Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16553

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 31 maggio 2012 i giudici del tribunale del riesame di Siracusa confermavano il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Siracusa che in data 10 febbraio 2012 aveva sottoposto a sequestro due vetture da competizione in quanto oggetto del delitto di appropriazione indebita ascritto a T.P. che le aveva avute in locazione finanziaria. Ricorre per cassazione T.P. deducendo che il provvedimento impugnato è incorso in:

1. violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 273 e 192 c.p.p.. Contesta il ricorrente la tempestività della querela e comunque l’assenza dei presupposti del fumus e del periculum.

2. Nullità per mancanza di motivazione. Lamenta il ricorrente dell’ordinanza impugnata disponeva il sequestro e portandosi alla richiesta del pubblico ministero non notificata all’indagato, nè trascritta o allegata al decreto.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

In tema di riesame delle misura cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali; ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, atteso che nel predetto concetto di "violazione di legge", come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), non rientrano anche la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex art. 325 c.p.p.) dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876).

Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha pertanto un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente. E la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo altresì di evidenziare (Cass. sez. 2, 22.5.1997 n. 3513), con riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale di controllo "in concreto" del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullità, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Deve aggiungersi che la verifica delle condizioni di legittimità della misura, da parte (prima) del Tribunale e (poi) della Corte di legittimità, non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilità del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilita tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità del fatto.

Non vi può infatti essere alcun dubbio in ordine alla differenza dei presupposti necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali e di quelle reali. In effetti, come è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale (vedi ordinanza n. 153 del 2007 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 324 c.p.p. in relazione all’art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica della sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato), per le misure cautelari reali non è richiesto il presupposto della gravità indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in correlazione alla diversità, pure di rango costituzionale, dei valori coinvolti.

Tale ratio si riflette anche sulla ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari, valendo il paradigma della qualificata probabilità di responsabilità nelle misure cautelari personali ed il diverso metro del fumus commissi delicti in tema di sequestri.

Del resto una tale prospettiva interpretativa trova conforto anche nella interpretazione letterale delle norme che disciplinano l’applicazione delle misure cautelari perchè l’art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro, nè è possibile ritenere applicabile, come si è già notato, alle misure cautelari reali l’art. 273 c.p.p., dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in materia di misure cautelari reali (vedi ex multis, oltre a SS.UU. penali 25 marzo 1993, Gifuni, già citata, anche Cass. Sez. 6 penale, 9 luglio 1999 – 5 agosto 1999, n. 2672, CED 214185).

I principi enunciati non comportano, però, che il sindacato giurisdizionale operato dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione sulla compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale debba essere meramente astratto e puramente cartolare, disancorato da ogni valutazione della effettiva situazione concreta.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 48/1994 in tema di misure cautelari reali aveva già affermato che "il controllo che il giudice è chiamato a operare è tutt’altro che burocratico, dovendosi invece incentrare sulla verifica della integralità dei presupposti che legittimano la misura", precisando che "neppure è però a dirsi che il controllo del giudice non possa in alcun modo spingersi all’esame del fatto per il quale si procede".

Sulla scia di queste importanti affermazioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno meglio definito il potere del giudice in tema di sequestro probatorio o preventivo, affermando che il giudice, nel compiere il controllo di legalità che gli spetta, non deve limitarsi a "prendere atto" della tesi accusatoria, ma, senza spingersi sino a una verifica in concreto della sua fondatezza, deve valutare se gli elementi di fatto rappresentati consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, "tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Sez. Un. n. 23 del 20.11.1996, dep. 29.1.1997, Bassi, rv.

206657; Sez. Un. n. 7/2000).

E’ stato così affermato che l’unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice del merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma che tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato. Si tratta di una valutazione provvisoria dettata dalla urgenza, che dovrà essere approfondita dal giudice di merito dopo il compimento della istruzione probatoria, ma che deve essere reale, al fine di evitare che il controllo di garanzia del giudice sia vanificato, lasciando così al solo Pubblico Ministero il potere di espropriare unilateralmente, sia pure non a tempo indeterminato, diritti patrimoniali garantiti dalla Costituzione.

Nel caso di specie il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione del principi espressi dando atto di avere esaminato e valutato gli elementi accusatori e quelli prospettati dalla difesa e all’esito di essere pervenuto alla affermazioni di sussistenza del fumus e del periculum di cui ha dato conto nel provvedimento in questa sede censurato.

Il Tribunale del Riesame ha altresì dato conto, con una motivazione in fatto, incensurabile in questa sede della tempestività della querela.

Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso. Secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile. Il Tribunale si è attenuto a questi principi nel respingere identica eccezione sollevata dal ricorrente in sede di riesame. Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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