Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 245/5/07, depositata il 3.10.07 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dal Comune di Roma avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società Pubbli Roma s.r.l. avverso l’avviso di accertamento con il quale l’ente territoriale aveva richiesto alla contribuente il pagamento dell’imposta sulla pubblicità per l’anno 2003.
2. La CTR – dopo avere disatteso la questione pregiudiziale di difetto di rappresentanza processuale del Comune di Roma, sollevata dall’appellata – riteneva, nel merito, totalmente infondata la pretesa fiscale azionata con il predetto atto impositivo, sia con riferimento alla commisurazione dell’imposta in questione, operata dall’ente territoriale, all’anno solare e non ai singoli periodi espositivi, a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2, sia con riferimento all’erronea – a suo dire – determinazione della superficie imponibile, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7.
3. Per la cassazione della sentenza della n. 245/5/07 ha proposto ricorso il Comune di Roma, affidato a tre motivi. La società resistente ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
1. In via pregiudiziale, osserva la Corte che la domanda di sospensione del presente giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta dalla difesa della resistente Pubbli Roma s.r.l., non può trovare accoglimento.
1.1. Va rilevato, infatti, che detta istanza è fondata sul disposto della Delib. Consiglio Comunale Roma n. 31 del 2009, art. 5, a norma del quale la presentazione da parte del contribuente dell’istanza di definizione della lite, in via transattiva, mediante il pagamento di una somma il cui ammontare è determinato – in ragione del valore della controversia – dal precedente art. 3, comporta la sospensione del procedimento giuri-sdizionale in corso, in qualunque stato e grado esso sia pendente, fino alla data del 30.9.2009 (data, poi, più volte prorogata dall’ente).
L’esistenza di una fattispecie condonale, desumibile dalla delibera succitata, comporterebbe, pertanto, di per sè – a parere della difesa della società contribuente – la sussistenza del diritto della parte ad ottenere la sospensione del processo, con rinvio del presente giudizio di legittimità a nuovo ruolo.
1.2. La pretesa è infondata.
1.2.1. Va osservato, invero, che la menzionata Delib. Consiglio Comunale Roma n. 31 del 2009 risulta emanata, come si evince dal preambolo della stessa, in forza del disposto della L. n. 289 del 2009, art. 13, comma 2, che – ad avviso del Comune di Roma – consentirebbe agli enti locali territoriali di definire, ancora una volta, le liti pendenti con i contribuenti in materia di tributi comunali da tempo soppressi, sebbene tale facoltà di condono sia stata concessa dalla legge ben sette anni prima (2002) l’istituzione della definizione agevolata stabilita con la delibera comunale in esame (2009).
In virtù della predetta norma legislativa autorizzativa, l’ente territoriale ha, pertanto, concesso ai contribuenti la menzionata possibilità di definire transattivamente le vertenze ivi previste, mediante il pagamento di una determinata somma pari ad una percentuale degli importi dovuti, e di ottenere altresì la sospensione dei giudizi pendenti, onde pervenire alla definizione della lite ed alla conseguente estinzione dei giudizi stessi.
1.2.2. Ciò posto, osserva la Corte che la citata Delib. n. 31 del 2009, si palesa del tutto illegittima ed è, pertanto, certamente inidonea a fondare la richiesta di sospensione del giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta – nel caso concreto dalla difesa della Pubbli Roma s.r.l..
Ed invero, va osservato al riguardo che la L. n. 289 del 2002, art. 13, al comma 1, con riferimento ai tributi propri del Comune – ovverosia quelli la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti al suddetto ente (L. n. 289 del 2002, art. 13, comma 3) – consente la definizione in via amministrativa, mediante la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse dovute all’ente medesimo, nonchè dei relativi interessi e sanzioni, di quelle situazioni pendenti con i contribuenti che non abbiano dato luogo all’emissione di atti impositivi o a controversie in sede giurisdizionale. Sempre che – a tenore del medesimo comma 1 dell’art. 13 – nel termine fissato da ciascun ente, "i contribuenti adempiano ad obblighi tributar precedentemente in tutto o in parte non adempiuti".
Il comma 2 della norma consente, poi, all’ente territoriale di stabilire le "medesime agevolazioni di cui al comma 1" anche per i casi in cui "siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale", conseguendo – in siffatte ipotesi – alla presentazione dell’istanza di definizione da parte del contribuente, e ad a domanda del medesimo, la sospensione del procedimento giurisdizionale in corso, "in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente".
1.2.3. Ebbene – come è dato desumere, in modo del tutto inequivoco, dalle disposizioni succitate – la possibilità per il contribuente di conseguire la sospensione del giudizio in corso – ipotesi ricorrente nel caso di specie – è ancorata, dalla L. n. 289 del 2002, art. 13, alla concomitante presenza di due specifici presupposti: a) che si tratti di obblighi tributari precedenti l’entrata in vigore della legge in questione; b) che, alla data di entrata in vigore della predetta legge, le procedura di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero già stati instaurati.
Nè l’uno, nè l’altro dei due presupposti summenzionati è, tuttavia, da ritenersi ricorrente nel caso di specie, trattandosi di imposta sulla pubblicità per l’anno 2003 (successivo all’entrata in vigore della legge in questione), ed essendo stato – di conseguenza – il relativo contenzioso instaurato nel successivo anno 2004 (giudizio n. 18024/04), come si evince dal ricorso per cassazione del Comune di Roma. Se ne deve necessariamente inferire l’illegittimità del condono di cui alla delibera consiliare n. 31/09, poichè adottata in violazione della L. n. 289 del 2009, art. 13, che delimitava temporalmente – mediante il visto riferimento agli obblighi non adempiuti dal contribuente prima dell’entrata in vigore di detta legge, ed alla necessità che, a tale data, fossero già pendenti i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale – il potere dei Comuni di stabilire condoni sui tributi propri, potere non esercitabile, dunque, sine die dall’amministrazione comunale.
1.2.4. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che le potestà concesse dalla legge alle amministrazioni locali in materia di tributi – siano esse relative all’imposizione fiscale, o piuttosto, come nella specie, all’esenzione o alla riduzione del carico tributario gravante sui contribuenti – non possono che essere esercitate nei limiti, anche temporali, imposti dalla norma primaria alle amministrazioni medesime. Le esigenze di omogeneità di funzionamento dell’intero sistema tributario, evidenziate dal disposto dell’art. 3 (uguaglianza di trattamento dei debitori di tributi diversi da quelli locali), art. 23 (riserva di legge in materia di prestazioni obbligatorie) e art. 119 Cost., comma 2 (coordinamento della finanza pubblica locale con quella nazionale), comportano, invero, la necessità che il legislatore nazionale intervenga a fissare le grandi linee di detto sistema, definendo gli spazi ed i limiti entro i quali possono essere esercitate le potestà attribuite, in materia fiscale, anche agli enti locali territoriali (cfr. C. Cost. 37/04).
Ne discende che l’esercizio di un potere in materia tributaria, da parte dell’ente locale, una volta che sia spirato il termine, previsto dalla legge statale autorizzativa, entro il quale tale potestà poteva essere esercitata, comporta la carenza del potere medesimo, e la conseguente disapplicazione, da parte del giudice ordinario, dell’atto assunto in violazione della norma attributiva della potestà esercitata nonostante il decorso del termine suindicato (Cass. S.U. 2097/75).
1.3. Nel caso concreto, poichè la L. n. 289 del 2002, art. 13, concedeva all’amministrazione comunale la potestà di adottare il solo, specifico, condono ivi previsto, temporalmente delimitato attraverso i riferimenti suesposti, l’adozione di un ulteriore condono a distanza di ben sette anni dalla normativa primaria succitata, determina l’illegittimità del condono medesimo per carenza di potere, che va dichiarata da questa Corte, anche ai sensi dell’art. 363 c.p.c..
Ne discende che la richiesta di sospensione del presente giudizio e di rinvio della causa a nuovo ruolo, proposta della difesa della Pubbli Roma s.r.l. – in quanto fondata su detto condono, adottato con la Delib. Consiliare n. 31 del 2009 – non può trovare accoglimento.
2. Sempre in via pregiudiziale, deve rilevare ancora la Corte che le questioni di rito proposte nel controricorso dalla società Pubbli Roma s.r.l., e relative all’inammissibilità dell’appello per irrituale costituzione del Comune di Roma e per la pretesa proposizione, nel giudizio di secondo grado, di questioni non tempestivamente sollevate in prime cure, non possono trovare accoglimento, poichè palesemente inammissibili.
2.1. Ed invero, va osservato, al riguardo, che la parte totalmente vittoriosa in appello è tenuta, in relazione alle domande ed eccezioni espressamente o implicitamente non accolte dal giudice di secondo grado, ed aventi ad oggetto questioni preliminari o pregiudiziali, a proporre ricorso incidentale, qualora intenda – come nel caso concreto – ottenere l’esame di dette domande ed eccezioni nel giudizio di cassazione. Non trovando – per vero – applicazione nel giudizio di legittimità l’art. 346 c.p.c., dettato per il giudizio di appello, l’esame di tali domande ed eccezioni non potrebbe essere effettuato dalla Corte per effetto della mera riproposizione delle stesse, nel controricorso, da parte del resistente (cfr. Cass. 14075/02, 6992/06, 15362/08, 4359/11).
2.2. Nel caso di specie, la pronuncia di seconde cure ha espressamente rigettato la questione pregiudiziale proposte dall’appellata Pubbli Roma s.r.l., concernente la presunta irrituale costituzione dell’appellante Comune di Roma, ed implicitamente disatteso, decidendo la causa nel merito, l’altra questione pregiudiziale, attinente alla pretesa proposizione di domande ed eccezioni nuove, per cui la riproposizione di tali questioni in cassazione, al fine di consentirne un riesame da parte della Corte nel giudizio di legittimità, sarebbe dovuta avvenire nelle forme del ricorso incidentale.
Le questioni in parola, pertanto, così come proposte, non possono che essere dichiarate inammissibili.
3. Premesso quanto precede, va rilevato che con i tre motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente, attesa la loro evidente connessione – il Comune di Roma denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 12 e 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
3.1. Si duole, invero, il ricorrente del fatto che la CTR – condividendo le argomentazioni esposte dalla Pubbli Roma s.r.l. nei due gradi del giudizio di merito – abbia ritenuto dimostrate e fondate le allegazioni della ricorrente circa l’utilizzo degli impianti pubblicitari per periodi non superiori a tre mesi, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2, che prevede una tariffa agevolata, ai fini della determinazione dell’imposta per la pubblicità effettuata per un arco temporale inferiore a tre mesi.
Agevolazione possibile – a detta della contribuente – anche quando si tratti, come nel caso di specie, di pubblicità diretta mediante impianti fissi, attesa la modifica del comma 3, art. 12 D.Lgs. cit., operata dalla L. n. 388 del 2000, che ha consentito, anche in tale ipotesi, l’applicazione del disposto del succitato comma 2 dell’art. 12 della medesima disposizione.
3.2. La CTR, inoltre, – a parere dell’ente territoriale – avrebbe erroneamente ritenuto, e con motivazione del tutto incongrua, che nella superficie computabile ai fini dell’imposizione, ai sensi della disposizione succitata, non dovesse essere considerata anche la cornice della relativa installazione pubblicitaria, trattandosi – a detta della contribuente, condivisa in proposito dalla CTR – di un elemento accessorio non utilizzabile quale spazio adibito, in concreto, alla pubblicità.
3.3. Le suesposte censure sono fondate e vanno accolte.
3.3.1. Dall’esame dell’impugnata sentenza e degli atti difensivi depositati dalle parti nel presente giudizio di legittimità, si evince, infatti, che l’avviso di accertamento in discussione riguardava il pagamento insufficiente dell’imposta sulla pubblicità, relativa ad impianti fissi, per l’anno di imposta 2003. I pagamenti del tributo in questione erano stati effettuati, invero, dalla contribuente in misura ridotta rispetto all’imposta dovuta sulla base della dichiarazione presentata per l’intero anno in contestazione, giacchè effettuati sulla base della diffusione dei messaggi pubblicitari, ed in relazione alla durata degli stessi, dichiaratamente inferiore a tre mesi, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2.
3.3.2. Ebbene, va osservato, al riguardo, che l’oggetto dell’imposta comunale sulla pubblicità, costituito – in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 1, 3 4 e 5 – dai comportamenti pubblicitari, visivi o acustici, realizzati per il tramite di affissioni su appositi impianti o di altri mezzi, va riferito – contrariamente a quanto assume la resistente, condivisa, sul punto, dal giudice di appello ~ non all’attività di diffusione del messaggio, bensì al mezzo pubblicitario disponibile ed alla relativa potenzialità di uso (v.
Cass. 6446/04, 552/07, 4783/11). Come, del resto, si evince, in maniera inequivocabile, dal riferimento che lo stesso comma 3 dell’art. 12 del decreto cit., opera, nell’indicare il criterio di determinazione dell’imposta per la pubblicità mediante affissioni dirette, alla "superficie complessiva" degli impianti adoperabili dal contribuente, e quindi allo strumento disponibile per la pubblicità, e non all’attività di diffusione dei messaggi pubblicitari, ossia all’effettivo utilizzo di tale strumento.
Pertanto, in difetto di dichiarazioni di variazione specifiche in corso d’anno, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, che – contrariamente a quanto assume la Pubbli Roma s.r.l. – non possono riguardare le affissioni effettuate nell’anno e la loro durata, onde fruire della riduzione di imposta di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2, bensì l’effettiva disponibilità degli impianti fissi utilizzabili per la pubblicità e le loro dimensioni, correttamente il Comune commisura l’entità dell’imposta alla tipologia degli impianti oggetto dell’originaria dichiarazione annuale, ed all’intero arco dell’anno cui si riferisce detta dichiarazione.
3.3.3. Ebbene, nel caso concreto, è evidente che avendo la Pubbli Roma s.r.l. effettuato la dichiarazione di pubblicità in relazione ad impianti fissi per l’anno 2003 (non risulta, invero, contestata dal Comune l’abusività di detti impianti), in difetto di specifiche e dettagliate dichiarazioni di variazione D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 8, in relazione ad eventuali impianti dismessi ed alla conseguente cessazione – in tutto o in parte – dell’attività pubblicitaria, legittimamente il Comune di Roma ha commisurato l’imposta a quanto dichiarato in origine dalla società contribuente, in relazione agli impianti di affissione disponibili per tutto l’anno.
Ed infatti, in mancanza di successive precisazioni in modifica da parte della Pubbli Roma s.r.l., circa la superficie esposta o il tipo di pubblicità effettuata, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 8, commi 2 e 3, non poteva l’ente pubblico che presumere la potenzialità d’uso di detti impianti per tutto l’anno 2003, in conformità alla concessione in uso alla contribuente, tenuto conto, altresì, del fatto che -come dianzi detto – l’oggetto del tributo in parola va individuato nella mera disponibilità del mezzo pubblicitario, e non già nell’attività di diffusione dei messaggi di pubblicità, mediante l’uso effettivo di tali impianti. Del tutto irrilevanti sono, pertanto, da ritenersi – al contrario di quanto ritenuto dalla CTR – le dichiarazioni che, nel corso dell’anno 2003, la contribuente assume di avere effettuato, giacchè aventi ad oggetto, per sua stessa ammissione, non la disponibilità effettiva degli impianti fissi (e cioè, il loro eventuale, parziale o totale, smobilizzo), costituente l’oggetto del tributo in parola, bensì "le caratteristiche, la durata della pubblicità e l’ubicazione dei mezzi pubblicitari che si andavano ad utilizzare".
3.3.4. Per quanto attiene, poi, alla prova della superficie netta disponibile, che, ai sensi del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, costituisce il parametro per la determinazione dell’imposta, va osservato che del tutto legittimamente il Comune provvede alla liquidazione del tributo sulla base del contenuto della dichiarazione (iniziale o di variazione) che il contribuente è tenuto a presentare a norma del successivo art. 8, senza necessità di procedere, per ogni dichiarazione, ad un’attività istruttoria di accertamento (Cass. 6446/04, 16117/07, 27900/09).
Va, per vero, osservato in proposito che la superficie degli impianti assoggettabile ad imposizione è da intendersi – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7 – quella comunque disponibile ed utilizzabile dal contribuente, comprensiva delle cornici, a prescindere dall’utilizzo effettivo che di detta superficie il contribuente medesimo abbia a fare. Ed infatti, va considerato – come dianzi detto – che l’oggetto del tributo in parola non è riferito all’attività di diffusione del messaggi, che in concreto può anche mancare, ma al mezzo all’uopo disponibile per il contribuente, atteso che l’art. 7 del D.Lgs. cit., assume come parametro per la determinazione dell’imposta la "superficie minima della figura geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi in esso contenuti", e quindi anche se tale numero sia pari a zero, sì da corrispondere alla mancata utilizzazione effettiva dell’impianto.
L’oggetto del tributo va riferito, pertanto, al mezzo pubblicitario disponibile in tutti gli elementi che lo compongono, anche se non effettivamente utilizzato per la diffusione dei messaggi pubblicitari; fatto salvo il caso in cui il contribuente fornisca, in concreto, la prova che le cornici svolgano una funzione di mero sostegno, quali "superfici tecniche" esenti da imposta, non ricomprese nel calcolo della superficie soggetta a tassazione, in quanto strutturali al mezzo e prive di finalità pubblicitarie (cfr.
Cass. 6446/04, 16117/07, 1161/08, 27900/09).
Tuttavia, nel caso concreto, tale dimostrazione non risulta fornita dalla Pubbli Roma s.r.l., come si evince dalla stessa decisione di appello, del tutto laconica sul punto, essendosi la CTR limitata ad una mera enunciazione di principio circa l’esenzione incondizionata da imposta delle cornici, in quanto elementi accessori dell’impianto, del tutto errata per le ragioni suesposte, senza operare il necessario accertamento di fatto circa l’effettivo impiego di tali elementi strutturali negli impianti in uso, nel caso di specie, alla contribuente.
Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso proposto dall’ente territoriale non può che essere accolto.
4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
5. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a carico della resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo.
Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente;
condanna la resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012
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