Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-07-2012, n. 12664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La opposizione proposta da SINTOFARM Farmaceutici s.p.a.

(successivamente trasformata in s.r.l. a socio unico) avverso l’avviso di accertamento notificato dall’Ufficio di Guastalla della Agenzia delle Entrate – con il quale venivano determinate per l’anno 2003 maggiori imposte dirette ed indirette nonchè irrogate le relative sanzioni pecuniarie per complessi Euro 910.279,00 – veniva accolta dalla sentenza della CTP di Reggio Emilia n. 201/1/2007, successivamente integralmente riformata dalla Commissione tributaria della regione Emilia Romagna con sentenza del 15.10.2009 n. 130.

I Giudici di secondo grado accoglievano l’appello dell’Ufficio finanziario rilevando che la verifica fiscale conclusasi con la redazione del PVC era stata condotta in contraddittorio con la società contribuente che era stata posta in grado – come risultava anche dalle difese svolte con nel ricorso introduttivo – di conoscere compiutamente le ragioni ed i motivi su cui si fondava l’accertamento. Nel merito dichiaravano legittimo l’avviso di accertamento in quanto a fronte delle analitiche contestazioni in esso contenute, concernenti la violazione del principio di competenza per indebite detrazioni relative a precedenti periodi di esercizio, la società non aveva fornito argomenti giustificativi.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dalla società contribuente con undici mezzi.

La Agenzia delle Entrate non ha depositato controricorso limitandosi alla sola partecipazione alla udienza di discussione.
Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata;

La CTR della Emilia Romagna dopo aver richiamato alcuni principi di diritto in tema di bilanci societari ed avere definito il thema controversum nella "ammissibilità in detrazione di costi non di competenza", ha ritenuto fondate le "analitiche censure sollevate dall’Ufficio tanto nel proprio processo verbale di constatazione, quanto nel successivo atto di accertamento" in ordine a "detrazioni indebitamente effettuate in erronei periodi di imposta", atteso che la società non aveva saputo contrapporre con la impugnazione fondati argomenti, e la sentenza di prime cure non aveva fornito "una convincente interpretazione della fattispecie sottoposta al suo esame".

2. Esame del primo e secondo motivo;

Entrambi i motivi debbono essere esaminati congiuntamente in quanto rivolti a contestare il disconoscimento – operato con l’avviso di accertamento dichiarato legittimo dalla CTR – di iscrizione nella dichiarazione presentata a fini IRPEG relativa all’anno 2003, di sopravvenienze passive determinate in conseguenza della definitiva perdita di crediti vantati verso terzi, per il complessivo importo di Euro 113.530,00.

In ottemperanza al requisito di autosufficienza la parte ricorrente ha riportato sinteticamente nel ricorso il contenuto dell’avviso di accertamento, nella parte concernente la indicata sopravvenienza passiva, dal quale emerge che l’Ufficio finanziario ha negato la deducibilità della componente negativa di reddito d’impresa, per violazione del principio di competenza di cui all’art. 66, comma 2, e art. 75 TUIR (testo vigente pro tempore, attuale art. 109 TUIR) in ordine alle seguenti voci:

a) – accrediti insoluti per 547,00 relativi ad imposte versate su interessi attivi di c/c, relativi ad anni precedenti al 2003, (che la società assume di aver contabilizzato solo nel 2003 quando ha avuta certezza della inutilizzabilità di tali crediti);

b) – crediti insoluti per Euro 3.842,88 vantati verso banche per erronei conteggi di saldi bancari relativi ad anni precedenti al 2003 (che la società assume di aver rilevato contabilmente solo nel 2003 a seguito della chiusura dei conti correnti);

c) – crediti insoluti per Euro 85.990,00 aventi ad oggetto la restituzione di anticipi su provvigioni erogate dalla società ai propri agenti durante l’anno 2000 in base a contratti di agenzia successivamente risolti, in ordine ai quali l’Ufficio non ha reperito "documentazione attestante tentativi di recupero" tali da legittimare ex art. 75 TUIR il differimento della certezza della perdita del recupero soltanto nel 2003 (e che la società assume di aver portato in deduzione dai redditi solo nel 2003 pur avendo risolto i rapporti di agenzia nel 2001 al fine do potere acquisire la ragionevole certezza della perdita di tali crediti);

d) – omessa ricezione di note di accredito per Euro 23.150,00 che avrebbero dovuto essere emesse dal fornitore GlaxoSmithKline s.p.a.

in anni precedenti al 2003 (che la società ha contabilizzato nel 2003 in quanto la perdita era emersa con certezza solo a seguito del controllo delle giacenze del magazzino della Glaxo – acquistato da Sintofarm nel 2001 – ed a seguito della definizione dei rapporti commerciali tra le due società al termine dell’anno 2002).

2.1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa ed insufficiente motivazione della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo i Giudici di merito fondato la decisione su argomenti apodittici e tautologici e senza esaminare singolarmente i differenti rilievi contenuti nell’avviso di accertamento (debitamente trascritto), contestati specificamente dalla società con i motivi del ricorso introduttivo, nuovamente sottoposti all’esame del Giudice di secondo grado con Patto di costituzione depositato in grado di appello.

2.2 In relazione al disconoscimento delle medesime sopravvenienze passive, con il secondo motivo, la società denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

2.2a – la violazione dell’art. 324 c.p.c., per omessa rilevazione da parte della CTR del giudicato interno formatosi sulla pronuncia di primo grado favorevole ala società concernente la deducibilità delle sopravvenienze indicate alle precedenti lettere a), b) e d), in quanto l’appello dell’Ufficio avrebbe investito esclusivamente il capo relativo alla deduzione della sopravvenienza passiva (supra lett. c) costituita dalla perdita dei crediti di restituzione degli anticipi delle provvigioni erogate agli agenti (per Euro 85.990,07), con la conseguenza che la pronuncia della CTP, favorevole alla società, sulle altre sopravvenienze sarebbe divenuta definitiva;

2.2b – la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in quanto, avendo l’Ufficio impugnato la sentenza della CTP solo sul capo relativo alla sopravvenienza passiva indicata (credito restituzione anticipi provvigioni), l’appello avrebbe dovuto essere ritenuto inammissibile dalla CTR "per mancanza di motivi specifici relativi alle altre sopravvenienze riconosciute dalla CTP. 2.2c – la violazione degli artt. 66 e 75 TUIR in quanto l’Ufficio finanziario avrebbe illogicamente argomentato che le perdite dei crediti in questione (restituzione anticipi provvigioni) si sarebbero determinate alternativamente nel 2002 o nel 2004, e pertanto la CTR aderendo pedissequamente a tale tesi sarebbe incorsa in errore di diritto nella applicazione delle predette norme che richiedono invece che la deduzione della sopravvenienza passiva venga effettuata esclusivamente nell’anno in cui la stessa si è verificata, non consentendo alcuna scelta di tipo alternativo sulla individuazione dell’anno di competenza.

2.3 Pregiudiziale appare l’esame del secondo motivo.

Premesso che la proposizione della eccezione di giudicato interno per mancata impugnazione di alcuni capi di sentenza – che postula una assenza di domanda sul capo di sentenza, dovendo ritenersi la pronuncia adottala in violazione della preclusione del giudicato affetta dal vizio processuale di extrapetizione, si pone in relazione di evidente alternatività con la eccezione di inammissibilità del motivo di impugnazione per difetto di specificità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53, – che postula, al contrario, la proposizione di una domanda: il capo della sentenza è stato impugnalo ma il motivo è inidoneo, per ditetto del requisito di "specificità", ad investire del nuovo esame il Giudice di merito, il motivo di ricorso si palesa manifestamente inammissibile tanto con riferimento alla censura (2.2.a) avente ad oggetto la eccezione di giudicato interno, quanto con riferimento alla censura (2.2.b) avente ad oggetto la inammissibilità del motivo di gravame.

La società ricorrente (che ha erroneamente rubricato il vizio di legittimità come "error in judicando", anzichè come vizio di nullità afferente l’attività svolta nel processo ascrivibile ai paradigma dell’"error in procedendo" ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) ha, infatti, omesso sia di individuare e riportare le statuizioni dei capi della sentenza di prime cure – nei confronti dei quali sarebbe mancata la impugnazione ovvero i motivi proposti risulterebbero privi di specificità, sia di trascrivere per esteso il contenuto dell’atto di appello dell’Ufficio, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione de fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione, tanto più considerando che dalla sentenza impugnata emerge che l’Ufficio finanziario aveva proposto impugnazione ""con l’indicazione precisa degli errori in cui sarebbe… incorsa la Commissione di primo grado nel rendere la pronunzia appellata, fino a concludere per la sua integrale riforma" (cfr. sentenza pag. 2). con ciò implicitamente intendendo che i motivi dell’atto di appello avevano "specificamente" investito la sentenza di primo grado "nella sua interezza".

Nè può soccorrere alla ricorrente la diversa qualificazione giuridica del vizio di legittimità come "error in procedendo" – in relazione al quale la Corte è anche "giudice del fatto", potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, atteso che come è stato ripetutamente affermato anche in quel caso si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Corte cass. 3^ sez. 23.1.2006 n. 1221; id.

sez. lav. 7.3.2006 n. 4840; iti. 5^ sez. ord. 23.7.2009 n. 17253), essendo pertanto tenuta la parte ricorrente ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame, affinchè il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte cass. sez. lav. 21.5.2004 n. 9734;

id. sez. lav. 23.3.2005 n. 6225).

In particolare ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Corte cass. 1^ sez. 20.9.2006 n. 20405;

id. sez. lav. 10.11.2011 n. 23420; id. 3^ sez. 10.1.2012 n. 86).

Nè può ritenersi ostativa alla verifica preliminare di ammissibilità del motivo la rilevabilità ex officio della nullità processuale in ogni stato e grado del giudizio (in quanto, nella specie, riconducibile ai limiti dell’esercizio della "potestas judicandi"), atteso che ove il rilievo officioso sia determinato, non da vizi di nullità inerenti gli atti processuali concernenti il giudizio di legittimità (ricorso, sentenza impugnata, controricorso, ricorso incidentale) direttamente sottoposti all’esame della Corte, ma da vizi di nullità afferenti atti processuali dei precedenti gradi di giudizio di merito – in ordine ai quali il rilievo officioso della Corte non può che essere sollecitato dall’impulso di parte attraverso il necessario esercizio del potere di allegazione, la indagine ed il controllo su tali atti potranno essere svolti dalla Corte, non in base a qualsiasi generica deduzione di nullità, formulata dalla parte in termini meramente assertivi, ma -in conformità al requisito di autosufficienza del ricorso che trova fondamento normativo nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) soltanto a seguito di una specifica allegazione dei fatti processuali e dunque di una completa ricostruzione della vicenda processuale attraverso la trascrizione del contenuto di quegli atti che, in relazione alla sequenza processuale, consentono di fornire una chiara rappresentazione del vizio denunciato (cfr. Corte cass. sez. lav.

20.5.2008 n. 12746 che subordina i rilievo di ufficio delle nullità al rispetto del principio di autosufficienza del ricorso).

La omessa trascrizione del contenuto dell’atto di appello non consente, del pari, di verificare il presupposto di fatto sul quale è fondata la terza censura indicata sopra al punto 2.2c), anch’essa dedotta con il motivo in esame (con la quale si deduce la assenta violazione dell’art. 75 TUIR, da parte della CTR in ordine alla statuizione, non espressamente risultante dalla sentenza di appello ma che deriverebbe, secondo la ricorrente, dalla motivazione "per relationem" agli argomenti sostenuti dall’Ufficio nel proprio atto di appello, per cui le sopravvenienze passive in questione avrebbero potuto essere dedotte tanto nel l’anno 2002 quanto nell’anno 2004), andando incontro, pertanto, tutte e tre le censure formulate dalla società ricorrente, alla sanzione della inammissibilità che preclude l’esame della fondatezza del motivo di ricorso.

2.4 Deve quindi procedersi all’esame del primo motivo di ricorso con il quale la sentenza di appello è stata impugnata per vizio motivazionale.

2.4.1 Costituisce principio costantemente affermato dalla Corte quello per cui il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5), deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni in cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell’indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell’insanabile contrasto degli stessi.

Con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisti, poichè tali aspetti di giudizio, essendo interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (cfr Corte cass. 2^ sez. 6.10.1999 n. 11121; id. sez. lav. 22.2.2006 n. 3881). Ed infatti in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorie le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Corte cass. sez. lav. 15.7.2009 n. 16499).

Tale valutazione probatoria – che attiene al merito ed è insindacabile dal Giudice di legittimità ove esente da vizi logici – deve trovare supporto in argomenti la cui esternazione, nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum, deve rispondere ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento ai principi di completezza, di causalità logica (secondo lo schema induttivo – deduttivo) e di non contraddizione.

La motivazione della sentenza deve articolarsi a tal fine in una sequenza passaggi logici che possono schematicamente scomporsi:

1 – nella ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il "thema probandum" della fattispecie concreta oggetto della controversia; 2 – nella individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e nella selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice; 3 – nella indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della "regula iuris" al rapporto controverso). La carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un "vulnus" al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111 Cost. comma 6), che può spaziare, secondo la gravita, dal vizio di insufficienza logica (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ed all’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1).

Più in generale deve ravvisarsi i vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. 5^ sez. 16.7.2009 n. 16581; id. 1^ sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr.

Corte cass. 5^ sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico – argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. 3^ sez. 3.11.2008 n. 26426. con riferimento al ricorso ex art. 111 Cost.: id. sez. lav.

8.1.2009 n. 161).

2.4.2 Da tali principi non deroga la sentenza motivata "per relationem", mediante rinvio alle ragioni di diritto rinvenibili nel corpo motivazionale di un distinto atto espressamente richiamato nella sentenza (rinvio che può essere operato, tanto con riferimento alla decisione di prime cure – nel caso di sentenza di appello, quanto – più in generale – con riferimento al contenuto dell’atto impugnato con azione costituiva ovvero al contenuto degli atti processuali di parte – nella ipotesi in cui la sentenza aderisca alle tesi giuridiche in essi sviluppate, o ancora mediante rinvio al contenuto del verbale istruttorio, della relazione tecnica depositata dall’ausiliario o di altri documenti prodotti in giudizio): anche in questo caso, infatti, la sentenza deve assolvere al requisito motivazionale mediante esplicitazione dell’itinerario argomentativo, ricavabile dalla integrazione dei due corpi motivazionali, che deve dare conto dell’esame critico delle questioni già risolte nell’atto richiamato e della idoneità delle stesse a fornire la soluzione anche alle questioni che devono essere decise (cfr. Corte cass. 2^ sez. 4.3.2002 n. 3066; id. 1^ sez. 14.2.2003 n. 2196; id. 3^ sez. 2.2.2006 n. 2268), diversamente incorrendo la sentenza nell’indicato vizio di legittimità, come accade quando il giudice non precisi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e "per relationem", al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè disamina logico – giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Corte cass. sez. lav. 21.12.2010 n. 25866).

2.4.3 Tanto premesso la censura formulata dalla società ricorrente è fondata.

La sentenza della CTR motiva infatti "per relationem" al contenuto dell’avviso di accertamento (cui presta adesione), nonchè al contenuto dell’atto di appello ed alla motivazione della sentenza di primo grado (dei quali invece disconosce la fondatezza degli argomenti svolti), omettendo del tutto, tuttavia, non solo di riprodurre o riferire le parti essenziali di detti atti, ma anche di esplicitare il ragionamento critico volto a giustificare la adesione ed il rifiuto delle opposte ragioni di diritto espresse, rimanendo impedita, pertanto, la verifica delle premesse in fatto ed in diritto del "decisum" che viene ad essere fondato esclusivamente su affermazioni meramente assertive, non essendo evincibili le ragioni per cui la deduzione nell’anno di esercizio 2003 delle diverse sopravvenienze passive individuate partitamente nell’avviso di accertamento debba ritenersi, nella specie, violativo del principio fiscale – contabile della competenza.

La sentenza pertanto deve essere cassata in parte qua affinchè nel giudizio di rinvio si provveda ad emendare la riscontrata carenza motivazionale.

3. Con il terzo e quarto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tendenti ad inficiare il medesimo capo di sentenza – la società impugna la sentenza per omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione al mancato riconoscimento di componenti negativi di reddito per Euro 879.955,00 (consistenti in danni patrimoniali subiti da Sintofarm in dipendenza della esecuzione dei rapporti commerciali intrattenuti con Glaxo s.p.a.) e per "conseguente"" violazione delle norme di diritto – artt. 66 e 75 TUIR, nel testo vigente al tempo – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la affermazione dei Giudici secondo cui i rilievi dell’Ufficio "colgono nel segno visto che si fondano proprio su detrazioni indebitamente effettuate in erronei periodi di imposta"" (e dunque la perdita non poteva essere registrata nell’anno 2003) era del tutto generica e priva di riferimenti concreti alla specifica voce contabile e comunque non supportata da adeguata giustificazione logica in considerazione dei numerosi documenti prodotti dalla società che attestavano la protrazione nel tempo e la complessità dei rapporti contrattuali dai quali erano derivati i danni patrimoniali accertati nella loro esatta consistenza nell’anno 2003.

Dalla esposizione del motivo emerge che l’Ufficio aveva, infatti, contestato (come risulta dalla trascrizione de motivo di gravame a ag. 28 – 29 ricorso) la contabilizzazione nell’anno 2003 di componenti negativi inerenti ad operazioni fatturate nell’anno 2002 ed oggetto di storno nell’anno 2003 con apposita scrittura in partita doppia, ritenendo che nell’anno 2002, di competenza, erano compiutamente individuabili i requisiti di certezza, determinabilità ed inerenza di cui all’art. 75 TUIR. La società assumeva, invece, che le ragioni della deduzione dei costi soltanto nel 2003 trovava giustificazione nella complessità dei rapporti commerciali intercorsi nei precedenti anni con Glaxo s.p.a. aventi ad oggetto contratti estimatori e di concessione di vendita in esclusiva di prodotti farmaceutici, in relazione ai quali Sintofarm vantava crediti per risarcimento danni – compendiati nella nota in data 11.2.2002, prodotta nei gradi di merito, cui erano seguiti tra le due società tentativi di composizione transattiva che si erano protratti nel corso dell’anno – concernenti inattese riduzioni di prezzo imposte da precedenti contratti in cui era subentrata la commissionaria e da variazioni in diminuzione dei prezzi di rivendita agii enti ospedalieri determinati autoritativamente con provvedimenti del Ministro della Sanità in data 1.9.2001 e 1.12.2001, nonchè da ritardate o mancate consegne di forniture di farmaci, e da richiesta di emissione di note di accredito per recupero di corrispettivi ed IVA indebitamente corrisposti su fatture erroneamente emesse da Glaxo s.p.a. nell’anno 2001 (rispettivamente in data 11.9 e 8.10.2001) relative ai campioni di farmaci gratuiti da destinare alla propaganda ed alla informazione scientifica.

Premesso che la concorrente denuncia del vizio motivazionale e del vizio di errore di diritto, si pone sul piano della oggettiva incompatibilità – il primo vizio presupponendo la carente ricostruzione in fatto della fattispecie controversa, implicando al contrario il secondo vizio la esatta rilevazione della fattispecie concreta, cadendo Terrore sulla individuazione od inesatta interpretazione della norma applicata, ne consegue che il vizio dedotto con il quarto motivo – violazione della norma di diritto, in quanto configurato come una "mera conseguenza" dell’errore in fatto presupposto, è destituito di ogni autonoma rilevanza, e dunque va dichiarato inammissibile, venendo a risolversi integralmente nel vizio di omessa motivazione (cfr. Corte cass. 3^ sez. 7.5.2007 n. 10295; id. SU 25.11.2008 n. 28054; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698;

id. 1^ sez. 23.9.2011 n. 1944).

Tanto premesso rileva il Collegio che la critica che viene svolta dalla ricorrente, in punto di omessa motivazione in relazione alla deducibilità delle perdite derivanti dai rapporti con Glaxo s.p.a.

deve ritenersi fondata per le medesime ragioni già esposte nel precedente paragrafo 2.4.3. La motivazione "per relationem" della sentenza impugnata, non soddisfa, infatti, ai requisiti minimi di individuazione dell’iter argomentativo posto a fondamento della decisione, limitandosi a rinviare – senza svolgere alcun esame critico delle contrapposte difese delle parti in ordine alla specifica componente negativa di reddito – ad atti il cui contenuto non è neppure in sintesi riprodotto, così impedendo i dovuto controllo sulle ragioni della decisione.

4. Con il quinto e sesto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tendenti ad inficiare il medesimo capo di sentenza – la società impugna la sentenza per insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in relazione al mancato riconoscimento di componenti negativi di reddito per Euro 39.221,00 (concernenti le spese sostenute dalla società per la stipula di contratti di noleggio full service di autovetture destinate ai propri collaboratori assunti con contratti Co.co.co.), nonchè per violazione della L. n. 342 del 2000, art. 34, artt. 75 e 121 bis TUIR (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la pronuncia dei Giudici di appello non fornirebbe alcuna spiegazione delle ragioni per cui non poteva ritenersi equiparabile il trattamento fiscale della deducibilità delle spese sostenute per beni, nella specie autovetture, posti a disposizione dei "dipendenti" assunti contratto di lavoro subordinato, e posti a disposizione del personale assunto con contratto coordinato e continuativo (COCOCO).

Anche in questo la censura di carenza motivazionale (inammissibile per la rilevata incompatibilità la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è fondata.

La questione controversa si presentava, infatti, in modo peculiare rispetto a precedenti rilievi formulati dall’Ufficio nell’avviso di accertamento in ordine alle altre sopravvenienze passive: in questo caso l’Ufficio contestava la stessa entità della deduzione della componente negativa di reddito, alla stregua del combinato disposto dell’art. 47, comma 1, lett. c-bis), – come modificato dalla L. n. 342 del 2000, art. 34, – e art. 121 bis TUIR, sostenendo la non deducibilità delle spese per autovetture "ad uso promiscuo" destinate a lavoratori autonomi (co.co.co.) anzichè a dipendenti assunti con contratto di lavoro subordinato.

Dalla sentenza risulta che il Giudice di merito ha motivato in modo del tutto inconferente rispetto a tale specifica questione, limitandosi ad adottare genericamente ed illogicamente per tutte le voci costituenti i differenti componenti negativi di reddito disconosciti dall’Ufficio con l’avviso di accertamento, la medesima stereotipa ed inesplicata statuizione secondo cui la detrazione di tali spese nell’anno 2003 non era conforme al principio di competenza ex art. 75 TUIR. La sentenza impugnata deve in conseguenza essere cassata anche in relazione al motivo in esame.

5. Con il settimo motivo la società ricorrente impugna la sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), per omessa motivazione e contestuale violazione dell’art. 75 TUIR, comma 4, nel testo vigente al tempo, in ordine al mancato riconoscimento della deducibilità della spesa di Euro 634,00 sostenuta per rimborso delle somme versate dalla società di leasing per sanzioni pecuniarie irrogate in dipendenza di violazioni al Codice della Strada commesse dai dipendenti della società ricorrente nell’uso promiscuo delle vetture loro assegnate.

L’Ufficio nell’avviso di accertamento ha contestato la deducibilità della spesa in quanto la sanzione pecuniaria non inerisce all’esercizio della attività di impresa ma è la conseguenza di una condotta violativa di norme. Il rilievo formulato nell’avviso di accertamento concerneva pertanto non la imputazione cronologica ma la inerenza della spesa.

Anche in questo caso (inammissibile la censura per violazione di norma di diritto per incompatibilità ontologica tra i dedotti vizi di legittimità) la sentenza impugnata risulla, pertanto, gravemente deficitaria nell’apparato motivazionale, dovendo ritenersi fondato il motivo in relazione al vizio denunciato dalla società ricorrente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Risulta infatti del tutto manifesta la incongruità, rispetto alla specifica questione controversa, della ripetuta affermazione resa in sentenza secondo cui la detrazione non rispondeva al principio di competenza ex art. 75 TUIR, del tutto inidonea a giustificare la soluzione di accoglimento dell’appello dell’Ufficio in ordine alla indeducibilità della componente negativa di reddito.

6. Con l’ottavo ed il nono motivo – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tendenti ad inficiare il medesimo capo di sentenza – la società deduce contestualmente il vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla questione – devoluta al Giudice di secondo grado con motivo di gravame proposto dall’Ufficio – del mancato riconoscimento del costo di Euro 50.000,00 sostenuto per corrispettivi annuali erogati a Sintofarm s.p.a. per "servizi" prestati alla attuale ricorrente Sintofarm Farmaceutici s.r.l. e consistenti nell’utilizzo di locali e strutture per il triennio 2003 – 2005, spesa documentata dalla lettera commerciale 20.9.2002 (mentre la ricorrente ha omesso di indicare se e quando l’altra lettera 27.9.2002 di accettazione della proposta contrattuale sia stata prodotta nei precedenti gradi di merito) e la violazione dell’art. 75 TUIR. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Nell’avviso di accertamento l’Ufficio contestava la deducibilità della spesa in quanto la somma pattuita non appariva coerente con quella indicata in analogo contratto stipulato negli anni precedenti, atteso che a fronte di un incremento dei servizi richiesti nell’anno 2003 l’importo forfetario del corrispettivo veniva illogicamente ad essere ridotto (da L. 150.000,00 ad Euro 50.000,00) "senza agganciarlo ad alcun criterio aggettivo di determinazione".

Inammissibile – per la rilevata incompatibilità ontologica tra i due vizi di legittimità – la censura di violazione di norme di diritto, il motivo con il qual si deduce il vizio motivazionale della sentenza è fondato: anche in questo caso, infatti, deve riscontrarsi la carenza di motivazione in quanto la "ratio decidendi" della CTR, fondata sulla violazione del principio di competenza ex art. 75 TUFR risulta palesemente inconferente a sostenere la decisione di indeducibilità della spesa in questione.

7. Con i motivi dieci ed undici – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tendenti ad inficiare il medesimo capo di sentenza- la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5), e la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 19 bis, relativamente al mancato riconoscimento della detrazione dell’IVA – pari ad Euro 30.047,00 – versata sulla fattura emessa dalla controllante Sintofarm s.p.a. per corrispettivi di Euro 150.000,00 dovuti per prestazioni di servizi erogati a favore della ricorrente Sintofarm Farmaceutici s.r.L..

L’Ufficio nell’avviso di accertamento contestava che la società non aveva fornito documentazione comprovante le prestazioni di servizi effettuate, sicchè risultava impossibile verificare la natura degli stessi e la inerenza della spesa alla attività di impresa, non assumendo rilevanza la lettera 20.9.2002 che concerneva un successivo periodo di imposta diverso da quello oggetto di contestazione (2003).

La società sostiene al contrario che per la detrazione IVA in relazione alla spesa sostenuta per prestazioni di servizio inerenti l’attività della impresa, non occorre produrre alcun contratto scritto essendo sufficiente la fattura; inoltre il sindacato dell’Amministrazione finanziario non potrebbe estendersi alla congruità della spesa in quanto la determinazione del quantum dovuto per le prestazioni erogate sarebbe rimesso alla libera autonomia delle parti.

Il motivo, nella parte in cui deduce il vizio di motivazione, è fondato (inammissibile il "doppio" vizio di violazione di norme di diritto).

La affermazione della violazione del principio di imputazione dei componenti negativi di reddito all’esercizio di competenza è manifestamente inidonea a risolvere la diversa questione di merito concernente la inerenza della spesa documentata in fattura che richiedeva al Giudice di appello di assumere una posizione critica verificabile in ordine alla specifica questione ed alla efficacia probatoria dei documenti prodotti dalla società a dimostrazione della strumentalità e della congruità della spesa.

8. In conclusione il ricorso trova accoglimento, quanto ai dedotti vizi di motivazione, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della medesima Commissione tributaria della regione Emilia – Romagna affichè provveda ad emendare le lacune logiche riscontrate, liquidando anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della medesima Commissione tributaria della regione Emilia – Romagna affichè provveda ad emendare le lacune logiche riscontrate, liquidando anche le spese del presente giudizio.

Così deciso in Ancona, nella Camera di Consiglio il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *