Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-01-2013) 05-04-2013, n. 15868

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Giudice di pace di Novara, con sentenza dell’8/3/2012, dichiarato colpevole M.P. del delitto di all’art. 589 c.p., ai danni di L.P., condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia, nonchè al risarcimento del danno in favore della P.C., da liquidarsi in separata sede.

1.1. Al fine di favorire una più agevole comprensione della vicenda è bastevole ricordare in questa sede che il L., il quale conduceva in locazione ad uso officina locale di proprietà dell’imputato, riportava lesioni personali a seguito della caduta di calcinacci dal soffitto, dovuta al persistere di rilevanti infiltrazioni d’acqua, alle quali il locatore, sibbene più volte sollecitato, no aveva inteso porre rimedio.

2. L’imputato proponeva immediato ricorso per cassazione prospettando tre motivi di censura.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della mancata assunzione di prova decisiva sotto triplice profilo.

a) Alla parte è consentito richiedere l’ammissione della prova contraria fino alla fase degli atti introducivi del dibattimento, non valendo per essa la preclusione prevista dall’art. 468 c.p.p., esclusivamente per la prova diretta, la quale finirebbe per obliterare il diritto alla controprova riconosciuto dall’art. 495 c.p.p.. Ciò posto, illegittimamente il giudice del merito aveva negato l’ammissione dei testi F.M. e F. G., richiesta dall’imputato a prova contraria.

b) Non poteva condividersi la scelta di non avvalersi dell’apporto di un perito al fine di verificare le ragioni del crollo (secondo l’assunto difensivo appariva sospetto il contemporaneo distacco di ben sei viti che sorreggevano la parte di controsoffitto a pochi giorni dalla notifica di un secondo sfratto per morosità) e accertare la sussistenza degli interventi operati dall’imputato (rifacimento del terrazzo, costituente copertura).

c) In ogni caso, a mente dell’art. 507 c.p.p., il giudice avrebbe dovuto sentire le persone indicate dalla parte nel corso della escussione della persona offesa (l’amministratore del condominio e due imprenditori che avevano provveduto ad effettuare lavori di restauro).

2.2. Con il secondo motivo il M. denunzia vizio motivazionale in questa sede rilevabile.

Nonostante l’incompleta istruttoria era emerso che l’imputato aveva più volte fatto effettuare lavori di recupero del soffitto-terrazza (in tal senso le stesse dichiarazioni della P.O. e della di lui moglie, i quali, tuttavia, lamentavano la non risolutività degli interventi), di conseguenza, nessun addebito colposo poteva muoversi nei confronti di costui, il quale, avendo presente il "modello d’agente", aveva fatto quanto di necessario per andare esente da penale responsabilità, non potendosi allo stesso attribuire il fatto imprevedibile, della caduta di un pannello del controsoffitto, le cui viti non erano state controllate dall’inquilino.

2.3. Con l’ultimo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge per insussistenza dell’elemento oggettivo costituente il fatto di reato contestato.

Secondo l’assunto impugnatorio poichè quel contratto di locazione era sottoposto al regime vincolistico si applicava la disposizione di cui alla L. 23 maggio 1950, n. 253, art. 41 in base alla quale il locatore non era tenuto ad effettuare le riparazioni di cui agli artt. 1575, 1576 e 1577 c.c..
Motivi della decisione

3. Il ricorso va disatteso perchè infondato.

3.1. Il giudice di prime cure si profonde in adeguata e congrua motivazione al fine di spiegare la decisione di non ammettere i testi dall’imputato, qualificati a prova contraria "in quanto si tratta di circostanze già indicate nel capo d’imputazione oppure dedotte nella narrativa della querela (…). Tali circostanze erano e, dovevano essere ben conosciute dalla difesa, che avrebbe potuto conoscere tutti gli atti processuali, compresa la querela ed il capo di imputazione (…) e, quindi doveva chiedere l’ammissione dei propri testi, nei termini di legge".

Lo specifico motivo, pur avendo correttamente ripreso la distinzione tra prova diretta e contraria, tuttavia, non si perita di specificamente criticare il ragionamento del giudice, il quale, ben conoscendo la distinzione tra prova diretta e contraria, ha motivatamente addotto che quella richiesta dall’imputato non fosse altro che una tardiva prova diretta. Quanto al secondo profilo basti osservare che rientra nell’insindacabile scelta discrezionale del giudice avvalersi dell’apporto di un perito e, comunque, giammai può assumersi, con ingiustificata prognosi aprioristica, che il risultato della perizia sarebbe stato decisivo (cfr., fra le tante, Cass., 23/10/2012, n. 43526; 22/1/2007 n. 14130; 5 dicembre 2003 n. 4981;

14/11/2003 n. 835; 7/7/2003 n. 34089; 6/4/1999 n. 12027).

Nel caso di specie, l’istruttoria svolta, le certificazioni sanitarie e le constatazioni dell’immediatezza acquisite hanno fatto optare, non irragionevolmente, il giudice per la non necessità dello strumento d’ausilio qui evocato.

Infine, preso in esame l’ultimo profilo del primo motivo di gravame, devesi rilevare che l’art. 507 c.p.p., rappresenta rimedio eccezionale attraverso il recupero di una funzione di garanzia sostanziale del giudice, il quale, nel caso di risultato probatorio insoddisfacente (in un senso o nell’altro) può d’ufficio integrare l’istruttoria. Sibbene devesi salvaguardare l’eccezionalità del mezzo, venendo meno la quale l’intiero assetto processuale si pervertirebbe, In sede di legittimità si è più volte affermato che il giudice, specie se sollecitato sul punto, ha il dovere di prendere in considerazione l’evenienza di avvalersi del potere conferitogli dalla norma in esame, fornendo congrua motivazione (Cass. n. 38674/2005, 36642/2005, 43018/2011). Qui, tuttavia, l’invocato allargamento istruttorio appare manifestamente irrilevante, mirando alla conferma degli interventi manutentivi effettuati dal locatore, circostanza che risultava essere già acquisita in giudizio, anche per ammissione della stessa P.O..

4.2. Il secondo motivo si mostra manifestamente infondato.

Il giudice di prime cure non è incorso in nessuna macroscopica contraddizione o illogicità affermando che il crollo era da attribuirsi a difetto di riparazione del soffitto, che già nel passato aveva procurato cadute di calcinacci e lampade, stante che gli interventi manutentivi effettuati, per la loro sommarietà o parziarietà, non avevano risolto il fenomeno d’infiltrazione d’acqua.

4.3. Nemmeno l’ultimo motivo merita di essere accolto.

In primo luogo, senza necessità di entrare del merito circa il rilievo della questione, appare frutto di mero asserto privo di qualsivoglia allegazione probatoria l’addotta circostanza che il contratto fosse sottoposto a regime vincolistico e, comunque, alle disposizione di cui alla L. n. 253 del 1950 cit..

In ogni caso, il rispetto degli obblighi contrattuali del conduttore in nulla elide quello del proprietario di garantire (art. 2051 e 2053 c.c.) i terzi (incluso, quindi, il locatario) dai danni che dalla cosa derivino. In definitiva, il locatario giammai può sollevare il locatore proprietario dagli obblighi propri derivanti dalla titolarità.

5. All’epilogo consegue la condanna del ricorrenti alle spese.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013

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