Cassazione, 28 settembre 2009, n. 38127 Violazione obblighi assistenza familiare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara emessa in data 26 luglio 2005 e appellata dall’imputato R. S., condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in ordine al reato di cui all’art. 570 cp.v. c.p., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie separata, D. R., e alla figlia minore, L., omettendo di corrispondere la somma stabilita dal giudice in sede di separazione a titolo di mantenimento in favore del coniuge e della minore.

Nell’interesse dell’imputato ricorre, contro la sentenza d’appello, l’avvocato Adriano Pavani.

Con il primo motivo deduce la nullità della costituzione della parte civile, per violazione dell’art. 78 c.p.p.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 192 c.p.p., in quanto i giudici di merito non hanno accertato lo stato di bisogno del coniuge e della figlia minore dell’imputato, limitandosi ad affermare che tale presupposto del reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p. risulta provato dalle risultanze processuali, senza alcuna ulteriore specificazione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606 comma lett. d) c.p.p. per la mancata assunzione di un mezzo di prova decisivo, costituito dall’acquisizione del certificato unico dei redditi di lavoro dipendente dell’imputato per gli anni 2001 e 2002, a dimostrazione delle sue condizioni economiche precarie.

Con il quarto motivo assume la manifesta illogicità della motivazione là dove, dopo aver riconosciuto che l’imputato ha continuato a versare in favore della figlia L. la somma di lire 500.000 mensili, ha contraddittoriamente ritenuto la sussistenza dello stato di bisogno della minore; inoltre, rileva una carenza nella motivazione per avere ritenuto lo stato di bisogno della moglie, senza considerare il fatto che la stessa ha potuto pagare un investigatore privato, incaricandolo di svolgere accertamenti nei confronti del marito.

Con il quinto motivo lamenta la mancata applicazione dell’indulto di cui alla legge n. 241/2006 da parte della Corte d’appello di Bologna.

Infine, censura la sentenza impugnata per non aver rilevato l’avvenuta prescrizione del reato.

All’udienza il difensore dell’imputato ha prodotto copia della remissione della querela da parte della D. R..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Preliminarmente va rilevato che la produzione della copia della remissione della querela non ha alcun valore nel presente processo, non solo perché non risulta accettata dall’imputato, ma anche perché il reato contestato risulta commesso anche ai danni di un minore, ipotesi per cui è prevista la procedibilità d’ufficio.

Manifestamente infondato è il primo motivo in quanto, come correttamente osservato dai giudici d’appello, l’atto di costituzione di parte civile è stato regolarmente sottoscritto dal difensore, munito di procura speciale, nel rispetto delle formalità prescritte dall’art. 78 c.p.p.: che poi l’atto sia stato materialmente depositato in cancelleria dalla segretaria del difensore è circostanza del tutto irrilevante, che non incide sulla regolarità della costituzione, dal momento che non è previsto che il procuratore speciale debba procedere al deposito personalmente.

Infondati sono i motivi secondo e quarto, che sotto differenti profili assumono il difetto dello stato di bisogno.

La sentenza impugnata ha specificamente motivato in relazione alla sussistenza dello stato di bisogno delle persone offese, rilevando come l’assegno di lire 500.000 mensili non poteva essere neppure sufficiente a soddisfare “le minime necessità di due persone residenti in una casa in affitto”: si tratta di una valutazione di merito che, essendo supportata da una motivazione che non appare né illogica né incoerente, non può essere censurata in sede di legittimità. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per il genitore obbligato di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi detti mezzi di sussistenza (tra le tante, v. Sez. VI, 2 maggio 2007, n. 20636, Cerasa).

Del tutto infondato è anche il terzo motivo, con cui lamenta la mancata acquisizione delle denunce dei redditi per gli anni 2001-2002. Sul punto la Corte d’appello ha già fornito una adeguata risposta, evidenziando che la documentazione di cui ha chiesto l’acquisizione non giustificava la rinnovazione del dibattimento e, soprattutto, mettendo in rilievo che né in primo grado, né in sede di appello l’imputato ha esibito o chiesto di poter esibire tale documentazione. Sicché il ricorrente non può lamentarsi oggi della mancata assunzione di documenti preesistenti che avrebbe potuto comunque produrre.

Inammissibile è il quinto motivo, poiché la richiesta di applicazione dell’indulto può essere proposta in sede di legittimità soltanto se è stata in precedenza già presentata al giudice del merito che non l’abbia accolta (Sez. IV, 14 novembre 2008, n. 15262, Ugolini).

Infine, infondato è pure l’ultimo motivo con cui si lamenta la mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione. Nel caso di specie trovano applicazione i vecchi termini di prescrizione, precedenti alla riforma di cui alla legge n. 251 del 2005, calcolabili, ex artt. 157 e seg. c.p. vecchia formulazione, in complessivi sette anni e sei mesi per il reato contestato, che risulta commesso fino al omissis, per cui deve escludersi che la prescrizione fosse già intervenuta al momento della sentenza di secondo grado.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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