giudicante che se anche la materialità dei fatti elencate nel capo di imputazione fosse integralmente fornita di prova doveva però essere escluso che il complesso delle condotte descritte nel capo di imputazione potesse integrare concorso nel delitto di usura.

Evidenzia che ciò che viene contestato agli imputati è di avere realizzato una condotta tipica che, accedendo alla condotta principale tenuta da altri, aveva agevolato la commissione da parte di costoro del reato di usura. Sottolinea che nel caso in esame è di tutta evidenza che la protrazione delle condotte costituenti usura era riconducibile in senso naturalistico anche all’attività svolta dai vari funzionari di banca, considerato che senza alcun contributo verosimilmente il P. non avrebbe avuto la disponibilità finanziaria per mantenere in piedi il rapporto usurario con G. e m., ma è insussistente il nesso causale rilevante quale fonte di responsabilità penale a titolo di concorso in quanto tra la condotta che si assume agevolatrice e l’evento del reato si è frapposta la condotta attiva della vittima la quale aveva autonomamente e consapevolmente consentito agli usurari di protrarre le condotte criminose. Rileva inoltre il giudicante che i singoli istituti di credito e pertanto nel loro interesse i dipendenti che operavano presso le filiali non avevano alcun rapporto diretto con gli usurai e non perseguivano l’obiettivo criminoso avuto di mira da costoro. Se è vero che la libera determinazione del soggetto usurato è una finzione, in quanto trattasi di volontà coartata, tale coartazione assume rilievo quale elemento costitutivo della fattispecie esclusivamente nei rapporti tra soggetto attivo e vittima del reato, non anche nei confronti di terzi ai quali il soggetto passivo chiede un intervento per consentirgli di adempiere l’obbligazione magari anche dichiaratamente di natura illecita come i prestiti ad interesse usurario. Non ritiene il giudicante neppure sussistente il concorso per omissione contestato sul presupposto della funzione di garanzia individuata dall’accusa nella legge anti riciclaggio L. n. 197 del 1991 e nella L. n. 108 del 1996 contenente disposizioni in materia di usura, nonchè le normative di rango subordinata tra i quali il protocollo di intesa 16/12/2003 tra ministero dell’interno, Banca d’Italia e ABI. Rileva che nel caso in esame non sussiste a carico dei funzionari un obbligo di impedire l’evento con la conseguente impossibilità di configurare un concorso per omissione nel fatto omissivo altrui. Ritiene inoltre che manca la prova che i funzionari di banca agivano, con le condotte descritte nel capo di imputazione, allo specifico fine di consentire agli autori la perpetrazione del delitto di usura ai danni delle persone offese. Ricorrono per cassazione ai sensi dell’art. 428 c.p.p., comma 2 le parti civili P.G. e Mo.Ro., a mezzo del difensore, deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. nullità e illogicità della motivazione. Contestano la ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato rilevando che gli esiti dell’attività investigativa consentono di individuare elementi sintomatici dell’adesione dei funzionari, sia pure per interessi propri e diversi da quelli del due usurari, al programma criminoso ideato e realizzato da G. e m.. A tal fine fanno riferimento ad alcuni specifici atti di indagine.

Sottolineano che anche nell’ipotesi in cui dall’esame degli atti del fascicolo, portato all’attenzione del giudice dell’udienza preliminare, fosse residuata la necessità di approfondimento in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, elementi preziosi sarebbero potuti essere acquisiti nella sede dibattimentale che è stata invece negata.

2. Nullità della sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione. Ritengono i ricorrenti errata l’interpretazione fornita dal giudicante con riguardo agli elementi necessari alla ricostruzione nel caso di specie della figura del concorso di persone nel reato, con particolare riguardo all’interruzione del nesso causale che si sarebbe verificata come conseguenza dell’intervenuta mediazione della persona offesa. Sottolineano che la realtà è diversa rispetto a quella ricostruita nella sentenza impugnata.

Sostengono che i funzionari hanno illegittimamente consentito alla parte offesa di avere l’anomala movimentazione descritta nel capo di imputazione agevolando, consapevolmente e dolosamente, l’attività degli usurari, al fine di ulteriormente aggravare la posizione debitoria delle persone offese.

In data 16.1.2013 M.N.G. depositava memoria con la quale chiedeva l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso è inammissibile perchè il difensore, per il tramite del quale il mezzo d’impugnazione è stato proposto, non risulta investito del potere di rappresentanza della parte in virtù della necessaria procura speciale.

L’art. 100 c.p.p. prevede espressamente per la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, che tali soggetti possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale (Sez. 6, 17 settembre 2009, n. 46429, Pace ed altri; Sez. 5 n. 43982, 15 luglio 2009 Rv. 245429). Tali soggetti essendo portatori di interessi civilistici, oltre a non poter stare personalmente in giudizio, "hanno un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore", come del resto avviene nel processo civile ai sensi dell’art. 83 c.p.c..

E’ vero che da questa Corte è stato affermato che nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte civile stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, In virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido – sia con riguardo al conferimento della procura a impugnare al difensore sia all’oggetto dello specifico gravame (art. 576 cod. proc. pen.) – anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all’effettiva portata della volontà della parte, ma nella specie non risulta agli atti che una simile procura sia stata rilasciata, risultando soltanto un atto di nomina a difensore rilasciato in data 15.2.2012 da Mo.

R. e P.G. all’Avv. Elisabetta Mizzau che non li aveva rappresentati in sede di udienza preliminare, nomina che risulta redatta con atto diverso e distinto dal ricorso. Perciò se è vero che ai fini della validità della procura è stato ritenuto sufficiente che il difensore fosse designato con locuzioni quali "per la presente procedura" è simili, anche senza l’espresso riferimento ai potere di Interporre gravame, poichè la presunzione di cui all’art. 100 c.p.p., comma 3 può essere vinta dalla manifestazione di volontà desumibile dall’interpretazione del mandato conferito, è pur vero che nel caso in esame non risultano elementi dal quali possa desumersi in maniera non equivoca la facoltà di proporre impugnazione, risultando un mero atto di nomina.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e i ricorrenti devono essere condannati ai pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013
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