Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-01-2013) 26-03-2013, n. 14347 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con ordinanza pronunciata il 3 febbraio 2012, ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari della sede il 24 dicembre 2011, nei confronti di C.L., sottoposto ad indagini per aver fatto parte, unitamente a Co.Do., Co.Fi., R. V., L.V. e Ca.Ro., raggiunti a loro volta da ordinanza di custodia cautelare in carcere del 16 dicembre 2011 nell’ambito dello stesso procedimento, denominato "Alta tensione 2", e insieme ai propri fratelli, C.A., C. S.G., C.B., e con Z.A., Z. G., Zi.Gi., L.P., B.T. ed altri, nei confronti dei quali si procede separatamente, nel procedimento denominato "Operazione alta tensione", "dell’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta e, in particolare, del sodalizio "Borghetto-Caridi- Zindato", operante nell’ambito della più ampia cosca "Libri", finalizzato al controllo dei quartieri "(OMISSIS)", "(OMISSIS)", "(OMISSIS)" di Reggio Calabria, previa spartizione tra i gruppi criminali, sulla base di deliberati mafiosi, del territorio d’influenza e delle attività criminali da perpetrare sullo stesso (…); in ciò avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere delitti come omicidi, estorsioni, danneggiamenti, detenzione e porto illegale di armi, anche da guerra, ed esplosivi; per acquisire in modo diretto o indiretto il controllo e la gestione di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; e, comunque, per realizzare per sè od altri profitti e vantaggi ingiusti; impedire o ostacolare il libero esercizio del voto e/o procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Con il ruolo di reggente del sodalizio (attribuito allo stesso C.L.: n.d.r.) a seguito della sottoposizione a custodia cautelare dei fratelli ( C.A., C.S. e C.B.:

Dopo un’ampia premessa sugli elementi costitutivi del delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen. (pagine da 2 a 7) e la ricognizione di tutti gli elementi, tratti anche da altri procedimenti (oltre alla già ricordata "Operazione Alta Tensione", anche i procedimenti denominati "Meta" e "Crimine" e il più remoto procedimento "Armonia") che dimostrerebbero, secondo le argomentazioni del giudice cautelare, l’esistenza e la continuità nel tempo dell’associazione per delinquere "Borghetto-Caridi- Zindato", con attribuzione di ruoli primari ai germani C., C.A. e C.S., e a Z.G., in diretto contatto con il ritenuto "capo crimine" della confederazione delle cosche operanti nell’intera provincia di Reggio Calabria (capoluogo e versanti ionico e tirrenico), individuato in O. D. di (OMISSIS) (v. pagine 8-39), l’ordinanza impugnata esamina la specifica posizione di C.L. (da pagina 40 a pagina 73), riconoscendone l’intraneità all’omonimo sodalizio e attribuendogli il ruolo di dirigente a seguito dell’arresto dei fratelli, con consumazione del reato tuttora in corso nella città di Reggio Calabria, sulla base degli elementi di seguito indicati, che vengono sinteticamente richiamati per titoli, rimandandone la più puntuale illustrazione all’esposizione dei motivi di ricorso:

a) chiamate in correità di M.R. e L.G.A., già membri, rispettivamente, delle cosche della ‘ndrangheta reggina, Tegano e Lo Giudice, circa l’appartenenza del C., identificato dal M. attraverso la sua attività commerciale ma erroneamente indicato col prenome di " B.", all’omonimo sodalizio in un ampio arco temporale;

b) contenuti di intercettazioni telefoniche e ambientali, dai quali sarebbe emersa la cointeressenza in posizione apicale di C. L., detto "(OMISSIS)", nella gestione dell’omonima cosca, a seguito dell’Incarcerazione dei fratelli: sono menzionate, in particolare, la conversazione del 21 giugno 2011 tra Co.Do. (cognato dell’indagato) e altro uomo non identificato a proposito di una somma di Euro 30.000 che, secondo l’ignoto interlocutore, sarebbe stata arbitrariamente trattenuta da C.L. per asserite esigenze del proprio fratello; e la conversazione del 6 ottobre 2011 tra lo stesso C.L. e A.G. circa il danneggiamento subito da quest’ultimo in (OMISSIS) (provincia di (OMISSIS)) il (OMISSIS), consistito nell’incendio di due autovetture, ad opera di tale D. (identificato in C.D.), da ritenersi, secondo gli inquirenti, persona vicina alla cosca Caridi anche per l’appoggio ricevuto, nella detta azione criminosa, da altri sodali del medesimo gruppo: Ca.Ro. che avrebbe materialmente concorso nel danneggiamento, L.V. e C. D., tutti confluiti e presenti in Emilia Romagna immediatamente prima del fatto;

c) contenuti di intercettazioni di colloqui in carcere tra C. S. ed i suoi congiunti, tra i quali non fu mai presente C. L. prima del suo arresto, dai quali si evincerebbe, secondo la tesi accusatoria, la direzione degli interessi della cosca e degli affari di famiglia delegata dal C. detenuto proprio al fratello ancora libero, L., inclusa la vendita del negozio di ortofrutta appartenente alla famiglia, nel quartiere (OMISSIS), costituente il luogo tradizionale di riunione dei componenti la cosca.

Le esigenze cautelari sono desunte dalla ritenuta gravità indiziaria della condotta partecipativa e dalla attuale sussistenza dell’associazione criminale di tipo mafioso, con applicazione della misura più rigorosa sulla base della residua presunzione di esclusiva adeguatezza di essa, ancora prevista dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, primo periodo, dopo gli interventi demolitori della Corte costituzionale non attinenti al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il C. tramite il difensore, avvocato Francesco Calabrese, il quale, con unico motivo, denuncia l’inosservanza di norma processuale e il vizio della motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e art. 416 bis cod. pen..

Dopo aver premesso che il Tribunale si sarebbe inutilmente dilungato nelle argomentazioni, peraltro testualmente conformi al contenuto dell’ordinanza genetica, a sostegno della sussistenza, non contestata, dell’associazione di tipo ‘ndranghetistico, denominata "Caridi", il ricorrente articola le sue censure intorno a due temi principali: l’omessa verifica dell’attendibilità intrinseca soggettiva e oggettiva del chiamante, M.R., non superabile dai ritenuti riscontri che la chiamata avrebbe avuto in punto di identificazione del C., indicato col prenome di B. non corrispondente a quello reale, nell’attuale ricorrente;

l’inconferenza ed assoluta equivocità degli indicati riscontri della stessa chiamata, con la pur sottolineata insufficienza della sola asserzione di appartenenza di un soggetto ad un sodalizio di tipo mafioso, ancorchè proveniente da più chiamanti di riconosciuta attendibilità intrinseca, ad integrare la gravità del compendio indiziario e non solo semplici indizi di colpevolezza, come tali inidonei a giustificare la limitazione della libertà personale, secondo l’accreditata e anche recente giurisprudenza di questa Corte (citate sentenze n. 40520 del 2011 e n. 7951 del 2012).

Il ricorso denuncia, quindi, il vizio di logicità deduttiva dell’ordinanza impugnata, laddove trae dal contenuto della conversazione telefonica del 6 ottobre 2011 tra C.L. e A.G., circa il contrasto tra quest’ultimo e c.d., elementi di valutazione personologica a proposito della ritenuta indole violenta dell’indagato, assolutamente inidonei a fungere da indizi della sua partecipazione con ruolo direttivo all’associazione criminale, mentre nessun passaggio della medesima conversazione giustificherebbe l’ulteriore deduzione operata dal decidente con riguardo alla conoscenza, da parte dello stesso C., del contesto di ritenuta valenza mafiosa nel quale sarebbe stato compiuto il danneggiamento (incendio di due autovetture) in danno dell’ A. da parte del Costantino, indicato creditore del primo, con l’ausilio di Ca.Ro. e L.V., quest’ultimi indagati e arrestati come membri della cosca Caridi.

L’ordinanza impugnata, inoltre, avrebbe sovvertito il corretto ordine metodologico di valutazione intrinseca della chiamata in reità necessariamente prodromica all’esame degli eventuali riscontri ad essa esterni, ignorando l’incertezza e la genericità dell’indicazione accusatoria di M.R., il quale non aveva neppure saputo riferire il prenome del C., genericamente indicato come "da sempre" associato all’omonima cosca; e avrebbe superato tale deficit genetico con la valorizzazione dell’attività svolta dal chiamato nell’ambito del commercio all’ingrosso del caffè, peraltro riconosciuta e indicata dallo stesso ricorrente a sua difesa, per dimostrare la mancanza di alcun personale interesse alle attività illecite della cosca. Di conseguenza, non solo sarebbe stata omessa la valutazione di intrinseca affidabilità oggettiva della chiamata in reità operata dal M., ma a suo sostegno, sia pure ai soli fini dell’identificazione del chiamato nell’attuale ricorrente, sarebbero state addotte una serie di conversazioni telefoniche attestanti l’attività economica svolta dal C. con modalità del tutto lecite, senza alcun elemento indicativo dell’utilizzo, da parte dello stesso, della forza di intimidazione derivante dall’associazione ‘ndranghetistica dei fratelli, per imporsi nella città di Reggio Calabria come commerciante all’ingrosso di caffè, sgominando la concorrenza, poichè tale tesi sarebbe rimasta una mera asserzione del M. priva di alcun specifico e concreto riscontro nei contenuti delle conversazioni intercettate illogicamente ribaltati, nell’ordinanza impugnata, a sfavore dell’indagato.

Del tutto illogica e contraddittoria sarebbe anche la valorizzazione delle dichiarazioni del collaboratore, L.G.A., il quale ha riferito circa l’appartenenza di C.L. al sodalizio con riguardo ad epoca alquanto remota (antecedente al 1991), già oggetto di precedente processo denominato "Wood", definito a ridosso degli anni 2000 con sentenza irrevocabile di assoluzione dello stesso C. dal delitto previsto dall’art. 416 bis cod. pen..

Viene, in proposito, rilevato che i riscontri avrebbero dovuto essere specifici e concreti in punto di attuale partecipazione del C. alla consorteria mafiosa con imposizione vessatoria della fornitura all’ingrosso di caffè ai pubblici esercizi nella zona di influenza del sodalizio, mentre le dichiarazioni del L.G.A. riguardano un tempo molto lontano e, pertanto, sarebbero inidonee ad apportare alcun sostegno alla chiamata in reità del M..

Ulteriore denuncia di illogicità riguarda l’attribuzione di valore di riscontro individualizzante al contenuto della conversazione del 21 giugno 2011 tra Co.Do. ed un uomo non identificato circa il trattenimento, da parte di C.L., della somma di Euro 30.000 con l’esternata destinazione di essa alle esigenze del proprio fratello.

Il contenuto della conversazione, infatti, non consentirebbe di affermare la derivazione di tale somma di denaro dalle attività della cosca; le modalità con le quali C.L. l’avrebbe trattenuta non potrebbero essere apoditticamente ascritte ad un metodo mafioso ovvero alla pretesa posizione di rilievo dello stesso ricorrente nella compagine criminosa, trattandosi di elementi privi di alcun specifico supporto; non potrebbe escludersi la destinazione della somma ad esigenze familiari ovvero private del nucleo Caridi del tutto indipendenti dagli interessi e dalle finalità della cosca.

L’ordinanza impugnata avrebbe al riguardo applicato una vera e propria inversione dell’onere della prova, pretendendo la dimostrazione, da parte del C., della natura lecita dell’affare oggetto del colloquio intercettato, mentre incombe al pubblico ministero la dimostrazione dell’illiceità dell’operazione ovvero la riconduzione di essa nell’alveo degli interessi e delle attività del sodalizio mafioso.

Del tutto neutro, infine, sarebbe l’emerso interesse del ricorrente nella vendita del chiosco di vendita di frutta ed ortaggi della propria nipote, C.F., essendo tale interessamento, come spiegato dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, determinato da normali rapporti affettivi e parentali e, quindi, non riconducibile alla consorteria criminale; nè varrebbe a smentire tale logica e plausibile spiegazione, in difetto di alcun elemento specifico di segno contrario, la circostanza che il detto chiosco, come riferito dal collaboratore M., sia stato un luogo di riunione degli appartenenti alla cosca per la sua ubicazione nel quartiere di influenza.

In sintesi, tutti gli elementi esaminati sarebbero privi di alcuna valenza dimostrativa dell’intraneità di C.L. al sodalizio mafioso per la loro ontologica equivocità e vacuità, donde il chiaro vizio logico dell’ordinanza impugnata e la necessità di disporne l’annullamento con ogni conseguenza di legge.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Non è superflua una preliminare puntualizzazione circa la qualifica di gravità, postulata dall’art. 273 c.p.p., comma 1, con riguardo agli indizi che giustificano il provvedimento restrittivo della libertà personale, dove la gravità designa la consistenza dell’elemento noto rispetto a quello ignoto, nel senso che il primo deve accreditare, con specifica pregnanza, l’ipotesi accusatoria; con la (A precisazione che il requisito della gravità deve accompagnare i singoli indizi e non può essere cumulativamente riferito al solo insieme degli elementi raccolti (Sez. 1, n. 16548 del 14/03/2010, dep. 29/04/2010, Bellocco, Rv. 246935; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231678).

Quanto ai riscontri esterni dell’indizio costituito, in sede cautelare, dalla chiamata in reità o correità, essi, pur integrando meri "elementi di prova", ai sensi dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, per i quali non è richiesta l’intrinseca gravità propria delle dichiarazioni supportate, devono tuttavia, per essere riconosciuti come tali, possedere una sufficiente idoneità dimostrativa e non avere una valenza interpretativa neutra o, addirittura, ambigua.

Nel caso in esame il discorso giustificativo del Tribunale distrettuale risulta carente sia con riguardo alla gravità indiziaria, sia con riguardo alla efficacia dimostrativa degli elementi di riscontro indicati.

Il Tribunale, innanzitutto, non ha dato adeguata contezza della gravità degli indizi costituiti dalle dichiarazioni accusatorie di L.G.A. (rese il 25/07/2011), di cui la stessa ordinanza sottolinea il riferimento ad un’epoca (antecedente al 1991) in relazione alla quale la partecipazione di C.L. all’omonimo sodalizio di tipo mafioso è stata esclusa con sentenza irrevocabile di assoluzione dal reato previsto dall’art. 416 bis cod. pen., emessa nel processo denonomito "Wood", sicchè l’unica indicazione dello stesso C. come membro apicale dell’omonima associazione, in tempi più recenti, è quella proveniente da M.R., senza che, contrariamente all’assunto difensivo, sia giustificato il dubbio circa l’identità del C. menzionato dal dichiarante, il quale lo identifica con sufficiente certezza attraverso il richiamo alla sua attività di imprenditore nel settore del commercio del cioccolato e del caffè, incontroversa in causa.

Quanto ai riscontri delle dichiarazioni accusatorie del M. nei confronti del C., rese il 28/10/2010 e il 26/07/2011, il Tribunale non ha plausibilmente giustificato la valenza dimostrativa degli addotti "altri elementi di prova" e le ragioni dell’opzione interpretativa prescelta rispetto a quella alternativa altrettanto compatibile col dato esaminato.

Gli indicati riscontri, infatti, sono aperti alla collocazione di eventi e condotte da essi evocati in contesti non necessariamente associativi di tipo mafioso, bensì di rapporti economici leciti (l’attività imprenditoriale, risalente nel tempo, esercitata dal C.); di relazioni familiari strettamente "private" (la somma di 30.00 Euro trattenuta dall’indagato per le esigenze del fratello e l’interessamento per la vendita del negozio di ortofrutta di famiglia); e di rapporti confidenziali con la persona offesa dal danneggiamento delle sue autovetture e non gli attentatori (la conversazione con l’ A. senza richiami da parte del C. ad altri associati o alla sua autorità sugli stessi).

2. Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame allo stesso Tribunale che l’ha pronunciata, ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a), il quale assolverà l’obbligo motivazionale in tema di gravità delle chiamate in reità e valenza dei riscontri di esse, come indicato nella presente sentenza.

La cancelleria curerà la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario in cui è ristretto il ricorrente, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio di Calabria.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2013

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