T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 81

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna il provvedimento del 11. 2. 2010 con cui il Comune di Poncarale ha ordinato la demolizione di opere edilizie abusive che lo stesso aveva realizzato.

Si tratta di una vicenda che era scaturita da un verbale di sopralluogo del 28. 4. 2008 e che aveva già generato contenzioso giurisdizionale tra le parti, in quanto era stato emesso:

– un primo ordine di demolizione poi annullato in autotutela per motivi formali,

– il successivo diniego di condono poi impugnato davanti a questo Tribunale e che viene deciso con separato provvedimento,

– ed infine questo nuovo ordine di demolizione.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto all’opera abusiva sarebbe stata applicata la qualificazione ed il regime sanzionatorio dell’art. 31 dpr 380/01 quando in realtà si verserebbe in ipotesi classificabile sub art. 34 del testo unico, atteso che si tratterebbe di intervento in parziale difformità dal permesso di costruire, e quindi il Comune avrebbe dovuto valutare la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria, anziché quella ripristinatoria.

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per invalidità derivata dalla illegittimità del diniego di condono impugnato con separato ricorso n. 318/09 (i cui motivi sono ripresi per relationem).

Si costituiva in giudizio il Comune di Poncarale, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 15. 12. 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Prima di decidere il diritto occorre una ricognizione dei fatti.

Il ricorrente infatti ha realizzato un deposito di attrezzi agricoli abusivamente, ed ha poi sempre abusivamente trasformato tale deposito attrezzi agricoli in una abitazione in area paesaggisticamente vincolata, e tutto ciò attraverso una successione di attività edilizie che si passa a descrivere:

– con il II condono il ricorrente ha condonato con la destinazione di deposito attrezzi agricoli un locale costruito abusivamente (il condono veniva concesso e rilasciato il 1. 4. 2003),

– con il III condono il ricorrente ha chiesto di condonare la nuova destinazione d’uso del deposito attrezzi con creazione di una cucina soggiorno, un nuovo portico realizzato in adiacenza all’ex deposito attrezzi, un nuovo servizio igienico, nonchè la modifica della copertura del tetto. Con questi lavori si era venuto a creare un ambiente della complessiva larghezza di m. 4.55 e lunghezza tra i metri 9.00 e i m. 7.50;

– in pendenza della domanda di III condono, la situazione si modificava

– il 11. 2. 2008 il ricorrente comunicava infatti al Comune che avrebbe eseguito un intervento di manutenzione ordinaria,

– sempre in pendenza della domanda di III condono, il 11. 3. 2008 il ricorrente comunicava inoltre di voler realizzare altri interventi di completamento (rifacimento tetto, posa cappotto, posa fossa biologica, posa serbatoio gpl, modifica porta finestra, spostamento porta d’ingresso, modifica finestra, manutenzione impianti),

– manutenzione ordinaria e lavori di completamento che fossero, sta di fatto che il 28. 4. 2008 l’ufficio tecnico eseguiva sopralluogo e verificava che il manufatto di cui alla domanda di III condono aveva assunto dimensioni maggiori e conformazioni diversa, ed in particolare rinveniva camera matrimoniale cm. 407 x 380 altezza m. 3.62; antibagno cm 200 x 110; bagno cm. 286 x 200 x altezza 270, cucina cm. 780 x 409 ed altezza cm 270 più soppalco cm. 409 x 568 x altezza 183, e scopriva che vi erano state realizzate finiture e serramenti tipici di una residenza.

In questo contesto il Comune ha emesso il provvedimento di diniego di condono oggi impugnato.

II. Ciò posto, il secondo motivo di ricorso – che dal punto di vista logico è preliminare in quanto riguarda l’atto a monte (il diniego di condono) – in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per illegittimità derivata del provvedimento di diniego di condono deve essere respinto. Il diniego di condono non era, infatti, illegittimo come si spiega nella pronuncia che decide il ricorso 318/09 e che viene assunta contemporaneamente anche se con separata sentenza.

Il manufatto non esisteva, infatti, più alla data in cui era stata esaminata la domanda di condono, in quanto quello constatato nel corso del sopralluogo del 28. 4. 2008 è di dimensioni maggiori rispetto a quello oggetto della domanda di condono, ha una conformazione diversa (diviso in stanze, laddove vi era nella domanda allegata al condono – doc. 4 del Comune – un unico stanzone con bagno e portico) ed ha anche una destinazione d’uso completamente differente. La domanda di condono era per un locale destinato che da ripostiglio doveva diventare cucina/soggiorno, quanto constatato nel sopralluogo (un appartamento) non era conforme alla domanda (si sorvola sull’argomento delle pressanti esigenze abitative della propria famiglia che avrebbero indotto il ricorrente a realizzare progressivamente nei luoghi un appartamento senza alcun titolo, perchè prive di rilievo giuridico), e l’amministrazione non può rilasciare un provvedimento di condono per un manufatto su cui non c’è alcuna certezza che sia effettivamente esistito, ed al posto del quale in ogni caso ne esiste allo stato un altro.

E’ corretta anche la parte della motivazione che nega comunque di poter condonare il manufatto oggetto della domanda di condono per mancanza di conformità urbanistica. Nel terzo motivo di ricorso si deduce che non sarebbe necessaria la conformità urbanistica.

In realtà, la conformità urbanistica è necessaria per le aree paesaggisticamente vincolate. La questione è stata decisa in altri precedenti di questo Tribunale. Ci si permette di riportarsi alla motivazione della pronuncia di questo Tribunale, sezione I, 29. 6. 2009, n. 1324 utilizzando la tecnica della citazione del precedente conforme ex art. 74 c.p.a.

La mancanza nel caso in esame della conformità urbanistica, che parte ricorrente contesta (o di cui almeno sostiene di non aver compreso esattamente in cosa consista), non può essere seriamente discussa posto che, anche senza scendere nelle prescrizioni di dettaglio, l’art. 32 delle n.t.a. già come disposizione di principio afferma che sono vietati usi e trasformazioni incompatibili con il mantenimento dei singoli beni costitutivi e con l’equilibrio ecologico e paesaggistico dell’area, e che per gli edifici esistenti sono ammessi il restauro e la ristrutturazione nel limite di superfici e altezze esistenti, talchè – anche solo guardando il manufatto condonando e non quello effettivamente rinvenuto in sede di sopralluogo – la creazione di un porticato, un vano servizi, ed una cucina/soggiorno al posto di un deposito attrezzi agricoli non potrebbe mai rientrare nella previsione di piano.

Il diniego di condono è stato quindi legittimamente emesso.

III. Ciò posto, per decidere la questione posta nel primo motivo di ricorso, e cioè se l’abuso commesso debba essere classificato come intervento ex art. 31 o ex art. 34 d.p.r. 380/01 occorre aver presente che il titolo abilitativo costituito dal III condono (richiesto e negato) non si è mai formato.

Ne consegue che il raffronto va fatto tra il mero deposito di attrezzi agricoli che era l’ultimo manufatto provvisto di titolo (sia pure postumo, il cd. II condono) e l’appartamentino rinvenuto nel corso del sopralluogo del 28. 4. 2008 ed oggetto del provvedimento di demolizione, saltando il passaggio intermedio del manufatto spurio costituito dallo stanzone adibito a soggiorno/cucina più porticato e bagno che aveva formato oggetto della domanda di III condono non assentita.

Il passaggio da un mero deposito di attrezzi agricoli ad un appartamento giustifica la qualificazione sub art. 31 d.p.r. e la conseguente pretesa demolitoria.

In ogni caso, come correttamente fa notare la difesa del Comune, la sanzione demolitoria sarebbe stata in ogni caso l’unica applicabile posto che si versa in area paesaggisticamente vincolata e che quindi la sanzione da applicare per un abuso si deve confrontare anche con le disposizioni previste dal codice dei beni culturali.

Nel caso in esame l’art. 167 d. lgs. 42/04, nella sua versione novellata dall’art. 27 d.lgs. 24. 03. 2006 n. 157, dispone che "in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4" (comma 4 non è applicabile nel caso in esame, in quanto tale norma riguarda abusi che non creano superfici o volumi utili).

L’autorità amministrativa ha, pertanto, fatto corretta applicazione della norma attributiva del potere, e le censure del ricorrente devono essere rigettate.

IV. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, I sezione interna, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Poncarale delle spese di lite, che determina in euro 2.500, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere

Carmine Russo, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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