Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-01-2013) 12-04-2013, n. 16528

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

P.G.:

1.1) – ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 03.02.2012 che aveva confermato la decisione presa in primo grado dal Gup presso il Tribunale di Rimini in data 07.02.2006 e nella quale l’imputato era stato riconosciuto responsabile dei reati di rapina impropria ex art. 628 c.p., commi 1 e 2 in danno di B.A. e di lesioni ex artt. 582, 885 e 576 c.p., art. 61 c.p., n. 2 in danno del medesimo B.; fatti del (OMISSIS);

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

2.1) – violazione degli artt. 582 e 628 c.p., per avere ritenuto la penale responsabilità del ricorrente in relazione alle imputazioni di rapina impropria e lesioni trascurando di considerare la versione dell’imputato, che aveva ammesso il furto ma aveva negato l’uso della violenza;

In realtà il P. aveva dichiarato di essersi dato alla fuga non appena scoperto dal B., urtando il predetto in maniera lieve e del tutto accidentale, sicchè doveva essere ritenuto responsabile del solo delitto di furto;

La versione dell’imputato risultava confermata, sia dal certificato medico attestante solo un graffio ma non segni di calci e spintoni come denunciato dalla persona offesa e, sia dalla circostanza che il B., in un primo momento, non aveva fatto cenno ad episodi di violenza in suo danno;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorrente ripropone in questa sede motivi di impugnazione già avanzati in sede di appello, lamentando l’insufficiente risposta motivazionale della Corte territoriale.

In realtà la Corte di appello ha richiamato l’articolata e puntuale motivazione della sentenza di primo grado, sicchè appare del tutto legittima la sintetica motivazione che, per altro, ha congruamente osservato che la violenza esercitata dall’imputato emergeva dalle dichiarazioni della persona offesa, pienamente attendibili perchè riscontrate e confermate da quelle conformi della moglie, presente ai fatti, e dal certificato medico.

La motivazione risulta del tutto ineccepibile, atteso che la testimonianza della persona offesa costituisce una vera e propria fonte di prova sulla quale può essere anche esclusivamente fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, a condizione che sia intrinsecamente attendibile e che di ciò si dia adeguata motivazione. (Cassazione penale, sez. 3, 03/05/2011, n. 28913).

Invero laddove i motivi di appello riproducono le stesse argomentazioni e deduzioni sollevate in primo grado, ed ove la Corte concordi con la motivazione del primo giudice, non è necessario procedere ad una nuova e completa motivazione, a meno che non si ritenga di esaminare o rivalutazione argomenti non considerati dal primo giudice, cosa che non è avvenuta nella specie, ovvero a meno che la Difesa abbia proposto argomenti e deduzioni nuove, non esaminate dal primo giudice, cosa che non è avvenuta nella specie.

Totalmente infondato deve ritenersi anche il motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato.

Va osservato che la sentenza di primo grado è intervenuta in data 2002, sicchè alla fattispecie si applica la legislazione sulla prescrizione previgente alla riforma del 2005, con la determinazione del termine massimo di anni 7 e mesi 6; poichè il fatto risale al 08.01.01 il termine massimo è scaduto in data 08.07.08; ne consegue che al momento della sentenza di appello (del 30.04.08) il reato non era ancora prescritto.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo vantazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del giudizio di legittimità. (Cassazione penale, sez. 2, 21 aprile 2006. n. 19578) Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro.1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013

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