T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 348

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La controversia in esame trae origine dal procedimento avviato dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, volto ad accertare la presunta scorrettezza della pratica commerciale posta in essere dalla società odierna ricorrente, consistente nella promozione della propria attività di servizi funebri, mediante inserzione negli elenchi telefonici e cartelli posizionati nel territorio del Comune di Monza, con affermazioni quali "Funerali completi con convenzioni comunali" nonché con riferimenti ad una esperienza nel settore da "oltre cento anni".

L’istruttoria è stata avviata, su segnalazione di una società concorrente (P.F. A.P. di F.C. & C. s.a.s), in data 27 novembre 2008.

Con provvedimento n. 19350 del 23.12.2008, l’Autorità disponeva che la società odierna ricorrente sospendesse in via cautelativa "ogni attività diretta a indurre in errore il consumatore medio riguardo alle caratteristiche dei servizi funebri offerti dal professionista ed alle condizioni alle quali gli stessi vengono erogati, alla sussistenza di una convenzione con il Comune di Monza, nonché all’inizio della relativa attività d’impresa".

In data 10 marzo 2009 veniva richiesto il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Coni il provvedimento impugnato l’Autorità, in conformità del parere reso da AGCOM, deliberava che "la pratica commerciale descritta al punto II del presente provvedimento, posta in essere dalla società A.A.P. S.r.l., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21, 22 e 23, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo", inibendone l’ulteriore diffusione. Alla società veniva irrogata, altresì, una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 50.000.

Avverso siffatte determinazioni, insorgeva parte ricorrente, in particolare deducendo:

1) Violazione dell’art. 97 della Costituzione, violazione dei principi che regolano l’azione della pubblica amministrazione e, in particolare, di quelli del contraddittorio e della partecipazione procedimentale; violazione degli artt. 4, 6, 7 e 13 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa illecita, emanato dall’Autorità il 15 novembre 2007; eccesso di potere per carenza di istruttoria:

La società si duole anzitutto del fatto di non avere ottenuto termine dall’Autorità al fine di potere adeguatamente documentare la propria esperienza ultracentennale.

2) Violazione degli artt. 20 e ss del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Eccesso di potere per perplessità. Eccesso di potere per difetto di motivazione.

Secondo parte ricorrente, l’Autorità avrebbe fatto un richiamo eccessivamente generico alle norme del Codice del Consumo, privandola, quindi, della possibilità di conoscere con esattezza la norma violata.

3) Violazione degli artt. 20 e ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206; eccesso di potere per carenza di istruttoria; eccesso di potere per travisamento dei fatti; eccesso di potere per difetto di motivazione.

Le convenzioni comunali stipulate del corso del tempo dalla società P. riguardano, sostanzialmente, i servizi di recupero salme (per i decessi che avvengono in luogo pubblico), nonché la fornitura di cofani e relativo trasporto per funerali di povertà.

La società ha dunque affermato il vero là dove ha evidenziato l’esistenza di "funerali completi con convenzioni comunali", tanto più che, oltre alla convenzione in essere con il Comune di Monza, aderiva anche a separata convenzione, avente il medesimo oggetto, con il Comune di Milano.

Relativamente alla veridicità dell’affermazione relativa alla propria ultracentennale esperienza nel settore precisa che, nel 1911, è stata istituita la ditta A.P. di C.L., con sede in Monza, via Italia 9.

La sede è stata successivamente trasferita in Largo XXV aprile, 4.

La ditta proseguiva ivi la propria attività con la denominazione di Ditta A.P. società in nome collettivo dei fratelli E., F. e U.C., figli del sig. L.C., ai quali, da parte di quest’ultimo, era stata volturata la licenza.

Tale società, sotto la nuova denominazione di A.P. di U.C., cedeva la licenza in favore del sig. Aldo Veronese (padre dell’attuale legale rappresentante p.t. della società ricorrente). Quest’ultimo, a sua volta, in data 1991, cedeva la licenza a favore della neocostituita A.A.P. s.r.l. con sede in Monza, L.go XXV Aprile n. 4.

Risulta quindi confermato, prosegue parte ricorrente, che il nome "A.P." è su piazza da oltre cento anni.

Relativamente alla asserita ingannevolezza del riferimento all’esistenza di convenzioni comunali, l’Autorità si sarebbe limitata ad una valutazione meramente prognostica, senza effettivamente verificare gli effetti prodotti sul consumatore. P. avrebbe comunque un interesse del tutto antitetico a quello sanzionato posto che, una volta contattata, la società non ha alcun vantaggio a proporre un servizio in convenzione. Ad ogni buon conto, non vi sarebbe alcuna illegittimità nell’indirizzare le proprie affermazioni pubblicitaria ad una fascia di potenziale clientela(in particolare, quella interessa ai c.d. funerali di povertà);

4) Sulle omesse informazioni.

Nessuno dei mezzi di comunicazione utilizzati avrebbe consentito, in relazione alle convenzioni comunali in esse, di specificare in dettaglio il relativo oggetto.

D’altro canto chi fa pubblicità intende catturare l’attenzione della clientela e non già offenderla con affermazioni poco dignitose. In sostanza, prosegue parte ricorrente, esistono due tipi di servizio: quelli a condizioni di mercato per cui non esiste la necessità di specificazione e quelli c.d. di povertà per cui la richiesta specificazione sarebbe stata gratuitamente insensibile.

5) Violazione degli artt. 20 e ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

AGCM ha poi valutato come non conforme al provvedimento cautelare anche la nuova pubblicità in cui si fa riferimento a "funerali completi con accreditamenti comunali".

La società precisa che, nel momento in cui, cautelarmente, è stata costretta a variare le proprie modalità di pubblicizzazione, lo ha fatto tramite una proposta, in relazione alla quale l’Autorità non si è mai, preliminarmente, espressa. Tale pubblicità, inoltre, non ha mai trovato realizzazione.

Segnala poi che anche il concorrente (dalla cui segnalazione è scaturito il presente procedimento), usa tecniche pubblicitarie del tutto analoghe a quelle stigmatizzate dall’Autorità.

Si costituiva, per resistere, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Con ordinanza n. 3802/09, resa nella camera di consiglio del 30 luglio 2009, è stata respinta l’isanza cautelare.

Le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010.
Motivi della decisione

1. La controversia in esame trae origine dalla pratica commerciale posta in essere dalla società ricorrente, consistente nel promuovere la propria attività con il seguente messaggio "Funerali completi con convenzioni comunali", attraverso inserzioni all’interno degli elenchi telefonici – Pagine Bianche e Pagine Gialle sia cartacei sia on line – ed attraverso cartelli posizionati nel territorio del Comune di Monza.

Nella versione cartacea delle Pagine Bianche compare, altresì, il riferimento ad un’esperienza nel settore "da oltre cento anni".

In relazione al messaggio riportato nelle inserzioni e sui cartelloni pubblicitari l’Autorità ha accertato la violazione degli articoli 20, 21, 22 e 23, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo, in quanto esso risulta idoneo ad indurre in errore il consumatore medio riguardo alle caratteristiche dei servizi funebri offerti dal professionista ed alle condizioni alle quali gli stessi vengono erogati, alla sussistenza di una convenzione con il Comune di Monza nonché all’inizio della relativa attività d’impresa.

In particolare, nelle "Valutazioni conclusive", AGCM (premesso che dalla incontestate risultanze istruttorie è emerso che l’unica convenzione stipulata con il Comune di Monza dall’A.A.P. S.r.l. è quella per i "Servizi di recupero salme e funerali di povertà", cui hanno aderito anche altre agenzie di onoranze funebri con sede nello stesso territorio comunale), ha in primo luogo osservato che "evocare nel messaggio pubblicitario, genericamente, "convenzione comunale", riferendosi ad un accordo che non contiene alcuna favorevole tariffa per il consumatore né richiama particolari requisiti di affidabilità dell’impresa, ma consiste solo nell’adesione su base pattizia ad un accordo sui prezzi che il Comune corrisponderà per i cd. funerali di povertà, ha una carica fuorviante che deve essere necessariamente censurata.

Infatti, la mancata specificazione dei servizi realmente offerti con tale tipologia di convenzione può indurre i consumatori a scegliere il professionista sulla base dell’erroneo convincimento che la stessa sia applicabile all’intera gamma prestata. Si tratta dell’omissione di informazioni determinanti nella scelta del professionista di cui avvalersi.".

Secondo l’Autorità, inoltre, "la portata decettiva del messaggio è ulteriormente rafforzata dall’indicazione con cui si prospetta un’esperienza nel settore da parte del professionista che perdura "da oltre cento anni".

Al riguardo l’Autorità ha tuttavia fatto presente che "dalla documentazione presentata dal professionista e da quella comunque acquisita in atti non si evince in alcun modo che, anche a seguito di pur possibili e naturali mutamenti ed evoluzioni della compagine e/o della ragione societaria, sia sempre la stessa entità aziendale – intesa, ai sensi dell’articolo 2555 del Codice Civile, come "il complesso dei beni organizzati dall’ imprenditore per l’esercizio dell’impresa" – che continua ad operare, sebbene con veste giuridica o soggetti rinnovati.

Non è stato dimostrata, in particolare, l’esistenza di alcun vincolo di continuità formale o sostanziale fra la società A.P. del 1911 e quella omonima costituita nel 1991.".

AGMC ha poi soggiunto che "pur volendo assumere che la nuova espressione relativa alla durata dell’attività d’impresa ("esperienza storica") riduca il livello di decettività del messaggio in questione, il riferimento alla sussistenza della convenzione stipulata con il Comune di Monza risulta già di per sé fuorviante per i consumatori, in quanto gli stessi potrebbero essere così ingannevolmente indotti a privilegiare l’A.A.P. S.r.l. rispetto ad altre imprese del settore, basandosi sul falso affidamento che il professionista possa offrire garanzie formali e sostanziali proprie degli operatori legati al sistema pubblico da particolari rapporti di concessione nonché condizioni particolarmente convenienti per la prestazione dei servizi di onoranze funebri.

Tale presupposto costituisce, secondo un consolidato orientamento dell’Autorità, un elemento rilevante nel determinare le scelte dei consumatori anche in considerazione della particolare situazione emotiva nella quale viene a trovarsi il fruitore di tali servizi".

Ha precisato, inoltre, che l’introduzione della dicitura "funerali completi con accreditamento comunale" al posto di "funerali completi con convenzione comunale", così come comunicato dallo stesso professionista in data 28 gennaio 2009, non "vale a fugare il falso convincimento che le condizioni economiche offerte dall’A.A.P. S.r.l. siano migliori, in virtù dell’esistenza di speciali rapporti con l’ente pubblico locale, rispetto a quelli di altre agenzie di onoranze funebri a seguito di apposito accordo.". E’ infatti evidente che "l’uso del termine "accreditamento è "finalizzato a "rendere credibile", ossia "avvalorare", sulla base di un preteso (ed inesistente) rapporto con il Comune di Monza, i servizi funebri resi dall’A.F. A.P..

Pertanto, la specifica che il professionista fornisca servizi funebri con accreditamenti comunali non è utile ad eliminare i profili di decettività del messaggio rispetto al tipo di rapporto instaurato con il Comune ed alle condizioni economiche con le quali i servizi funebri sono erogati".

2. Ciò posto, va in primo luogo respinto il motivo con cui parte ricorrente asserisce che l’Autorità non avrebbe consentito una piena partecipazione procedimentale, in particolare, in ordine alla dimostrazione della veridicità del vanto pubblicitario relativo alla propria esperienza ultracentennale.

Al riguardo è sufficiente rilevare che la società P. ha presentato memorie difensive, complete di allegati, in data 17 dicembre 2008 e 17 febbraio 2009.

Non risulta, inoltre, che abbia sollecitato una proroga del termine di chiusura del procedimento al fine di produrre documentazione di cui non aveva ancora la disponibilità.

Né rileva, ovviamente, che tale possibilità le sia stata negata anteriormente all’adozione del provvedimento inibitorio del 23.12.2008, posto che le misure cautelari sono caratterizzate, per loro stessa natura, da cognizione sommaria e urgenza di provvedere.

Ad ogni buon conto, il Collegio osserva che, anche in sede ricorsuale, sul punto in questione, non sono state offerte allegazioni ovvero documenti diversi da quelli presi in esame dall’Autorità.

2.1. Le articolate argomentazioni e analisi svolte dall’Autorità circa le condotte sanzionate, smentiscono poi il rilievo secondo cui la stessa non avrebbe chiaramente spiegato a quale, tra le fattispecie elencate negli artt. 20 – 23 del Codice del Consumo, l’illecito sia riconducibile.

Ad ogni buon conto, particolarmente rilevante appare il richiamo, fatto sin dalla comunicazione di avvio del procedimento, alla pratica scorretta tipizzata descritta alla lett. d) del cit. art. 23, consistente nell’"asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta".

2.2. Nel merito, con particolare riferimento all’esistenza delle convenzioni comunali in essere, è evidente che l’Autorità non ha inteso contestare la veridicità di tale circostanza, quanto, da un lato, l’omissione informativa consistente nella "mancata specificazione dei servizi realmente offerti con tale tipologia di convenzione", dall’altro la carica fuorviante del riferimento ad un accordo "che non contiene alcuna favorevole tariffa per il consumatore né richiama particolari requisiti di affidabilità dell’impresa". I consumatori potrebbe essere infatti indotti a privilegiare la società ricorrente "basandosi sul falso affidamento che il professionista possa offrire garanzie formali e sostanziali proprie degli operatori legati al sistema pubblico da particolari rapporti di concessione nonché condizioni particolarmente convenienti per la prestazione dei servizi di onoranze funebri"

L’assunto, è del resto confermato dalla stessa società là dove afferma di non avere alcun interesse a vendere il servizio in convenzione, quanto piuttosto a catturare l’attenzione del consumatore al fine di proporgli la restante e più redditiva gamma delle proprie offerte.

Circa l’impossibilità di specificare in dettaglio l’oggetto delle convenzioni comunali, pare poi al Collegio che anche il semplice ed onesto riferimento ai c.d. "funerali di povertà" avrebbe consentito al consumatore medio la corretta decodifica del messaggio.

2.3. Pure condivisibili appaiono i rilievi dell’Autorità circa l’assenza di adeguati elementi atti a dimostrare la continuità della compagine aziendale fondata nel 1911.

A tal fine, non risultano invero sufficienti né l’identità della sede, né la concatenazione nella volturazione delle "licenze", posto che un’entità aziendale è costituita dal "complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa" (così l’art. 2555 del codice civile, correttamente richiamato dall’Autorità).

Nel caso di specie, occorreva in particolare dimostrare (perlomeno in rapporto allo specifico oggetto del vanto pubblicitario, costituito dal richiamo all’"esperienza"), l’identità dello specifico "know how" aziendale, soprattutto alla luce della incontestata presenza sul mercato di altre imprese, riconducibili alla famiglia C., operanti nello stesso settore.

Quanto poi alla sussistenza di violazioni analoghe a quelle oggi in rilievo, da parte dei concorrenti, il Collegio osserva che esse, ove effettivamente sussistenti, sono egualmente censurabili (e, pertanto, sanzionabili, da parte dell’Autorità), ma non possono giustificare ovvero in qualche modo scriminare l’illecito consumeristico nella fattispecie accertato.

2.4. Parte ricorrente lamenta poi il fatto che l’Autorità abbia esteso la valutazione di ingannevolezza ad una versione modificata del messaggio originariamente contestato, che, tuttavia, non avrebbe mai avuto effettiva diffusione.

Il Collegio osserva però che tale valutazione non è stata effettuata dall’Autorità al fine di ampliare le condotte sanzionate, bensì al fine di completare lo sviluppo logico – argomentativo volto a dimostrare la permanente decettività del messaggio anche in una formulazione depurata del riferimento all’esperienza ultracentennale.

3. Con riferimento alla quantificazione della sanzione, la società ha infine sostenuto che l’Autorità non avrebbe verificato l’effettivo impatto sul consumatore.

Si richiama, al riguardo, l’ormai costante orientamento della Sezione, circa la struttura dell’illecito consumeristico in esame. L’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle più volte riportate disposizioni del Codice del Consumo, "non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole (per le ragioni dei consumatori), quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva (per le scelte che questi ultimi, altrimenti, sono legittimati a porre in essere fuori da condizionamenti e/o orientamenti decettivi) che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito (non già di danno) ma di mero pericolo" in quanto intrinsecamente idonea a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (sentenza n. 3722 dell’8 aprile 2009).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

4. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che si liquidano complessivamente in euro 1000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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