Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-01-2013) 06-03-2013, n. 10280

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

1. Con sentenza 20.9.2010, il Tribunale di Chieti ha ritenuto M.D. colpevole della contravvenzione di cui alla L. n. 150 del 1992, art. 6, commi 1, 2 e 4 (detenzione illegale di due orsetti lavatori costituenti pericolo per la salute e l’incolumità) e l’ha condannata, con le attenuanti generiche, alla pena di Euro 7.000,00 di ammenda, concedendo altresì la sospensione condizionale.

Il Giudice di merito ha fondato il giudizio di responsabilità in ordine al reato contestato sulla deposizione della Guardia Forestale P.A. che aveva riferito della detenzione, da parte dell’imputata, di due orsetti lavatori, ospitati in una gabbia metallica sita nel giardino dell’abitazione del coniuge e della mancanza dell’apposita autorizzazione prefettizia. La Corte ha rilevato che la detenzione da parte dell’imputata era stata riferita da lei stessa e dal proprio coniuge ai verbalizzanti al momento del sequestro.

2. La sentenza è stata impugnata sia dalla M. che dal Procuratore Generale della Repubblica davanti alla Corte d’Appello di L’Aquila che, qualificando l’atto come ricorso per cassazione, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte Suprema.

2.1 Con un primo motivo la M. lamenta la violazione dell’art. 350 c.p.p., commi 6 e 7 deducendo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste P.A., ufficiale di PG, ed aventi ad oggetto le ammissioni da lei rese nella immediatezza del fatto. Osserva che, come emerge dal verbale di sequestro, la propria abitazione è sita in (OMISSIS) e non (OMISSIS) (civico corrispondente al giardino di proprietà del marito in cui sono stati rinvenuti gli animali). Dalla inutilizzabilità di detta deposizione discende, ad avviso della M., la mancanza di prova della detenzione al di la di ogni ragionevole dubbio.

2.2 Con un secondo motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 195 c.p.p., commi 1 e 3 deducendosi l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del coniuge dell’imputata, soggetto terzo, neppure escusso in dibattimento quale teste di riferimento ai sensi dell’art. 507 c.p.p..

2.3 Con l’ultimo motivo la ricorrente denunzia la contraddittorietà della motivazione rilevando che il primo giudice ha commesso delle forzature del sistema laddove ha attributo all’imputata la responsabilità per la detenzione degli animali che si trovavano nella proprietà di un soggetto estraneo al processo.

2.4 Il Pubblico Ministero invece denunzia la mancanza di motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche.

Motivi della decisione

L’impugnazione di sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda e come tale inappellabile (art. 593 c.p.p., comma 3) va senz’altro qualificata come ricorso per cassazione per il principio del favor impugnationis e di conservazione degli atti processuali (art. 568 c.p.p.).

Nel caso di specie, quindi, l’impugnazione contro la sentenza del Tribunale di Chieti proposta dal difensore dell’imputata e dalla parte pubblica, correttamente sono state inoltrate a questa Corte.

Ciò premesso, entrambi i ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.

Ricorso M.:

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La sanzione di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (cfr. Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009 Cc. dep. 10/06/2009 Rv. 243417).

Nel caso di specie, si è certamente al di fuori di tale ipotesi perchè, come accertato dal giudice di merito, la M. rese le sua dichiarazioni in occasione del sopralluogo del Corpo Forestale dello Stato (intervenuto su segnalazione dei Carabinieri di Caramanico riguardante due orsetti lavatori fuggiti più volte dall’abitazione dell’imputata): è chiaro quindi che prima dell’escussione, non risultavano ancora acquisiti indizi non equivoci a carico della M. che ne avrebbero resa necessaria l’audizione con le garanzie difensive. D’altro canto l’imputata non ha mai dedotto il contrario.

2. Quanto al secondo motivo, riguardante la mancata escussione del marito dell’imputata, teste di riferimento, e di conseguenza la impossibilità di assumere come prova certa le dichiarazioni da lui rese alla polizia giudiziaria, va osservato che non risulta dedotta una preventiva richiesta di parte e quindi il giudice non era tenuto affatto a disporne la deposizione, ma al più ne aveva facoltà (cfr.

al riguardo art. 195 c.p.p., commi 1 e 3).

3. Venendo infine all’esame del terzo motivo, riguardante il vizio motivazionale, va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; cass. 6.6-06 n. 23528).

L’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).

Nel caso di specie, il giudice di merito (sulla scorta della segnalazione dei Carabinieri e delle risultanze del sopralluogo svolto dalle guardie forestali) ha dato atto delle ripetute fughe degli animali, della presenza di una gabbia nel contiguo giardino del marito della M. (di cui peraltro non è mai stato messo in dubbio il rapporto di convivenza) e dell’ammissione dell’imputata in ordine all’accudimento delle bestie da parte sua, rilevando che solo in dibattimento essa ha mutato la versione dei fatti addossando alla suocera la responsabilità del mantenimento degli animali. Infine, ha dato atto della mancanza della prescritta autorizzazione amministrativa di cui al D.M. 19 aprile 1996 e della conseguente sussistenza del reato di cui alla L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 6.

In definitiva, il percorso argomentativo seguito dal Tribunale appare logicamente coerente, sicchè appare del tutto privo di rilevo il fatto che la gabbia si trovasse nella proprietà di altri soggetti, perchè elemento costitutivo del reato di cui alla L. n. 150 del 1992, art. 6, comma 1 è appunto la mera "detenzione" di esemplari vivi di animali selvatici che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica, ossia un semplice rapporto materiale o di fatto con l’animale, rapporto di cui, come si è visto, il giudice di merito ha dato sufficientemente conto.

Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecunia ria ai sensi dell’art. 616 c.p.p. nella misura indicata in dispositivo.

Ricorso del Pubblico Ministero:

La concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, ed ha la funzione di adeguare la determinazione della pena all’entità dell’episodio criminoso.

Nel caso di specie, il giudice di merito non ha formalmente spiegato le ragioni che giustificavano la concessione delle generiche all’imputata, ma il fatto che abbia considerato gli elementi di cui all’art. 133 c.p. e che sia partito dal minimo della pena edittale prevista per il reato contestato (Euro 7.746,00), induce a ritenere che abbia valorizzato la scarsa gravità del fatto e quindi le ragioni della scelta appaiono agevolmente comprensibili.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna la ricorrente M. D. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *