Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-07-2012, n. 12725 Sanità, Tirocinio pratico ospedaliero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Quarantatre medici, indicati in epigrafe, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del 15 gennaio 2010 con la quale la Corte d’Appello di Roma aveva rigettato l’appello da essi proposto, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei Ministeri della Salute, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e dell’Economia, avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma che aveva rigettato, per intervenuta prescrizione del diritto azionato, le domande (proposte nell’aprile 2001) dirette ad ottenere il trattamento economico previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991 e il risarcimento del danno, sul presupposto di avere frequentato a tempo pieno corsi di specializzazione presso varie Università, anteriormente all’anno accademico 1991-1992, conseguendo i relativi diplomi di specializzazione, senza percepire alcun importo. A sostegno delle domande i ricorrenti avevano dedotto che il D.Lgs. n. 257/1991, nel recepire (tardivamente) le direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE, rimaste inadempiute a far tempo dal 31 dicembre 1982, aveva illegittimamente riconosciuto la remunerazione (di L. 21.500.000 annui) ai soli medici ammessi ai corsi di specializzazione successivamente al 1991.

2.- La Corte territoriale ha ritenuto che: a) quanto ai dottori R., M., B. e S., il termine di prescrizione decennale – essendo stata la fattispecie qualificata come inadempimento dello Stato ad un’obbligazione ex lege di natura indennitaria (anzichè in termini di responsabilità aquiliana, come l’aveva qualificata il tribunale ex art. 2043 c.c. e ex art. 2947 c.c., comma 1) – fosse spirato, dovendo esso computarsi "in relazione ai periodi in cui gli appellanti hanno frequentato il corso di specializzazione, perchè a tale data hanno subito la perdita per non avere il legislatore recepito la direttiva comunitaria" (v. sent. p. 9); b) quanto a tutti gli altri medici, mancava la prova della frequenza dei corsi di specializzazione, dei relativi periodi e della loro durata legale, documenti questi che non risultavano prodotti nemmeno nel giudizio di primo grado.

3.- I medici propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

I Ministeri resistono con controricorso.

Vi è memoria dei ricorrenti.

Motivi della decisione

1.- Nel primo motivo, in relazione al rigetto per carenza probatoria delle domande degli attori (ad esclusione di R., M., B. e S.), si denuncia un vizio di attività processuale che aveva impedito l’esame delle domande nel merito e causato la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4, anche in relazione all’art. 112 c.p.c.), nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 4) e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Essi sostengono, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, di avere fornito sin dall’atto introduttivo del giudizio prova documentale della frequenza dei corsi presso le scuole di specializzazione e del conseguimento dei diplomi rilasciati dalle competenti autorità accademiche; alcuni di essi sostengono di avere prodotto ulteriori attestati di frequenza in allegato alla memoria ex art. 184 c.p.c.. La mancanza di tali documenti al momento della decisione in appello, in quanto custoditi presso gli uffici di cancelleria della Corte di appello e non ritirati, non sarebbe ad essi addebitabile.

1.1.- Il motivo è fondato.

L’assunto dei ricorrenti di avere prodotto i predetti documenti nel giudizio di primo grado è confermato dall’esame, consentito a questa Corte in ragione della natura processuale del vizio dedotto, del fascicolo di parte di primo grado nel quale quei documenti erano inseriti, nonchè dal riferimento da parte della sentenza del tribunale all’avvenuta produzione in quel giudizio dei certificati universitari di frequenza e dei diplomi di specializzazione.

E’ noto che è onere della parte produrre nel giudizio di appello il proprio fascicolo di primo grado, essendo esclusa la trasmissione al secondo giudice, unitamente al fascicolo d’ufficio, anche dei fascicoli di parte (v. Cass. n. 8528 del 2006), ed è anche noto che i documenti si considerano ritualmente prodotti in giudizio quando siano posti nella reale disponibilità dell’ufficio per essere inseriti nel fascicolo di parte, con l’adempimento delle formalità previste dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.: pertanto, nel caso di mancato rinvenimento di documenti nel giudizio di appello, affinchè sorga l’obbligo del giudice di disporne la ricerca, con i mezzi a sua disposizione, eventualmente disponendo l’attività ricostruttiva del loro contenuto, la parte è tenuta a dedurre e a dimostrare di avere adempiuto le formalità stabilite per il loro deposito (v. Cass. n. 2404 del 2003, n. 11497 del 2004, n. 5933 del 2011).

Ora, che i ricorrenti avessero depositato il proprio fascicolo di primo grado nel giudizio di appello risulta dalla firma apposta dal cancelliere sul timbro "depositato in cancelleria" in calce all’indice del fascicolo di parte prodotto nel giudizio di appello.

Ne consegue che, stante la ritualità della produzione dei documenti in appello e la mancanza di annotazione dell’avvenuto ritiro (da parte del cancelliere), la Corte d’appello, non avendo rinvenuto i documenti, non poteva rigettare la domanda per mancanza di una prova documentale contenuta nel fascicolo di parte, ma avrebbe dovuto disporne la ricerca, con i mezzi a sua disposizione, eventualmente ordinandone la ricostruzione, non potendo far gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento dei documenti (v. Cass. n. 29262 del 2008).

2.- Nel secondo motivo si imputa alla sentenza impugnata di avere violato o falsamente applicato gli artt. 2935 e 2946 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), avendo fatto decorrere il termine decennale di prescrizione dalla data di frequenza dei corsi di specializzazione, anzichè da quando essi avevano avuto la possibilità legale di esercitare il diritto azionato, con la acquisita consapevolezza che lo Stato, negando il loro diritto alla remunerazione, aveva violato la direttiva, e cioè da una data comunque non antecedente alla entrata in vigore (nel mese di agosto 1991) della normativa di attuazione della direttiva 82/76/CE, cioè del D.Lgs. n. 257 del 1991; inoltre, pur sulla base del dies a quo considerato dalla sentenza, il termine decennale di prescrizione non era comunque decorso per alcuni ricorrenti ( M., + ALTRI OMESSI ), tenuto conto della data di notificazione della citazione di primo grado.

Nel terzo motivo si deduce nullità della sentenza per omissione di pronuncia sulla domanda di riconoscimento del diritto di credito all’equa remunerazione (art. 360 c.p.c., n. 4) e violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 dell’Allegato alla direttiva n. 75/363/CE, aggiunto dall’art. 13 della direttiva 82/76/CE (art. 360 c.p.c., n. 3), le cui disposizioni, aventi carattere incondizionato e sufficientemente preciso, riconoscevano il diritto di credito alla remunerazione, con conseguente obbligo del giudice di disapplicare la normativa interna di attuazione (cioè il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 8), nella parte in cui riconosceva il diritto alla remunerazione ai soli specializzandi iscritti successivamente all’anno 1991.

2.1.- Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.

E’ jus receptum che, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano delle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi (le quali, pur incondizionate e sufficientemente precise Dell’attribuire diritti ai singoli, non sono self executing), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria.

Tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c.. – va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non da un fatto illecito ex art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicchè il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione (v., tra le tante, Cass. s.u. n. 9147 del 2009; nn. 10813, 10814, 17350 del 2011).

Va anche rilevato che la norma introdotta dalla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a responsabilità dello Stato per mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, poichè essa non è norma interpretativa e, quindi, non è sottratta al principio di irretroattività; ne consegue che, per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell’inadempimento contrattuale (v. , in analoga fattispecie, Cass. n. 1850 del 2012). La sentenza impugnata, pur avendo fatto corretta affermazione del principio espresso dalle Sezioni Unite del 2009, ne ha fatto però erronea applicazione, avendo fatto decorrere il suddetto termine sin da quando i singoli interessati frequentarono i corsi o conseguirono i diplomi di specializzazione, sul presupposto erroneo che, sin da allora, essi fossero nella condizione di far valere il diritto azionato (art. 2935 c.c.), contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte di merito non ha infatti considerato, ai fini della determinazione del dies a quo, la rilevanza nè del D.Lgs. n. 257 del 1991, che di quella direttiva costituiva una espressa, seppur scorretta, attuazione, per averne escluso l’applicazione a coloro che avevano frequentato le scuole di specializzazione in epoca antecedente all’anno accademico 1991-1992 (v. art. 8), nè della L. n. 370 del 1999, art. 11 con cui lo Stato italiano aveva proceduto ad un "sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo" nei confronti di tutte le categorie astratte, trascurate nel D.Lgs. del 1991, "in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle citate direttive comunitarie" (v. Cass. n. 21498 e 23275 del 2011), cioè nei confronti degli ammessi ai corsi tra l’anno accademico 1983-1984 e il 1990-1991 (seppur con una indebita limitazione in favore dei soli destinatari di determinate sentenze, passate in giudicato, emesse dal TAR Lazio: v. , sul punto, Cass. n. 17682 del 2011).

Nel ricorso introduttivo, ai fini della decorrenza del termine, si fa riferimento all’epoca (agosto 1991) di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991 (in linea con Cass. n. 12814 del 2009, n. 5842 del 2010), mentre nella memoria ex art. 378 c.p.c. si fa riferimento alla più favorevole data (27 ottobre 1999) di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11 (in linea con la giurisprudenza prevalente:

v. Cass. n. 17868 e 23568 del 2011, n. 1917 del 2012). Determinare in questa sede il dies a quo di decorrenza del termine decennale non è però rilevante, dal momento che, seguendo entrambe le opzioni interpretative, il diritto azionato non risulta prescritto, considerando che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado fu notificato il 23 aprile 2001.

3.- Ne consegue l’assorbimento degli altri motivi: del quarto motivo, concernente la dedotta omissione di pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno in forma specifica, ai fini del riconoscimento del pieno valore professionale dei titoli conseguiti; del quinto motivo, concernente la dedotta omissione di pronuncia sulla richiesta riforma del capo della sentenza di primo grado che aveva condannato gli attori alla rifusione delle spese di lite; del sesto motivo, nel quale si chiede di devolvere alla Corte di giustizia UE la decisione sulla compatibilità con le norme comunitarie dell’interpretazione sostenuta dalla sentenza impugnata in punto di decorrenza della prescrizione.

A.- La sentenza impugnata va quindi cassata, in accoglimento dei primi tre motivi, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà nel merito delle domande proposte e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1 sezione civile, il 19 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012

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