T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 73

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/



Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente società P. srl era proprietaria di un’area agricola situata nel Comune di Salò, frazione Renzano, località Bissiniga. La zona in questione è sottoposta al vincolo paesistico apposto con DM 8 aprile 1958 ("la zona ha notevole interesse pubblico perché oltre a costituire con la sua sponda rocciosa e frastagliata, per la varietà della sua vegetazione composta da ulivi, cipressi, agrumi, oleandri e vigneti, sparsa su collinette degradanti verso la riva, un quadro naturale di non comune bellezza panoramica, offre altresì numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai quali si può godere la visuale panoramica del Lago, del Golfo di Salò, dell’isola di Garda, dei monti che incorniciano il Benaco e dell’opposta sponda veronese").

2. Una parte dell’area della ricorrente (mappali n. 9847 e 9849) è stata ceduta con atto notarile dell’11 agosto 2001 alla società C. srl. Quest’ultima, con una clausola espressa, ha accettato di subentrare nel piano di recupero "Borgo al Sole" riguardante una parte della superficie compravenduta. Il piano di recupero (zona B1 di completamento residenziale) era stato proposto dalla ricorrente ed è stato poi adottato dal Comune con la deliberazione consiliare n. 40 del 6 agosto 2001 e infine approvato con la deliberazione consiliare n. 18 del 3 giugno 2002.

3. La convenzione urbanistica tra il Comune e la società C. srl è stata stipulata il 14 novembre 2002. Nell’ambito del piano di recupero era prevista la costruzione di 32 unità immobiliari residenziali a due piani per un massimo di 4.500 mc. L’art. 26 delle NTA generali, richiamato e integrato nella convenzione urbanistica, specifica che l’attuazione del piano di recupero in zona B1 implica la trasformazione (e quindi la demolizione) delle attrezzature (ossia delle costruzioni) agricole esistenti. Con maggiore precisione l’art. 4 delle NTA del piano di recupero subordina la realizzazione dei singoli edifici alla contestuale demolizione dei manufatti agricoli e di due fabbricati esistenti.

4. Alla ricorrente è rimasta la proprietà della porzione di terreno agricolo individuata dai mappali n. 9846 e 9848. Nell’atto di vendita dell’11 agosto 2001 si precisa che, pur essendo il mappale n. 9846 in parte inserito nel perimetro del piano di recupero, la ricorrente rinuncia a "qualsiasi diritto volumetrico connesso". Tale clausola è richiamata anche nella deliberazione consiliare n. 18/2002, che ha approvato definitivamente il piano di recupero prendendo atto del subentro della società C. srl.

5. Sul mappale n. 9846 (che costituisce l’angolo di nordest del piano di recupero) si trova una tettoia in legno e blocchi di cemento, con copertura in eternit, aperta su tre lati, avente superficie coperta pari a circa 244 mq. L’utilizzazione è agricola, in parte come deposito (è stata rilevata la presenza di un trattore e di attrezzi agricoli) e in parte come ricovero di animali (precisamente 6 cavalli). La struttura è stata realizzata senza titolo edilizio e senza autorizzazione paesistica tra il 1985 e il 1990 (non figura nelle planimetrie allegate al PRG approvato dalla Regione il 28 maggio 1985 mentre è riprodotta in quelle allegate al PRG adottato dal Comune il 29 maggio 1990). All’epoca (1985) la disciplina urbanistica collocava l’area in zona E (agricola), in seguito (1990) la destinazione è stata modifica in EV (agricola di particolare interesse ambientale), infine è subentrata la disciplina del piano di recupero. Nella nota del 17 ottobre 2005 con la quale il responsabile del Settore Edilizia Privata ha per la prima volta sollevato il problema del carattere abusivo della tettoia sono stati messi in evidenza i seguenti aspetti: (a) la tettoia non costituisce volume edilizio e quindi non altera i parametri edilizi del piano di recupero; (b) anche computando la tettoia, il rapporto di copertura all’interno del comparto rimane ampiamente al di sotto del massimo consentito; (c) peraltro la tettoia è stata realizzata in un periodo in cui era già sorto l’obbligo di ottenere la concessione edilizia e l’autorizzazione paesistica, e dunque, non essendo stati rintracciati provvedimenti di tale natura, deve essere qualificata come manufatto abusivo.

6. In data 18 gennaio 2006 la ricorrente ha chiesto l’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 e la sanatoria paesistica. Nella relazione dell’architetto Andrea Bona vengono descritti gli elementi che dovrebbero consentire il rilascio di entrambi i provvedimenti richiesti: (a) sotto il profilo urbanistico la tettoia in quanto manufatto agricolo era conforme alla disciplina in vigore nel 19851990 e non risulta in contrasto neppure con l’attuale zonizzazione B1 del piano di recupero; (b) in effetti il vigente art. 26 delle NTA ammette, in aggiunta alla destinazione residenziale, la realizzazione di magazzini e laboratori artigianali ("purché non molesti o inquinanti") nonché il mantenimento delle attività produttive esistenti se compatibili con la tutela della salute pubblica; (c) il manufatto non costituisce volume, non determina il superamento del rapporto di copertura del comparto, non eccede l’altezza massima consentita, e non viola la distanza minima dai confini e dagli altri edifici; (d) sotto il profilo paesistico la tettoia non interferisce in modo significativo con il contesto naturale in quanto è di forma allungata ed è disposta parallelamente al pendio, inoltre ha altezza contenuta (con tetto a una sola falda) ed essendo priva di tamponamenti laterali è più facilmente mimetizzabile nella vegetazione circostante; (e) per quanto riguarda i limiti dell’autorizzazione paesistica in sanatoria ex art. 167 comma 4 del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42, la tettoia oltre a non costituire volume non determina neppure la formazione di superficie utile, in quanto l’art. 75 del regolamento edilizio esclude dalla sommatoria delle superfici utili i porticati e in genere gli spazi aperti almeno su due lati. Nella richiesta di sanatoria era anche prevista la sostituzione delle lastre in fibrocemento della copertura con una lamiera di rame.

7. Il Comune con provvedimento del responsabile del Settore Edilizia Privata del 3 maggio 2006 ha però negato la sanatoria sia sul piano urbanistico sia su quello paesistico. Per quanto riguarda il profilo urbanistico il provvedimento richiama la relazione del responsabile del procedimento del 10 aprile 2006, nella quale si afferma che (a) la tettoia, essendo inserita nel piano di recupero, deve rispettarne la disciplina, con la conseguenza che non sussisterebbe la conformità urbanistica necessaria per la sanatoria; (b) inoltre la presenza di animali comporta problemi di natura igienicosanitaria. Per quanto riguarda il profilo paesistico il provvedimento richiama i pareri degli esperti ambientali del 14 febbraio 2006 e del 27 aprile 2006, nei quali si afferma che (a) da lontano la tettoia è visibile da numerosi punti di osservazione, e in particolare dalla strada statale, "anche se solo lievemente percepibile a occhio nudo", mentre più da vicino è visibile da via Renzano e dalle future aree a verde pubblico; (b) la conservazione della tettoia risulterebbe incompatibile con gli obiettivi di qualità urbanistica perseguiti in zona attraverso la realizzazione del complesso residenziale Borgo al Sole (non sarebbe congruo lasciare una baracca in prossimità di nuove costruzioni); (c) il vincolo paesistico sarebbe incompatibile con la proliferazione di baracche in un contesto di non comune bellezza panoramica; (d) la posa di una copertura in rame (o anche in coppi) non migliorerebbe la situazione e anzi accentuerebbe l’estraneità della tettoia rispetto all’ambiente circostante (in ogni caso la qualità dei restanti materiali di costruzione è molto scadente).

8. Sul presupposto del diniego di sanatoria il responsabile del Settore Edilizia Privata ha emesso in data 4 maggio 2006 un provvedimento con il quale è stato dichiarato il carattere abusivo della tettoia sia sul piano edilizio sia per gli aspetti paesistici.

9. Contro il diniego di sanatoria del 3 maggio 2006 e contro il provvedimento del 4 maggio 2006 la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 7 luglio 2006 e depositato il 31 luglio 2006. Le censure possono essere sintetizzate e riordinate come segue: (i) sviamento e carenza di motivazione, in quanto tutti gli impegni relativi alla demolizione dei manufatti agricoli presenti all’intero del perimetro del piano di recupero sono stati accollati alla società C. srl; (ii) violazione dell’affidamento, trattandosi di una tettoia presente in loco da molti anni; (iii) errore sui presupposti di fatto, in quanto la tettoia dovrebbe in realtà essere considerata come esterna al perimetro del piano di recupero; (iv) erronea valutazione circa l’assenza dei presupposti dell’accertamento di conformità; (v) violazione della disciplina sull’autorizzazione paesistica in sanatoria.

10. In seguito al diniego di sanatoria il responsabile del Settore Edilizia Privata ha emesso l’ordinanza n. 135 del 5 giugno 2006, con la quale è stata intimata la demolizione della tettoia. Questo provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti notificati il 13 novembre 2006 e depositati il 13 dicembre 2006. Le censure sono sostanzialmente le stesse già formulate nel ricorso introduttivo.

11. L’aspetto paesistico della controversia ha avuto un’appendice con la nuova domanda presentata dalla ricorrente in data 20 luglio 2006 per l’accertamento della compatibilità paesistica ai sensi dell’art. 181 comma 1quater del Dlgs. 42/2004. Il Comune con provvedimento del responsabile del Settore Edilizia Privata del 15 febbraio 2007 si è però pronunciato negativamente sulla base (a) del parere degli esperti ambientali del 21 novembre 2006 (confermativo dei pareri del 14 febbraio 2006 e del 27 aprile 2006) e (b) del parere negativo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio dell’8 novembre 2006. In particolare la Soprintendenza sottolinea la visibilità della tettoia da via Renzano e l’effetto di confusione generato dalla diffusione sul territorio di elementi di degrado.

12. Contro il provvedimento comunale del 15 febbraio 2007 e contro il parere negativo della Soprintendenza dell’8 novembre 2006 la ricorrente ha presentato impugnazione con ulteriori motivi aggiunti notificati il 21 aprile 2007 e depositati il 21 maggio 2007. Le censure integrano il quinto argomento del ricorso introduttivo, specificamente per quanto riguarda la dimostrazione che la tettoia non costituisce volume o superficie utile e non altera significativamente il paesaggio tutelato.

13. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti.

14. Passando all’esame del merito, appare utile trattare contestualmente il primo e il terzo motivo del ricorso introduttivo, che affrontano la questione del rapporto tra la tettoia (ovvero il mappale n. 9846 sul quale la stessa insiste) e il piano di recupero residenziale. In realtà i due motivi si elidono, in quanto un argomento parte dal presupposto che l’area della ricorrente sarebbe attratta nel complesso delle obbligazioni del piano di recupero (assunte in via esclusiva dalla società C. srl), e l’altro argomento al contrario ipotizza il posizionamento dell’area all’esterno del piano di recupero (o, in subordine, l’appartenenza al piano ma come area bianca del tutto scollegata dal resto della superficie). Nessuna delle due impostazioni appare condivisibile. In proposito si osserva quanto segue:

(a) il posizionamento del mappale n. 9846 all’interno del perimetro del piano di recupero è un elemento accettato sia dalle parti private sia dal Comune (v. sopra al punto 4), e dunque non può essere messo unilateralmente in discussione attraverso un nuovo calcolo della superficie effettuato a posteriori o mediante altri argomenti legati all’effettivo stato dei luoghi;

(b) la collocazione fisica del mappale n. 9846 ha anche un significato giuridico, in quanto le parti private e il Comune hanno specificato che la ricorrente pur conservando la proprietà dell’area rinunciava non solo a sfruttare la relativa volumetria (che appartiene alla società C. srl) ma anche a qualsiasi altro diritto in grado di interferire con la realizzazione e l’utilizzazione del complesso residenziale (per un’applicazione particolare di questa clausola v. sotto al punto 18);

(c) l’obbligo di demolizione delle strutture agricole esistenti nel perimetro del piano di recupero ricadeva sulla società C. srl, subentrata a tutti gli effetti nella lottizzazione (v. sopra al punto 3). La ricorrente avrebbe dovuto eventualmente demolire la propria tettoia su richiesta della società C. srl se questo fosse stato necessario per consentire il rilascio dei permessi di costruire dei singoli edifici. Poiché tuttavia una simile richiesta non è stata formulata, e anzi, come riferisce la nota del responsabile del Settore Edilizia Privata del 17 ottobre 2005 (v. sopra al punto 5), la tettoia non influisce sul limite volumetrico e non determina il superamento del rapporto di copertura, non vi sono particolari elementi che rendano incompatibile la permanenza della tettoia con la realizzazione del complesso residenziale;

(d) di conseguenza la questione della sanabilità della tettoia, sia sotto il profilo edilizio sia ai fini paesistici, deve essere valutata con riguardo alle regole generali della materia. In proposito si rinvia alle altre censure formulate dalla ricorrente ed esposte qui di seguito.

15. Con il secondo motivo di ricorso viene proposto un percorso verso la sanatoria basato sull’affidamento conseguente al decorso del tempo. La ricorrente sottolinea che la tettoia, pur essendo presente in loco da molti anni, non è mai stata contestata fino al 2005. Questo argomento appare condivisibile, tuttavia non in astratto e in modo automatico ma con alcune precisazioni. In particolare si possono formulare le seguenti osservazioni:

(a) indubbiamente in seguito al passaggio del tempo l’onere di motivazione a sostegno dell’ordine di demolizione si aggrava (specie se l’amministrazione ha avuto in precedenza altre occasioni di occuparsi della costruzione abusiva). In una prospettiva di lungo periodo è possibile che l’interesse pubblico alla remissione in pristino si azzeri e si apra di conseguenza la via alla regolarizzazione anche formale di quanto abusivamente edificato. Sotto questo profilo i provvedimenti impugnati risultano carenti, in quanto mirano al ripristino della legalità senza considerare l’abuso nella sua dimensione storica;

(b) non è però la carenza di motivazione il punto che maggiormente rileva, perché questo difetto potrebbe comunque essere sanato attraverso un provvedimento successivo. Per entrare nella sostanza della questione occorre esaminare la sussistenza della conformità urbanistica al momento della realizzazione dell’abuso e successivamente verificare il rapporto tra la disciplina urbanistica sopravvenuta e la presenza storica del manufatto abusivo;

(c) la conformità urbanistica attuale deve essere intesa in senso ampio (v. TAR Brescia Sez. I 22 novembre 2010 n. 4664), non solo come facoltà di costruzione ex novo del manufatto abusivo ma anche come complessiva compatibilità del manufatto abusivo con le norme sopravvenute (esaminando le tipologie di destinazione d’uso insediabili negli edifici esistenti);

(d) pertanto, anche se le norme attuali non consentissero più la costruzione ex novo del manufatto abusivo, le destinazioni d’uso ammissibili rileverebbero comunque sotto il profilo dell’interesse pubblico al fine di stabilire se la remissione in pristino sia effettivamente una soluzione obbligata. Queste valutazioni devono essere svolte in concreto, con riguardo agli altri elementi esposti nel ricorso a proposito dell’accertamento di conformità.

16. Il quarto motivo di ricorso analizza appunto le condizioni dell’accertamento di conformità. Sugli argomenti proposti dalla ricorrente si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) preliminarmente, non appare condivisibile il tentativo di ottenere la sanatoria della tettoia qualificando quest’ultima come un parcheggio pertinenziale ai sensi dell’art. 66 della LR 11 marzo 2005 n. 12. In realtà la tettoia è in parte un deposito e in parte una stalla (v. sopra al punto 5), e quindi non rientra nel concetto di parcheggio pertinenziale, sia pure non residenziale. Lo stesso rapporto di pertinenzialità rispetto agli edifici residenziali e agricoli situati sui mappali n. 2290 e 2293 non è stato dimostrato. La mera vicinanza non è una condizione sufficiente e neppure la (parziale) corrispondenza della destinazione d’uso: è invece richiesto un rapporto fondato su elementi oggettivi destinati a rimanere invariati nel tempo;

(b) l’argomento principale utilizzato dalla ricorrente a sostegno della sanatoria è comunque quello fondato sull’ordinario accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001. In proposito si osserva che in effetti sussiste il primo requisito, ossia la conformità urbanistica al momento della realizzazione della tettoia. L’area all’epoca era qualificata come agricola (v. sopra al punto 5) e dunque era idonea a ospitare manufatti agricoli come la tettoia in questione;

(c) al momento della domanda di sanatoria era invece già in vigore la zonizzazione B1 del piano di recupero (v. sopra al punto 6). Per effetto di questa disciplina tutte le facoltà edificatorie si sono concentrate nella volumetria del complesso residenziale, e pertanto non sarebbe più possibile attualmente realizzare un manufatto agricolo. Questo però non significa che l’accertamento di conformità sia precluso. In primo luogo, come evidenziato sopra al punto 14/c, non vi è alcun contrasto con le norme del piano di recupero, in quanto il complesso residenziale ha potuto essere realizzato senza la preventiva demolizione della tettoia, la quale non incide sui parametri della lottizzazione e non determina quindi il superamento del limite di saturazione dell’area. In secondo luogo occorre richiamare quanto esposto sopra al punto 15/cd, ossia che per gli abusi storici la conformità deve essere valutata non solo come facoltà di edificazione ma anche come ammissibilità attuale della destinazione d’uso praticata. Nel caso in esame la destinazione d’uso agricola può essere considerata ammissibile, in quanto l’art. 26 delle NTA ammette l’insediamento di destinazioni d’uso molto più impattanti, quali magazzini e laboratori artigianali (v. sopra al punto 6). Manca pertanto un interesse pubblico a imporre la remissione in pristino;

(d) sotto il profilo urbanistico questo equivale ad affermare che sussiste il requisito della doppia conformità necessario per la sanatoria della tettoia.

17. Rimane però l’aspetto paesistico, al quale sono dedicati il quinto motivo del ricorso introduttivo e gli argomenti dei secondi motivi aggiunti. Le censure formulate dalla ricorrente sono condivisibili nei limiti esposti qui di seguito:

(a) sul piano formale l’abuso rientra nella fattispecie dell’art. 167 comma 4 e dell’art. 181 comma 1ter del Dlgs. 42/2004, in quanto la tettoia non costituisce volume o superficie utile. Sulla volumetria si è espresso in questo senso il responsabile del Settore Edilizia Privata nella nota del 17 ottobre 2005 (v. sopra al punto 5). Per quanto riguarda la superficie utile, l’esclusione dal computo deriva dall’applicazione dell’art. 75 del regolamento edilizio, essendo la tettoia aperta su tre lati e dunque assimilabile ai porticati (v. sopra al punto 6);

(b) peraltro anche se la tettoia venisse qualificata come manufatto rilevante ai fini della volumetria o della superficie utile si tratterebbe pur sempre di un abuso anteriore alla riforma dell’art. 167 del Dlgs. 42/2004 introdotta dall’art. 27 del Dlgs. 24 marzo 2006 n. 157. Nella disciplina previgente l’amministrazione aveva il potere di sostituire la remissione in pristino con il pagamento di una somma (il maggiore importo tra il danno ambientale e il profitto conseguito dal privato) anche nel caso di abusi costituenti volume o superficie utile. L’abuso quando è sorto possedeva quindi un patrimonio giuridico di cui faceva parte una prospettiva di regolarizzazione, ossia un’aspettativa sostanziale che per il principio della certezza del diritto non poteva essere travolta dalle norme sopravvenute (v. TAR Brescia Sez. I 9 giugno 2009 n. 1198; TAR Brescia Sez. I 20 agosto 2008 n. 862; TAR Brescia Sez. I 13 febbraio 2008 n. 70);

(c) arrivando infine al nucleo della valutazione sulla compatibilità paesistica, si ritiene che gli argomenti utilizzati dal Comune e dalla Soprintendenza per negare la sanatoria (v. sopra ai punti 7 e 11) non siano idonei allo scopo. Un aspetto non condivisibile è la lettura del vincolo paesistico come vincolo qualitativo riferito alle costruzioni piuttosto che al paesaggio. Per questa via la tettoia è considerata incompatibile perché costruita con materiali di scarsa qualità, mentre il vicino complesso residenziale sarebbe maggiormente adeguato proprio per la cura della progettazione e della realizzazione. Un simile argomento non è però accettabile, in quanto utilizza un parametro estraneo ai valori ambientali originari su cui è fondato il vincolo paesistico e rovescia i rapporti tra le costruzioni considerando più impattante quella di minore consistenza. Sono stati poi trascurati alcuni elementi di notevole rilievo ai fini della mimetizzazione della tettoia, quali l’altezza contenuta, l’assenza di tamponamenti su tre lati e la disposizione parallela al pendio. Quanto alla visibilità da luoghi aperti al pubblico, non solo è stato applicato un criterio più severo di quello utilizzato per il complesso residenziale ma è stata enfatizzata (e considerata intollerabile) la percezione da vicino rispetto a quella da lontano. Gli stessi esperti ambientali avevano invece riconosciuto che dalla strada statale la tettoia è solo lievemente percepibile, il che dimostra come in una dimensione propriamente paesistica il disturbo visivo collegato alla tettoia abbia un peso trascurabile;

(d) sulla base di queste considerazioni non risultano esservi ostacoli al rilascio di un’autorizzazione paesistica in sanatoria.

18. Alcune precisazioni sono però necessarie sotto il profilo igienicosanitario. La tettoia ospita anche degli animali e dunque è fonte di emissioni che possono disturbare gli abitanti del vicino complesso residenziale (situato a circa 25 metri). La presenza degli animali si collega all’attività agricola anteriore alla lottizzazione, ma non sussiste in questo caso un diritto di prevenzione, sia per il carattere originariamente abusivo della tettoia sia perché la ricorrente nell’atto di vendita dell’11 agosto 2001 pur mantenendo la proprietà del mappale n. 9846 ha rinunciato alle relative facoltà edificatorie, che sono state trasferite alla società acquirente (v. sopra al punto 4). Le suddette facoltà si devono necessariamente intendere come integre ed effettive, non essendovi una clausola a salvaguardia dell’attività agricola. Dunque nel bilanciamento degli interessi la destinazione d’uso residenziale del piano di recupero prevale su quella agricola nelle situazioni in cui tra queste dovessero insorgere dei conflitti, come appunto può avvenire a causa della presenza di animali. Il Comune mantiene quindi il potere di incidere sull’utilizzazione della tettoia imponendo le misure tecnicamente più adeguate per impedire problemi di natura igienicosanitaria. Il carattere originariamente abusivo della tettoia conserva inoltre al Comune il potere di emettere prescrizioni finalizzate alla sostituzione delle parti ammalorate, o esteticamente incongrue, nonché il potere di ingiungere la rimozione dalla copertura dei materiali pericolosi per la salute (nel caso dell’amianto l’obbligo di rimozione è comunque imposto dalla natura di manufatto destinato all’attività agricola, in quanto tale luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 256 del Dlgs. 9 aprile 2008 n. 81).

19. In conclusione il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento degli atti impugnati. Da questo deriva che la tettoia è regolarizzabile sia sotto il profilo urbanistico sia sotto il profilo paesistico, con i limiti in materia igienicosanitaria visti sopra al punto 18. La complessità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso come precisato in motivazione.

Le spese sono integralmente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere

Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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